BOBBIO (A. T., 24-25-26)
Piccola città della provincia di Piacenza (2260 ab.), nella vallata della Trebbia, a 272 m. s. m. È posta sulla sinistra del fiume, là dove tre strade s'incontrano quella per Piacenza, quella per Varzi e l'altra per Ottone e Genova. La disposizione delle case è quella delle città vecchie: le case sono addossate le une alle altre e annerite dal tempo; le strade sono strette e tortuose e mal selciate. Il centro è costituito dalla piazza principale, che ha forma irregolare, con portici.
Al comune di Bobbio nel 1532 si attribuivano 1600 ab.; nel 1839 esso contava 3743 ab. in 686 case e 755 famiglie; nel 1905, 4876 ab.; nel 1921, 5012, dei quali 3587 accentrati e 1425 sparsi nella campagna; per l'aggregazione della frazione di Mezzano Scotto il comune conta ora 5751 ab. Prima parte della provincia di Genova - fino al 1859 - poi capoluogo del circondario omonimo nella provincia di Pavia, fu nel 1923 aggregato a Piacenza. È ampio 72,72 kmq., e sebbene abbracci terre collinose e montuose, è fertile: produce cereali, uve, alberi da frutta, fieno. Non mancano estesi boschi che permettono larghe cacce. Vi si aduna buona parte del commercio della montagna. Ha parecchie case produttrici di vini e qualche modesta industria (laterizî, calce, piastrelle di cemento, profumerie, mulini, paste alimentari).
Presso Pian Casale (destra della Trebbia), a valle di Bobbio è una sorgente salsoiodica bromurata, che è utilizzata dallo stabilimento di bagni aperto nel 1908.
È allo studio il progetto di una ferrovia che partendo da Piacenza arriva a Genova e tocca Bobbio.
Monumenti artistici. - La chiesa e il monastero di S. Colombano subirono nel corso dei secoli molti rifacimenti e mutazioni. L'odierna chiesa venne ricostruita dai benedettini nella seconda metà del sec. XV, e compiuta nel sec. XVII. La facciata è divisa in tre scomparti con portico antistante; l'interno è a tre navate, spartite da piloni a fasci, e con transetto. La navata venne affrescata nel 1526 dal pavese maestro Bernardino da S. Colombano; il presbiterio nel sec. XVIII. Gli stalli del coro e il leggio sono un pregevole lavoro d'intaglio e d'intarsio compiuto nel 1488 da Domenico da Piacenza. Importante è il vasto mosaico del sec. XIl che decorava l'estremità della primitiva navata, scoperto nel 1910 molto al di sotto dell'attuale pavimento. Vi si vedono rappresentati i mesi dell'anno, alcune storie tratte dal libro dei Maccabei e figurazioni fantastiche. La cripta, nelle sue linee generali, venne rifatta nel sec. XV e restaurata nel 1910. Campeggia in essa il sarcofago di S. Colombano con la figura giacente del santo e con rappresentazioni in altorilievo sulla fronte e sui fianchi, scolpite nel 1480 da Johanes de Patriarcis de Mediolano. Il sepolcro di S. Attalo nella parete destra e quello di S. Bertolfo nella sinistra, sono chiusi da lastre tombali intagliate in stile romanico; i resti di affreschi sottostanti a questi sepolcri e una Madonna dipinta nell'andito sinistro appartengono al sec. XV. Sempre in questa cripta, in un reparto chiuso da una ricca cancellata quattrocentesca di ferro battuto si raccolgono parecchi avanzi della prima chiesa: basi e fusti di colonne; capitelli figurati; frammenti di plutei e d'iscrizioni; lastre tombali tra cui quella di S. Cumiano con un'iscrizione del sec. VIII. Il campanile, adorno di archetti pensili, è del sec. XI. La sacrestia possiede ancora qualche cimelio: un'idria di porfido romano; una pisside eburnea, di forma cilindrica, con un altorilievo rappresentante Orfeo tra le bestie, opera del sec. VI; due ostensorî di rame dorato del sec. XV; il busto d'argento di S. Colombano, in forma di reliquiario, opera pavese del 1514; un altro reliquiario in forma di braccio rivestito di lamine d'argento e adorno di smalti, lavoro del sec. XV; un corale miniato, legato da tavolette coperte di cuoio, del sec. XV: unico resto ivi conservato dell'antica biblioteca.
Il monastero di S. Colombano venne rifatto neì secoli XVII e XVIII con androni e sale assai vasti, conserva ancora un lato del chiostro del sec. XV e una svelta galleria su colonne del secolo XVI. Vi si trovano ora l'abitazione del parroco e le scuole.
Il duomo venne ricostruito nel 1436. Ha il presbiterio sopraelevato e la cripta ottagonale su pilastri di mattone (sec. XIII). Il transetto e il presbiterio furono rifatti ed affrescati dal Pozzi nel 1725. In sacrestia, una tavola attribuita al Luini.
La chiesa di S. Maria dell'Aiuto, edificata nel 1621, conserva nella parte sotterranea un pilone incorporato in una cappella con affresco rappresentante la Madonna col Bambino, del secolo XVI. Altre chiese che rimontano al secolo XVII sono quelle di S. Maria delle Grazie, S. Lorenzo e S. Francesco, quest'ultima ora ridotta a magazzino.
Ricordiamo ancora fra i più notevoli monumenti dell'antica Bobbio: il ponte ad arcate disuguali sulla Trebbia, con molte parti medievali; il castello dei Dal Verme edificato nel 1440, con resti della porta d'ingresso e delle mura; alcune case in Piazza del duomo con portici su colonne di pietra a capitello cubico; diverse case con avanzi del secolo XV. Il palazzo Malaspina, il vescovado e il seminario risalgono ai secoli XVI, XVII e XVIII. Nel vescovado si conserva un pastorale del 1479.
Bibl.: B. Rossetti, Bobbio illustrata, Torino 1795; D. Bertacchi, Monografia di Bobbio, Pinerolo 1859; A. Gianelli, Vita di S. Colombano, Torino 1894; C. Cipolla, Notizie e documenti sulla storia artistica della basilica di S. Colombano di Bobbio nell'età della Rinascenza, in L'Arte, VII (1904), pp. 241-55; id., Codici bobbiesi della Biblioteca nazionale universitaria di Torino (Coll. paleografica bobbiese, I), Milano 1907; id., Codice diplomatico del monastero di Bobbio, Roma 1918; P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, Milano 1912; A. Kingsley Porter, Lombard Architecture, New Haven 1917, voll. 3 (v. l'indice); I. Reposi, Antiche urne cinerarie scoperte nel territorio di Bobbio, in Boll. stor. piac., XXIII (1928), pp. 72-75.
Storia. - La cittadina deve la sua vita e la sua fama al celebre monastero fondato in quella vallata solitaria dal monaco irlandese S. Colombano nell'anno 612, presso un'antica chiesa di S. Pietro trovata semidistrutta: la più antica tra le abbazie del regno longobardo, la Montecassino dell'Italia superiore. Grazie alla fondazione di S. Colombano la romita valle alpestre divenne centro fecondo di vita religiosa e civile, con le scuole, con gli ospizî, le officine; quivi s'incontrarono, si fusero e s'irradiarono lontano e lungamente gli elementi culturali non solo italici, ma europei, della civiltà medievale. Da Agilulfo, che concesse a Colombano il luogo del suo rifugio, dai re Longobardi suoi successori, dai re Franchi, dagl'imperatori tedeschi fu con ampî privilegi e diplomi favorito il monastero anche per vantaggio politico, poiché, potendo tenere fermo un piede nella valle di Bobbio, assicuravano per sé, per gli eserciti loro, per i mercanti, per i pellegrini la strada congiungente la Lombardia alla Liguria marittima e le linee di congiunzione fra quest'ultima regione e l'Emilia.
Dopo la morte di S. Colombano (615), che resse il monastero per tre anni, governarono come suoi successori alcuni abati assai degni di speciale memoria, come Attala, Bertulfo, Wala, di regia stirpe, Hilduino, arcicancelliere di Lotario I, Amalrico poi vescovo di Como, Giseprando, vescovo di Tortona, il famoso Gerberto, che fu papa col nome di Silvestro II, Petroaldo, primo vescovo di Bobbio. Di questi, parecchi vissero alla corte imperiale e considerarono la carica abbaziale come un ricco benefizio ecclesiastico da sfruttare. Il monastero si resse dapprima secondo la regola del fondatore, ma nel 643 risulta sotto la regola di S. Benedetto; pare che esso - ma non è cosa certa, per le innumerevoli falsificazioni documentarie, che infestano la più antica storia di Bobbio - fosse direttamente dipendente da Roma, poiché il suo territorio, non essendo, nei primi anni del sec. VII, ancora ben regolati i confini tra le città finitime, Tortona, Ticinum (Pavia), Piacenza, era come zona neutra e quindi garanzia di indipendenza. Ma poi l'abbazia ebbe a soffrire con grave danno aspre lotte di giurisdizione per le pretese dei vescovadi di Tortona e di Piacenza; più tardi anche per le pretese del vescovo di Bobbio, che dall'anno dell'erezione del vescovado (1014; secondo altri fra il 1004-1013) fino al 1143, fu tutt'una persona con l'abate; onde liti con i monaci, che lo riconoscevano come abate ma non come vescovo, finché nel 1208, quando il monastero andava già decadendo, il vescovo ebbe causa vinta.
L'epoca d'oro del monastero va dal sec. IX al XII. Cresciuto in fama e in potenza era venuto acquistando vasti possedimenti in molte località, anche lontane, nel Mantovano, nel Veronese, sul Lago di Garda, in Liguria ecc.; alla fine del sec. X era uno dei più ricchi monasteri d'ltalia. Sulla scorta dei documenti superstiti possiamo seguire le sue relazioni con Pavia, ove aveva una chiesa ed altri possessi, con Tortona, con Genova, con Milano e Piacenza, col gastaldo di Bismantova nel comitato Parmense, col vescovo di Luni per le contestazioni sorte per la decima di sei villaggi. Ai monaci si presentavano frequenti occasioni di viaggiare anche verso il mezzogiorno per visitare i beni del monastero in Tuscia, specialmente presso Pistoia, Lucca, Pisa e nel Casentino. Resta memoria pure dei loro viaggi per Segusium (Susa): di qui si proseguiva per la Gallia, ove erano altri monasteri fondati dal santo.
Già ai tempi di Carlo il Grosso il monastero era uno dei più popolati e teneva un posto eminente nella vita intellettuale italiana. Dapprima combatté gli avanzi del paganesimo, poi l'arianesimo, che era in auge ai tempi dei Goti e dei Longobardi. In seguito allo scisma detto "dei tre capitoli" anche alcuni monaci dei monasteri lontani fondati da S. Colombano vacillarono, ma furono combattuti con successo, finché col concorso zelante dei monaci bobbiensi lo scisma scomparve interamente negli ultimi anni del secolo VII. Non solo la letteratura religiosa, ma anche quella profana trovò in Bobbio una degna sede, come appare dalle lettere di Gerberto, dal catalogo ricchissimo della biblioteca del convento, del sec. X, edito dal Muratori (Antiquitates Italicae Medii Aevi, III, coll. 817-824) e da quello del 1461 edito dal Peyron, in cui figurano codici pregevolissimi di antichi classici (v. sotto).
Quanto al reggimento civile, il borgo (poi, dacché fu sede vescovile, la città) di Bobbio fu retta dagli abati, poi dai vescovi (dal 1158 col titolo di conti); nel sec. XIV fece parte del ducato visconteo, venne da Filippo Visconti nel sec. XV infeudata alla famiglia Dal Verme e seguì le sorti dello stato milanese fino al 1748, epoca in cui con l'Oltrepò Pavese fu aggregata agli Stati Sardi. Unita fino al 1859 a Genova, con la costituzione del regno d'Italia passò alla provincia di Pavia, finché nel 1923 è stata unita alla provincia di Piacenza, con cui ha maggiori interessi.
Bibl.: Vitae Columbani ab. discipulorumque eius libri duo, auctore Jona, ed. Mabillon, in Acta Ss. Ord. S. Benedicti, II, i segg.; Migne, Patrol. Lat., LXXX, col. 1011 segg. e in Mon. Germ. Histor., Script. rerum Mer., IV, i seg. e Script. rerum Germ., 1905; B. Rossetti, Bobbio illustrato, voll. 3, Torino 1795; C. Cipolla, Una "adbreviatio" inedita di beni dell'abazia di B., in Riv. stor. Bened., I (1906), p. 24 segg.; Kehr, Italia pontif., VI, p. 245. Per i vescovi di Bobbio, vedi F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia, I, Piemonte, Torino 1898, p. 159 segg.; Cipolla e Buzzi, Codice diplomatico di S. Colombano di B., voll. 3, in Fonti per la storia d'Italia, LII-LIV, Roma 1918.
La biblioteca di Bobbio. - La biblioteca dell'abbazia di Bobbio dovette sorgere poco dopo l'istituzione dell'abbazia per opera di S. Colombano nella prima metà del sec. VII, sia per l'accumularsi di codici portati dai monaci irlandesi, sia per il nascere di una scuola scrittoria (v. paleografia) che doveva divenire un notevole centro di cultura. Grande incremento sarebbe venuto alla biblioteca dall'immissione di quella cassiodoriana del cenobio Vivariense e dalle elargizioni di Dungalo; sì che presto poté essere annoverata fra le più ricche del tempo. Risulta da un documento che intorno all'anno 835 già da tempo vi era un monaco addetto alla conservazione del materiale librario (bibliothecarius); in quell'occasione si stabiliva che la carica fosse conservata, e le si attribuiva anche la sorveglianza della scuola scrittoria, ehe dovette accrescere la biblioteca di numerosi manoscritti specialmente tra i secoli IX e X, nel miglior periodo della letteratura monastica. Nel sec. X appunto sembra che la biblioteca se ne accrescesse di 700; e ne fu allora redatto un catalogo abbastanza accurato che fu pubblicato dal Muratori (tratto da una fonte ora perduta o ignorata) nelle sue Antiquitates Italicae (III, coll. 817-24). Comincia da allora a stendersi un po' d'oblio sulla biblioteca bobbiense: sui primi del '400 fu fatta una revisione dei codici, notando su ciascuno di essi la pertinenza (Liber sancti Columbani de Bobio); nel 1461, dopo il passaggio del monastero alla congregazione di Santa Giustina di Padova, fu redatto un altro catalogo (pubblicato da A. Peyron in M. Tulli Ciceronis Orationum pro Scauro, pro Tullio et in Clodium fragmenta inedita, Stoccarda 1824, pp.1-68) e in questa occasione si diede una nuova numerazione ai volumi e se ne tracciò una breve descrizione sulla faccia interna della coperta anteriore. Ma già il monastero era in decadenza, e la biblioteca non si sottrasse di lì a poco a una graduale ma quasi totale dispersione, nonostante l'interesse destato negli umanisti che la scoprirono sulla fine del sec. XV. La fece conoscere alla fine del 1493 Giorgio Gabbiate, amanuense di Giorgio Merula, che ne tracciò un catalogo parziale servito a íar accorrere un gran numero di studiosi e a dar principio all'esodo dei codici.
Anche il Merula ne aveva fatto un catalogo, che è perduto, mentre conosciamo quelli di Tommaso Inghirami da Volterra nel libro IV dei Commentari urbani, e quello del 1503 trascritto da uno scriba pontificio in un codice della Biblioteca universitaria di Hannover. Sull'emigrazione dei codici nello scorcio del sec. XV e durante il XVI non abbiamo notizie compiute: sappiamo solo che già sotto Carlo Emanuele I un gruppo di essi era pervenuto a Torino. Si conosce invece l'entitȧ degl'incrementi che da Bobbio Federico Borromeo procurò all'Ambrosiana nel 1606, e Paolo V alla Vaticana nel 1618, recando gravissimo colpo alla già diminuita consistenza della secolare biblioteca. Il Mabillon la trovò infatti già povera, al pari del Muratori, che la visitò nel 1714; verso il 1722 i codici erano ridotti a I20. L'ultima dispersione avvenne tra il 1801 e il 1803, quando venne venduto all'asta il pochissimo che rimaneva, e aggiudicato a un certo dottor Buthler, medico della comunità di Bobbio, per 50 franchi! Nel sec. XIX il governo piemontese incaricÒ Amedeo Peyron di rimracciare i codici bobbiesi: se ne raccolsero così più di 100 membranacei, antichissimi, che entrarono nella Bibl. naz. di Torino; ma l'incendio del I904 ne risparmiò solo 59 e non tutti illesi.
Altri codici bobbiesi sono dispersi per le biblioteche d'Italia e dell'estero. Importanti soprattutto i nuclei ambrosiano (in cui si notano particolarmente manoscritti miniati di varie epoche, dai Dialoghi di San Gregorio del sec. VIII al Liber diurnus del IX e al Messale del X) e torinese (che comprende fra l'altro il celebre codice K degli Evangeli di Marco e Matteo, e i Vangeli irlandesi); ma codici non meno insigni sono nella Vaticana, nella Laurenziana (Virgilio mediceo) a Napoli (Carisio) a Vienna (Appendix Probi a Wolfenbüttel (ms. grammaticale), in Francia, in Inghilterra.
Scoperte particolarmente preziose fruttò l'indagine intrapresa nel sec. XIX, da Angelo Mai e da altri, dei palinsesti bobbiensi, di codici cioè che, specialmente tra la fine del sec. VIII e il IX furono costruiti disfacendo i libri classici preesistenti e riscrivendovi per lo più testi di carattere religioso. Si recuperarono così frammenti prima ignoti di orazioni ciceroniane e cassiodoriane, brani di versioni della Sacra Scrittura e altri testi assai interessanti.
Bibl.: A. Peyron, De Bibl. Boiensi commentatio, in M. T. Cic. orationis pro Scauro ecc. fragmenta inedita, Stoccarda 1824, pp. 1-68; G. Becker, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn 1885, p. 64; Th. Gottlieb, Über Handschriften aus Bobbio, in Centralbl. f. Bibliothekswesen, IV (1887), p. 442; O. V. Gebhardt, Ein Bücherfund in Bobbio, ibid., V (1888), p. 343 segg., 383-528; G. Ottino, I codici Bobbiesi nella Bibl. naz. di Torino indicati e descritti, Torino 1890; Seebass, Handschriften von Bobbio in der Vaticanischen und Ambrosianischen Bibliothek, in Centralbl. cit., XIII (1896), p. 27 segg.; A. Ratti, Le ultime vicende della biblioteca e dell'archivio di San Colombano di Bobbio, Milano 1901; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici greci e latini ne' secoli XIV e XV, Firenze 1905, pagina 157 segg.; Collezione paleografica bobbiese, I: Codici bobbiesi della Bibl. nazionale di Torino con illustraz. di C. Cipolla, Milano 1907; C. Cipolla, Attorno alle antiche biblioteche di Bobbio, in Riv. stor. benedettina, 1908, pp. 561-580; A. Ratti, Reliquie di antico codice bobbiese, in Miscellanea Ceriani, Milano 1910, p. 789 segg.