NOORDA, Bob
– Tra i principali artefici del rinnovamento della grafica italiana, nacque ad Amsterdam il 15 luglio 1927, secondogenito di Gerbrand e di Catharine Thrump. Il fratello maggiore si chiamava Gherard.
Nella città natale studiò all’IvKNO - Instituut voor Kunstnijverheidsonderwijs (Istituto per l’educazione alle arti industriali, dal 1968 Gerrit Rietveld Academie) diplomandosi nel 1950. Gli studi qui compiuti incisero profondamente sul suo pensiero e sulla sua metodologia introducendolo alle idee funzionaliste provenienti dal Bauhaus e dal De Stijl.
Già durante il servizio militare in Indonesia, allora colonia olandese, ebbe modo di lavorare a pubblicazioni per l’esercito. Rientrato a fine 1949, dopo la proclamazione d’indipendenza del paese, fece pratica come libero professionista in un piccolo studio di pubblicità di Amsterdam. Maturò presto l’idea di spostarsi e, indeciso fra Stati Uniti e Italia, scelse Milano, dove si stabilì nel 1952, attratto dal clima di fermento industriale e culturale che in quegli anni richiamava molti progettisti stranieri, specie dalla Svizzera e dal nord Europa.
Epicentro economico e finanziario del paese, Milano incarnava quel particolare intreccio fra mondo imprenditoriale e cultura del progetto, determinante per l’affermazione della ‘via italiana’ al disegno industriale, celebrata e riconosciuta nel mondo. A partire dalle maggiori, come Olivetti, Italsider, Montecatini, La Rinascente, Necchi, Rai, Pirelli, le aziende affidarono ai grafici – affiancati ad architetti, designers, fotografi, artisti e intellettuali – il compito di tradurre in artefatti comunicativi moderni la loro immagine pubblica e promuovere la diffusione degli oggetti industriali. Assieme a Studio Boggeri, Erberto Carboni, Franco Grignani, Max Huber, Giancarlo Iliprandi, Bruno Munari, Michele Provinciali, Albe Steiner, Pino Tovaglia e altri, Noorda contribuì a consolidare le istanze razionalizzatrici della cultura del progetto milanese, risalente agli anni Trenta e, al contempo, ad allontanarla sia dall’osservanza rigida delle regole del modernismo sia dalle forme più aggressive della pubblicità. «Quando arrivai in Italia, gli industriali affidavano ancora la pubblicità a illustratori e pittori. Siamo stati tra coloro che hanno introdotto qui la grafica moderna […] un misto di architettura d’interni e industriale, di design e di pubblicità» (B. N. Una vita nel segno della grafica. Dialogo con Francesco Dondina, Milano 2009, p. 13).
Conobbe allora Pavel Michael Engelmann, grafico americano di origine cecoslovacca, che lo introdusse nello studio di pubblicità Sigla di Mario Bellavista, dove realizzò il restyling del marchio dei biscotti Pavesini, e nel 1953 nel Servizio propaganda Pirelli diretto da Arrigo Castellani. Altre frequentazioni furono quelle con lo svizzero Max Huber, che gli valse la collaborazione con lo studio Boggeri per il manifesto per gli orologi Lanco (1956), o con Leen Averink, altro graphic designer olandese. Fu però soprattutto il rapporto professionale con Castellani a segnare la sua attività. La facilità di gestione dell’immagine complessiva, la versatilità nell’uso dinamico degli elementi grafici e tipografici, l’abilità nell’esprimere sinteticamente i contenuti furono fondamentali per tradurre le scelte strategiche di Castellani che nel 1961 lo volle come art director.
Tale scelta si rivelò felice e adeguata al coordinamento del lavoro grafico dell’azienda che, in quegli anni, coinvolse nomi illustri della grafica nazionale e internazionale per interpretare l’eterogeneità dei prodotti Pirelli, elaborando uno ‘stile industriale’ originale fondato sulla compresenza di registri linguistici differenti: dalle illustrazioni di Riccardo Manzi o Raymond Savignac, alle astrazioni di Ezio Bonini, Giulio Confalonieri e Ilio Negri, Pino Tovaglia o Alan Fletcher.
L’esperienza con Pirelli, chiusa nel 1962-63 con la fondazione del proprio studio, aiutò Noorda ad assimilare la cultura del progetto italiano e a consolidare le relazioni con l’ambiente imprenditoriale milanese. Nel 1963 divenne consulente artistico per l’imballaggio di Upim-La Rinascente e nello stesso anno fu chiamato da Franco Albini – col quale aveva già condiviso gli interventi al padiglione Montecatini della Fiera campionaria di Milano – a partecipare al progetto delle stazioni della linea 1 della Metropolitana milanese, pionieristico esempio di un sistema unificato capace di integrare elementi architettonici, grafici e d’arredo, grazie alla collaborazione in fase progettuale fra Noorda e lo studio d’architettura Albini-Helg. Nel frattempo aveva sposato Ornella Vitali (1960) ed era nato Helbert Jan (1962-2005), al quale seguì Catharin (1967).
Il suo lavoro – fondato su scrupolosa indagine, su flussi e disposizione logica degli spazi, su meticolosa verifica dei dettagli tipografici in base a criteri di leggibilità in movimento, sull’invenzione di una fascia continua superiore che ripetendo il nome della stazione a intervalli costanti rendeva più rapida e sicura la discesa – divenne parte di un modello destinato a far scuola in tutto il mondo. L’intervento, avviato nel 1964 e che definì anche il logotipo «M» poi adottato in altri sistemi metropolitani italiani, rimase inalterato per molto tempo (fino almeno ai primi anni Duemila). «Per me la segnaletica è il sistema-guida dell’accoglienza […]. Il pensiero razionalista ti aiuta a capire la scelta migliore da offrire al pubblico, e questa, per me, è un po’ la funzione della grafica. […] Il grafico non è un artista che possa agire secondo il proprio libero pensiero […] non mi sono mai sentito libero, in questo senso, perché ho sempre dovuto individuare un sistema visivo facilmente comprensibile per il pubblico. È questa, per me, la grande differenza tra l’opera dell’artista e quella del grafico [...] e la differenza tra pubblicità e grafica» (B. N.Una vita, cit., pp. 28 s.).
Anche in seguito alla comune attività di insegnamento a Milano e Venezia – rispettivamente alla Scuola del libro della Società umanitaria guidata da Albe Steiner, dove fu docente nel 1962-65, e al Corso superiore di disegno industriale nel 1963-64 – Noorda iniziò a collaborare con Massimo Vignelli. Il consolidarsi di tale amicizia e la condivisione di intenti lo portarono prima a valutare la possibilità di associarsi, insieme alla moglie, con Vignelli e la moglie di questi Lella Valle, e poi a partecipare alla realizzazione di Unimark International.
Fondata il 4 gennaio 1965 da Ralph Eckerstrom, Jim Fogleman, Wally Gutches, Larry Klein, Noorda e Vignelli, l’organizzazione composta da più unità in sedi distinte – prima a Chicago, New York, Milano, poi a Londra, Detroit, Denver, San Francisco e Johannesburg – Unimark si impose come l’esperienza mondiale più dirompente di grande multinazionale del corporate design. Fu concepita infatti per gestire l’immagine aziendale dei grandi colossi mondiali, nell’obiettivo di conciliare l’approccio americano al marketing e al business con la tradizione europea del design. Noorda ebbe un ruolo cruciale nei suoi primi anni di vita. Assunse la carica di vicepresidente e di design director della società e di responsabile del design delle sedi di Milano – incarico condiviso per breve tempo con Vignelli, andato a dirigere la sede di New York a fine 1965 – e di Londra.
Contribuì a importanti progetti – fra gli altri all’elaborazione dei sistemi segnaletici della metropolitana di New York (1966) e di San Paolo del Brasile (1973) – e gestì la sede di Milano, in via S. Maria Fulcorina, ben più a lungo delle altre sedi che già attorno al 1972 sostanzialmente cessarono le attività. Grazie alla conversione nel 1969 della filiale italiana in società autonoma, con la partecipazione anche di Salvatore Gregorietti, Franco Mirenzi e Mauro Boeri, l’attività di Unimark International si prolungò fino al 2000, conservando i diritti del nome. La versatilità e la duttilità dell’impostazione di Noorda non fu estranea alla stabilità di questo ufficio che – seppur di dimensioni contenute e con collaboratori scelti in base alle necessità – conservò una clientela diversificata con una vasta offerta di interventi realizzati attraverso il dialogo diretto con i committenti allo scopo di «cucire l’abito giusto per quell’azienda» (B. N. Una vita, cit., p. 58).
Nel frattempo, dal 1985, divenne socio anche di Noorda Design – società della moglie – proseguendo una collaborazione mantenuta ancora dopo il 2000. I suoi lavori furono numerosissimi e diversificati: dall’identità visiva alla pubblicità, dal packaging al marchio, dall’allestimento al design di prodotto. E, grazie all’esperienza di Unimark a metà anni Sessanta, fu tra primi grafici della comunità milanese a sperimentare metodologie progettuali più sistematiche per offrire alle aziende quei servizi chiamati allora nel nostro paese di «disegno coordinato».
Coniugando rigore metodologico, attenzione alla fruibilità, rispetto della storia, capacità di sintesi e scarto innovativo, elaborò sistemi identitari articolati, destinati al riconoscimento delle imprese nel mondo, affermando, fra l’altro, la pratica del manuale di immagine coordinata, deputato a regolare tutti gli elementi del progetto in modo da garantirne l’applicazione unitaria e la continuità nel tempo. Introdotto probabilmente per la prima volta in Italia da Noorda nel 1966, nel progetto per Birra Dreher, il manuale si impose come uno degli strumenti più efficaci per declinare le scelte dei grafici. Così fu, per esempio, quando nel 1972 affrontò la nuova identità internazionale di Agip-Eni (ripresa nel 1998 nel momento in cui gli fu affidato il rinnovo di Eni spa) per la quale elaborò un ampio programma di interventi, caratterizzato da codici cromatici precisi, una gabbia strutturale e nuovi pittogrammi, integrati al nuovo marchio, rivisto rispetto alla versione del ‘cane a sei zampe’ di Luigi Broggini del 1952, e a un carattere tipografico studiato ad hoc.
Oltre a sperimentare simili soluzioni per Total e Truman’s Beer, quest’ultima sviluppata con la sede londinese di Unimark, partecipò al gruppo guidato da Hans von Klier che definì il nuovo sistema di identificazione Olivetti proponendo una inedita soluzione per gli imballi (1970-73) e nel tempo lavorò con altre multinazionali come Ford, General Electric, Rank Xerox, Mitsubishi Motors, Philips o Shiseido.
Si distinse altresì per le collaborazioni con le più note aziende del design italiano, disegnando marchi e strutture visive più estese, per esempio, per Arflex, Brionvega, Cassina, C&B, Fusital, Richard Ginori, Lema, fino a spingersi nel 1968 a progettare Modulo 3, sistema di mobili per ufficio distribuito anche negli Stati Uniti (con Mirenzi). Numerose altre imprese italiane di settori differenti si rivolsero a Noorda nell’arco della sua carriera: Italtel, Max Meyer, Luciano Soprani, Ermenegildo Zegna, Banca commerciale italiana, Banco di Desio, Cassa di risparmio di Torino (con Roberto Sambonet), Barilla, Chiari e Forti, Coop fra le altre. Con quest’ultima, inaugurò nel 1984 una lunga collaborazione per la ridefinizione dell’identità visiva che comprese, fra l’altro: ridisegno del marchio (realizzato precedentemente da Steiner), archigrafie, segnaletica, disposizione interna dei punti vendita. E ancora, nel settore delle società di servizi, soprattutto a partire dall’inizio del nuovo secolo, si occupò di Aci, Aem, Amsa e Enel (con Maurizio Minoggio), Hera e varie altre. Né mancarono le relazioni con istituzioni pubbliche, associazioni e organizzazioni culturali. In particolare, lavorò per la XXXIII Biennale internazionale d’arte di Venezia (1966) e per le edizioni XVIII e XIX della Triennale di Milano (1992 e 1996) ma in questo ambito il suo progetto più noto fu il marchio della Regione Lombardia (1974). Studiata con Sambonet e Tovaglia in un team coordinato da Munari, la restituzione grafica della cosiddetta ‘rosa camuna’, graffito rupestre della val Camonica, rielaborata sui nessi delle geometrie leonardesche, è considerata un esempio ineccepibile di serietà d’impostazione e rigore metodologico.
In quasi sessant’anni di professione, realizzò oltre 170 marchi, segnando indelebilmente la veste del tessuto industriale, istituzionale e culturale italiano. Importanti furono anche le sue collaborazioni in campo editoriale, cominciate nei primi anni Sessanta con l’elaborazione delle vesti grafiche di riviste come Questo e altro e Aut Aut per Lampugnani Nigri Editore, la copertina di Pagina per Editoriale Metro e il marchio per Vallecchi (nato da un’idea del direttore editoriale Geno Pampaloni). Le proseguì per tutta la sua carriera con la definizione della pubblicista nell’ambito del progetto – a segnare, per esempio, l’esordio di Ottagono (1966) o de L’Arca (1986) – e delle immagini coordinate dei grandi gruppi, da quando la grafica editoriale si trasformò profondamente per cercare nuovi modi di presentazione sul mercato. Continuò la collaborazione con Vallecchi, realizzando un programma complessivo di rinnovamento, e assunse nuovi incarichi riguardanti, per esempio, le case editrici Feltrinelli (dal 1966), CEI (Compagnia edizioni internazionali; dal 1966), Mondadori (1969), Sansoni (dal 1972) o Touring club italiano (dal 1978), oltreché Garzanti e Tea. In particolare, il rapporto con Feltrinelli, iniziato nel 1966 assieme a Vignelli e frutto della relazione diretta con Giangiacomo Feltrinelli, portò al progetto coordinato di più collane – delle quali la più caratterizzata fu SC/10 per la forte serialià compositiva – e culminò nel 1981 con la ridefinizione totale (assieme a Gregorietti) dell’identità visiva dell’azienda, garantendo omogeneità e riconoscibilità attraverso l’adozione di pochi segni invarianti. Nel 1969 progettò il marchio per Mondadori – la lettera A con la M inscritta al suo interno – che mantenne inalterato nel 1996, associandogli il nuovo logotipo, quando sviluppò il manuale di identificazione esteso poi alle altre società del gruppo. Anche il rapporto con il Touring club italiano (1978-2007), iniziato con il redesign del marchio – conservando lo storico tricolore nella ruota di ciclo ma cambiando l’acronimo da CTI a TCI – e trasformatosi in un incarico per l’art direction, lo vide realizzare progetti per collane e pubblicazioni, oltre all’immagine coordinata istituzionale. Particolarmente innovativa fu l’ideazione dal 1980 di un sistema di oltre 150 micropittogrammi da alternare al testo per garantire rapidità di lettura e armonia visiva nei corpi di piccole dimensioni, poi applicato a tutta l’editoria del Touring.
«Ho sempre dedicato la massima attenzione allo studio di ogni dettaglio […] Quando si lavora con il lettering e la tipografia, la cosa essenziale è ottenere la miglior leggibilità possibile […] Un designer è bravo se sa risolvere un problema, se offre un buon servizio, se propone una soluzione utile» (B. N. Una vita, cit., p. 63).
L’impegno per il riconoscimento della professione del grafico è documentato dalla sua partecipazione attiva a organismi nazionali e internazionali. Iscritto all’ADI (Associazione per il disegno industriale) dal 1961 e parte del comitato direttivo (1963-66), fu membro dell’AGI (Alliance graphique internationale) dal 1966, assumendone anche la presidenza nazionale (1979), e partecipò all’ICSID (International council of societies of industrial design; 1968-70).
A queste esperienze affiancò una costante attenzione per la formazione: nel 1974 entrò a far parte del primo Comitato scientifico didattico dell’ISIA (Istituto superiore per le industrie artistiche) a Urbino, dal 1980 svolse attività di docenza e coordinamento all’Istituto europeo di design a Milano e dal 1996 al 2001 insegnò alla facoltà del design del Politecnico di Milano, che nel 2005 gli conferì la laurea ad honorem in disegno industriale. Nello stesso anno ricevette per la quarta volta il premio Compasso d’Oro-ADI, quest’ultimo alla carriera.
Morì l’11 gennaio 2010 a Milano e fu sepolto nel Famedio del Cimitero monumentale, riservato ai milanesi più illustri.
Fra i suoi scritti Eravamo una squadra molto affiatata, in Spazio ai caratteri. L’Umanitaria e la Scuola del libro, a cura di M. della Campa - C.A. Colombo, s.l. 2005, pp. 142 s.; ha curato, con V. Scheiwiller, 1872-1972 Cento anni di comunicazione visiva Pirelli, Milano 1990.
Fonti e Bibl.: B. N., in La progettazione sistematica nella grafica italiana (catal., Caltagirone-Roma), Roma 1987, s.p.; S. Gregorietti, B. N., M. Vignelli. Unimark international, in Disegnare il libro. Grafica editoriale in Italia dal 1945 ad oggi, Milano 1988, pp. 110-115; R. Hollis, Graphic design. A concise history, New York 1994, pp. 138-146; G. Baule, N., l’essenza del comunicare, in Linea grafica, 2005, n. 356, pp. 14-21; B. N. design (catal.), a cura di N. Ventura, Ferrara 2005; M. Piazza, Lo stile milanese: B. N., in Progetto grafico, 2006, n. 8, pp. 98-107; C. Vinti, Gli anni dello stile industriale 1948-1965, Venezia 2007, in part. pp. 167-235; J. Conradi, Unimark Interna-tional. The design of business and the business of design, Baden (Switzerland) 2010, passim; S. Heller, B. N. is dead at 82. Designer took Modernism underground, in New York Times, 23 gennaio 2010; M. Piazza, B. N. La misura dei segni, in Progetto grafico, 2010, n. 17, pp. 110-125; D. Baroni, B. N. e la grafica di sistema, in Op. cit., 2010, n. 138, pp. 5-17; M. Piazza, La grafica del Made in Italy, in La grafica del Made in Italy. Comunicazione e aziende del design 1950-1980 (catal., galleria Aiap), a cura di M. Piazza, Milano 2010, pp. 9-25, in part. pp. 22-25; On the road. B. N., il grafico del viaggio (catal., galleria Aiap), a cura di C. Ferrara - F.E. Guida, Milano 2011.