BLOEMEN, Jan Frans van, detto Orizzonte
Figlio di Pieter, nacque ad Anversa il 12 maggio 1662 e fu in pari data battezzato secondo il rito cattolico nella cattedrale di Notre-Dame.
Suoi fratelli, entrambi pittori, furono Pieter detto "Stendardo" (Anversa 17 genn. 1657-4 marzo 1720) e Norbert (Anversa 10 febbr. 1670-Amsterdam 1746 circa), noto con il soprannome di "Cefalo".
Notizie biografiche del B. si ricavano dalla vita che ne scrisse il Pascoli nel 1732 e dagli archivi romani consultati dal Hoogewerff: fino a quindici anni fu allievo di suo fratello Pieter, poi per tre anni, di Antonio Goubau, pittore di Anversa (Bombe, p. 236 nota 5). Sempre secondo il Pascoli, il B. a diciotto anni intraprese un viaggio per la Francia, a mano a mano disegnando, rimanendo lungo tempo a Parigi e raggiungendo a Lione (intorno al 1684: Bombe, p. 237 nota 1) suo fratello Pieter, che ivi lavorava con Adrian van der Cabel. I due fratelli si posero poi in cammino per l'Italia, sostando quattro mesi a Torino ove avrebbero avuto l'incoraggiamento di Vittorio Amedeo II. La loro presenza a Roma viene riscontrata per la prima volta nel 1688: erano dimoranti a S. Giuseppe e Capo le Case, ma già l'anno successivo passarono in via Margutta, nel centro dei "depentori fiammenghi". Il Pascoli racconta che al seguito di un cavaliere olandese i due fratelli viaggiarono per otto mesi a Napoli, in Sicilia e a Malta. Tornati a Roma, restarono nello studio di via Margutta, che era appartenuto a Claudio di Lorena, fino al 1693, anno in cui Pieter se ne rientrò in patria (per l'attività dello "Stendardo" in Italia, v. Busiri Vici, 1960).
Il B., divenuto nel frattempo celebre, si allogò definitivamente a Roma sposando nella primavera del 1693 Mattea Rosa Barosini da Zagarolo (Hoogewerff, 1942, p. 60). Il Pascoli ci racconta come il B. abbia dipinto "dal vero" vedute di Zagarolo per il duca Rospigliosi, di Vignanello per il principe Ruspoli e come andasse "a posta a Frascati, a Castello, in Albano, alla Riccia, a Gianzano, a Civita Lavinia, a Tivoli... e da per tutto e si fermò per prenderne in varie guise, e da varie parti e siti a disegnarli". Gli sposi andarono ad abitare in via della Croce, e il 21 genn. 1694 fu battezzata in S. Lorenzo in Lucina la figlia Giovanna (ibid., p. 189), il cui padrino fu G. Vanvitelli. Dal 1696 al 1708 la famiglia van Bloemen non è registrata negli Stati delle anime e questo lascerebbe pensare che si fosse stabilita a Zagarolo presso la famiglia della moglie. La ritroveremo a Roma nel 1709 dimorante in via Paolina (l'attuale via del Babuino), iscritta alla parrocchia di S. Maria del Popolo, con cinque figli (di cui due maschi) ai quali l'anno successivo se ne aggiungerà un altro (ibid., p. 166). Nonostante la sua fama sempre crescente, l'invidia degli accademici e il fatto che la paesistica fosse ancora considerata un genere inferiore resero vano il tentativo di Carlo Maratti, quando ne era il "principe" fra il 1699 e il 1713, d'introdurre il B. all'Accademia di S. Luca; il 30 sett. 1725, principe G. Chiari, il B. fu eletto ma non ebbe l'investitura ufficiale (Clark, p. 56 nota 2; Pascoli, p. 242). Questa ebbe luogo solo dopo che, il 6 maggio 1742, il B. ottenne una votazione unanime; forse un giusto risentimento lo indusse a metter piede all'Accademia solo nel giorno dell'insediamento, 26 luglio, limitandosi a donare un suo paesaggio quale "pièce de reception": l'effigie fattagli dall'ottimo ritrattista Domenico Duprà nel 1743 fu donata all'Accademia dal figlio Pietro dopo la sua morte (Hoogewerff, 1913).
Il B. morì a Roma e fu sepolto il 13 giugno 1749 nella chiesa degli Agonizzanti.
Dei suoi figli: Domenico, nato nel 1707, fu banchiere e pittore e continuò ad adottare il nome di "Orizzonte"; Pietro, rimasto adabitare in via Paolina, fu scrittore e indoratore e morì di 72 anni nel 1780 (Clark, p. 56 nota 4).
Il B. è da ritenersi il massimo divulgatore del paesaggio romano-pastorale - genere che godette di grandissima fortuna nella prima metà del Settecento - ed ebbe l'abilità di assimilare il naturalismo di Dughet alla chiarezza e trasparenza atmosferica di Claudio Lorenese: da qui il nome di "Orizzonte" con il quale talvolta firmerà le sue tele. Le sue inquadrature più che ai Colli Albani vanno riferite a quei borghi medioevali, a quei castelli solitari ed arroccati, spesso in rovina, che sorgono in mezzo ad una natura selvaggia.
L'estensione di un "catalogo ragionato" delle opere del B. è impossibile; la sua produzione supera di gran lunga quella già vastissima di Claudio di Lorena; anche il B. per la maggior parte dipinse i quadri "a coppie" che oggi purtroppo risultano spesso assurdamente smembrate: si tratta di solito di una veduta presa direttamente e per lo più entro la cinta di Roma (talvolta anche con aggruppamenti monumentali fantasiosi), e di un'altra nella collinosa campagna laziale (i due dipinti hanno in comune oltre alle dimensioni l'altezza di linea d'orizzonte).
Solo nella sua più tarda età il B. daterà talvolta alcune opere; si possono però far risalire all'iniziale quinquennio romano (1688-1693) i paesaggi, in cui è evidente, nell'aggiunta frequente di caprette saltellanti, la collaborazione del fratello Pieter, "peintre animalier".
Al primo periodo romano - tutto volto allo studio dell'opera del Dughet - appartiene la Campagna sull'imbrunire con cavalcature della Galleria Doria-Pamphili (foto Alinari 29518), la scena panoramica di paese alberato (tela 96 × 170 cm) di proprietà Caraceni a Roma e una coppia di quadri, di cui uno con il Colosseo, conservata a Milano presso De Micheli (tela 83 × 138 cm). Un notevole esempio di un'altra coppia di paesaggi di questo periodo giovanile si trova nella Galleria dell'Accademia di S. Luca (Gabinetto fot. naz., E, 36078).
Successivamente il B. viene ad assumere maggiore personalità, liberandosi dal cupismo di Dughet: l'esempio più solenne di questo periodo è la grandiosa veduta dell'Ansa del Tevere e Roma vista dai colli della Farnesina (Roma, Società Montecatini Edison), alla quale per gli animali collaborò il fratello Pieter. A questa, da considerare l'opera sua massima, possiamo abbinare le coeve già presso C. Aloisi, l'una con il ninfeo di Villa Medici e l'altra con pastori e armenti su fondo di paese; una tela della Galleria Rospigliosi con una fontana con lavandaie, caprette saltellanti e fondale di paese classicheggiante su di un corso d'acqua (Gabinetto fot. naz., E, 38458); e due appaiate (tele 80 × 137 cm) in casa Bises a Roma, in cui una con castello - le caprette eseguite da Pieter delimitano gli anni di esecuzione -, l'altra con il Colosseo sullo sfondo (il soggetto del "Colosseo" ricorre nei dipinti del B. lungo tutto l'arco della sua attività).
In queste, e nelle successive vedute, gli essenziali protagonisti sono gli alberi: "perché certamente niuno li potrà mai meglio [dipingere], per i tanti, continui e replicati studi che vi fur fatti" (Pascoli: vedi per questo M. Imdhal, Baumstellung und Raumwirkung. Zu verwandten Landschaftsbildern von Domenichino, Claude Lorrain und J. F. van Bloemen, in Festschrift M. Wackernagel, Köln 1958, pp. 179-181).
Una vasta serie di tele di medie dimensioni appartiene agli ultimi cinque anni del Seicento e ai due primi decenni del Settecento, forse sotto più aspetti la serie più felice del B.: le figure, sempre di sua mano, e gli alberi vanno vieppiù ammorbidendosi in contorni imprecisi e cromatici tocchi impressionistici. Si ricordano, fra le altre opere, una tela della Galleria dell'Accademia di S. Luca (Gabinetto fot. naz., E, 36035); due appaiate della Galleria Pallavicini, di cui una con veduta del Celio e l'altra con il Belvedere del Vaticano (tele 118 ×165 cm) ed infine un paesaggio con tre figure di contadini in primo piano (tela 45 × 73 cm: nel 1966 presso l'antiquario Böhler di Monaco di Baviera), dove per la prima volta si riscontra la firma "VB. Alias Orizont"; altro notevole esempio è la coppia della collezione E. Buffolo a Roma (46 × 75 cm) con Veduta della zona di Terracina e Veduta romana.
La prima data che si trova segnata in un'opera del B. è il 1711: in una delle cinque tele ovali, di alta qualità pittorica, della collezione G. Balella in Roma (Gabinetto fot. naz., E, 4618; dello stesso formato è il pendant dell'Accademia di S. Luca antecedente al 1693).
Già il Pascoli notava che spesso le figure, nei paesaggi del B., sono di mano di collaboratori: da C. Maratti a B. Luti a L. Garzi. Il Clark (p. 57 nota 7) attribuisce al Passeri le figure del Sacrificio di Abramo e della Maddalena nel deserto confortata dagli angeli, in due piccoli ovali accoppiati della collezione Busiri Vici: dipinti intorno al 1710, costituirebbero il primo esempio di questo genere di collaborazione. In due pendants della collezione Caraceni, a Roma, datati 1739, le figure del Batoni mal si adattano alla paesistica così naturale del B., soprattutto per un'eccessiva finezza esecutiva. Questa serie di collaborazioni, specie negli anni ancora giovanili, fu probabilmente dovuta al fatto che le figure impressionistiche eseguite dal B. stesso, di un'inventiva semplice e paesana, in anticipo sui tempi, non potevano incontrare il gusto dei contemporanei, mentre in realtà sono in assoluta armonia con le sue quinte e i suoi fondali.
Nel 1737 è registrata per la prima volta la collaborazione con P. Costanzi (Colosseo dal vialone della Navicella, firmato; Roma, Galleria dell'Accademia di S. Luca) che sarà frequente negli anni successivi soprattutto per le cosiddette "tele da imperatore" di grandi dimensioni; in esse però le figure in secondo e terzo piano sono sempre del Bloemen. Questa consuetudine collaborativa è testimoniata dalle due tele sagomate e incorniciate in stucchi (1742), con il Buon Samaritano e la Cananea ai piedi di Gesù, del Caffehaus nel giardini del Quirinale; da quattro paesaggi, di cui due a pendant, della Galleria Nazionale a Roma (catal. 1954, e, per i pendants, catal. 1956, nn. 9, 10); da un altro dell'Accademia di S. Luca (Gabinetto fot. naz., E, 36034); da un paesaggio con il suburbio Nomentano presso Augusto Pino a Roma; da una coppia di quadri, di cui uno con il Colosseo, della Galleria Pallavicini (Gabinetto fot. naz., E. 29475 e E, 29476); e da due solenni tele a pendant, firmate (Roma: G. Florio, datata 1742, con fondale del Colosseo, e collezione Busiri Vici).
Nell'ultimo decennio della sua attività segnato dalla collaborazione del Costanzi, la veduta si amplia in senso "grande angolare", raggiungendo le qualità di chiarezza delle vedute veneziane del Canaletto: le colorazioni atmosferiche degradano dall'azzurro più intenso dello zenit all'argenteo giallo-rosato della linea di orizzonte.
Ultima opera, firmata e datata 1744 (ma l'età di ottantotto anni è un evidente lapsus del pittore), è il paesaggio già nella collezione Rospigliosi nel quale figure, caprette e cane sono sicuramente di mano del B., che sembra quasi voler opporsi polemicamente all'uso delle "collaborazioni", dimostrando inoltre di aver fatto suoi gli insegnamenti del fratello Pieter.
Rarissime le opere grafiche reperibili, benché nell'inventario dell'architetto Carlo Marchionni siano segnalati otto volumi di disegni di lui, purtroppo scomparsi (A. Clark, in Paragone, XV [1964], n. 169, p. 47). Un disegno acquarellato a penna (carta 259 × 391 mm) è apparso nel 1967 in un catalogo dell'antiquario Houthakker di Amsterdam; un altro anche a penna e acquerello è nella Whitworth Art Gallery di Manchester.
Il B. fu incisore estroso ma di modesto livello, a giudicare dai sei paesaggi, firmati, conservati al British Museum; cinque paesaggi sono pubblicati in A collection of original etchings... by Rembrandt... Horizonti..., London 1816, nn. 62-66: sono descritti in Nagler, che cita una sesta incisione (veduta dell'interno del Colosseo) al British e fa riferimento a una ediz. del 1826 della pubblicazione londinese.
Secondo il Lanzi "i palazzi romani ridondano di suoi paesi a fresco", ma, al di fuori di un fregio dipinto ad olio a palazzo Borghese, non se ne è trovata altra traccia. Esistono invece tempere del B. nella Galleria Pallavicini; una serie di sette panoramiche di alta qualità (50 × 178 cm) si trovano nei depositi della Galleria di palazzo Pitti a Firenze: facevano forse parte della decorazione di una sala di un palazzo romano.
Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. Apost. Vaticana, Bibl. Capponi, ms. 257: N. Pio, Vite dei pittori,scultori ed architetti…, Roma 1724, pp. 124, 125; L. Pascoli, Gianfrancesco Vamblommen, in W. Bombe, Eine unedierte Lebensbeschreibung des Malers J. F. van Bloemen, in Rep. für Kunstwiss., XLVI (1925), pp. 236-242 (commento, traduzione tedesca e note, pp. 230-236); L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, Bassano 1809, II, p. 225; S. Ticozzi, Diz. degli architetti,scultori,pittori…, Milano 1818, p. 50; P. Zani, Encicl. metodica... delle Belle Arti, I, 4, Parma 1820, p. 95; G. J. Hoogewerff, Bescheiden in Italie..., II, 's.-Gravenhage 1913, pp. 84, 90, 125; J. A. F. Orbaan, Virtuosi al Pantheon. Archivalische Beitrage…, in Rep. für Kunstwiss., XXXVII (1914), pp. 50, 51; G. Biasiotti, Benedetto XIV e il Casino... del Quirinale, in Illustrazione Vaticana, III (1932), pp. 142-146 passim; R. Buscaroli, La pittura di paesaggio in Italia, Bologna 1933, p. 87; I. Haumann, Das oberitalienische Landschaftsbild des Settecento, Strassburg 1927, p. 36; G. J. Hoogewerff, Nederlandsche kunstenaars te Rome (1600-1725)..., 's.-Gravenhage 1942, ad Ind.; L. van Puyvelde, La peinture flamande à Rome, Bruxelles 1950, pp. 139-142 (attribuisce erroneamente al B. una serie di disegni a penna di mano di G. B. Busiri e quattro tempere della Galleria capitolina); N. di Carpegna, Fiamminghi olandesi del 600 (catal.), Roma 1954, pp. 9, 10 (per Pieter); Id., Paesisti e vedutisti a Roma nel '600 e '700 (catal.), Roma 1956, pp. 10-12; A. Busiri Vici, Pieter van Bloemen detto "Stendardo", in Studi Romani, VIII (1960), pp. 279-287 passim; A. Clark, Un assortimento di figure ideali, in Paragone, XII (1961), n. 139, pp. 51-58; A. Busiri Vici, G. B. Busiri..., Roma 1966, ad Ind.; A. Wurzbach, Niederländ. Künstler-Lexikon, I, Wien-Leipzig 1906, p. 113; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, IV, p. 128.
Per il B. incisore: G. K. Nagler, Die Monogrammisten, München-Leipzig s.a., pp. 919 s.; Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, I, Paris 1854, pp. 380 s., dai quali si ricava la bibliografia precedente.