BLANDINI
Famiglia di ceramisti operosi a Caltagirone, noti sin dal sec. XVII (sono registrati i nomi di Diego, Michele e Mario). Il 4 sett. 1724 nacque da Ignazio e da Lucia Noto Antonino, che, come risulta dai registri della parrocchia di S. Giacomo, fu battezzato coi nomi di Ignazio Antonino Innocenzo.
Nel 1741, essendogli morto il padre, prese le redini dell'officina paterna, aiutato dai fratelli minori Mario e Giacomo. Nel 1751 è impegnato coi maestri F. Palazzo e N. Campoccia a eseguire tutto il rivestimento in mattoni maiolicati, con lo zoccolo e la palla pure in maiolica, per il campanile della locale chiesa della Madonna degli Angeli, secondo il disegno del maestro S. Gugliara. Sposò nel 1753 Teresa Barletta, da cui ebbe diversi figli, fra cui Ignazio, Vito e Giacomo, che ben presto avviò all'arte nella propria officina impiantata in una bottega concessagli a censo dal convento di S. Francesco d'Assisi nel 1754. In detta bottega, provvista di forno, cisterna e di attiguo laboratorio, sita nel rione dei ceramisti, presso la chiesa di S. Agata e di fronte all'ospedale dei Fatebenefratelli, Antonino lavorò intensamente, coadiuvato dai suoi tre figli e da diversi aiuti, fino al 1780. In quest'anno la bottega del maestro, insieme a tante altre officine di ceramisti, fu demolita, avendo la città deliberato di costruire in quel luogo il monumentale carcere borbonico. La nuova bottega di Antonino sorse allora fuori Porta S. Pietro.
La fervente attività di questa bottega e di quelle di altri maestri del tempo risulta da un atto del notaio caltagironese Ignazio Avila del 28 nov. 1782, conservato nell'Arch. di Stato di Catania, per cui Antonino, insieme con diciotto altri maiolicari, s'impegna di comprare annualmente per dodici anni cento quintali "d'arena per dosa di stagno".
Nel Museo nazionale di Palermo si trovano tre vasi datati 1771 e firmati rispettivamente da Antonino, dal fratello Mario e dal figlio Ignazio, oltre a una bottiglia maiolicata datata 1772, che fra l'ornato porta scritti, in uno scudo e nei cartigli affiancati, i nomi dello stesso figlio Ignazio, non ancora ventenne, e dei suoi compagni di lavoro nell'officina paterna, Luciano Messina e Giacomo Failla, quest'ultimo con la qualifica di scultore. Intorno a questo periodo la bottega di Antonino produsse grande quantità di vasellame per farmacie, decorato coi soliti cartigli e motivi a largo fogliame in giallo e verde su fondo blu ispirato al tipo di decorazione veneziana del tardo Cinquecento. La decorazione plastica, spesso vistosa, che sovente caratterizza le ceramiche degli aiuti, presenta generalmente dei colori e degli smalti meno brillanti di quelli usati dal coevo maestro caltagironese, Antonino Lo Nobile. Dalla stessa bottega uscirono anche molti pavimenti maiolicati, dove il maestro stese in scomparti una composizione floreale fatta di larghe volute e spire. In questo genere di lavori Antonino gareggiò coi bravi maestri suoi coetanei, fra cui N. e I. Campoccia, fratelli, N. Branciforti e A. Di Bartolo; illetterato, le firme che si trovano nelle sue opere sono spesso ortograficamente scorrette. La firma di Vito figura in un pezzo datato 1778. Un vaso da farmacia datato 1779 e firmato "Antonino Blandini" era posseduto dal Corona, che per errata lettura della scritta associò il Blandini caltagironese al Brandi, famiglia di ceramisti napoletani.
I figli di Antonino, Ignazio e Vito, sposarono nel 1781, rispettivamente Rosa e Giuseppa, figlie di Salvatore Bertolone, valente ceramista morto nel 1762, il quale insieme col fratello, anch'egli di nome Antonino, si era distinto in quella ceramica assai originale a decorazione marmorizzata, su superfici lisce e per lo più plasticate, ottenuta con la sovrapposizione di colori e bianco smalto colanti su un sottostante fusibile rivestimento in manganese.
Antonino morì l'11 febbr. 1800, all'età di settantasei anni e non ottantasei, come per errore si trova scritto nei registri parrocchiali di S. Giuliano. Come confrate dell'Immacolata, sotto il cui titolo era la confraternita dei ceramisti, fu sepolto nell'annessa chiesa dei padri conventuali di S. Francesco d'Assisi. Ereditò l'officina paterna Vito, essendo gli altri figli, Ignazio e Giacomo, morti entrambi nel 1788.
Vito, degno continuatore dell'arte paterna, fu spesso chiamato a dare la sua opera in diverse fabbriche. Nel 1797 era impegnato "a cuocere di prima e seconda cottura" ceramiche nella bottega di maestro Nicolao Lo Monaco. Dopo la sua morte, avvenuta il 28 nov. 1806, all'età di quarantotto anni, il figlio Gesualdo, pure ceramista, vendette nel 1820 la bottega paterna di Porta S. Pietro a maestro Antonino Failla, figlio di quel maestro Giacomo, plasticatore, che aveva lavorato presso Antonino. Cinque anni dopo moriva Gesualdo, ultimo rampollo della famiglia.
Bibl.: G. Corona, La Ceramica, Milano 1885, pp. 230, 312; G. Russo Perez, Anticipazioni sicil., in Faenza, XXIV (1938), p. 40; Id., Catal. ragionato della Raccolta Russo-Perez…, Palermo 1954, p. 128 s.; A. Ragona, La ceramica sicil. dalle origini ai giorni nostri, Palermo 1955, pp. 65-67; Id., Un ceramista caltagironese ed un prepotente committente di Vittoria…, in Faenza, L(1964), pp. 127-129.