BJØRNSON, Bjørnstjerne
Poeta norvegese, infaticabile agitatore e suscitatore della coscienza nazionale del suo popolo. Nacque d'antica famiglia di contadini l'8 dicembre 1832 a Kvikne, fra le montagne del Dovre, dove il padre era pastore in una misera parrocchia sepolta d'inverno fra la neve e non di rado visitata dagli orsi. Trasferito il padre a Nes, nel Romsdal, nel 1838 frequentò le scuole della vicina città di Molden; finché, nell'inverno del 1850, fu inviato a Cristiania, in quella singolare "Studentenfabrik", dove il gottoso militaresco professore H. A. S. Heltberg, in pelliccia e stivaloni, "secondo un metodo da lui stesso inventato", insegnava il latino a un'eterogenea schiera di giovani fra i 15 e i 35 anni, della quale già facevano parte Aasmund Vinje e Henrik Ibsen.
In una poesia umoristico-affettuosa, Gamle Heltberg (Il vecchio H., in Digte og Sange, 1870), il B. evocherà più tardi con commozione la figura del suo maestro; ma la vera forza formatrice del suo spirito fu, in realtà, fuori della scuola, nella vita, nel diretto contatto col rozzo e sano popolo, al quale egli sentiva internamente di appartenere, nella lettura delle antiche saghe, in cui la più profonda anima di quel popolo aveva un tempo trovato la sua poetica espressione. Quando nel 1853, dopo un nuovo soggiorno nel Romsdal, decise di darsi alla libera professione dello scrittore, il primo articolo che pubblicò fu una spietata accusa di vuoto formalismo mossa a tutti i poeti del tempo, compreso Welhaven, insieme con l'annuncio di "un mondo nuovo" che stava per sorgere. Divenuto critico teatrale a Cristiania, diede immediatamente battaglia per la creazione d'una scena nazionale norvegese; e, quando le parole parvero non bastare, trascinò all'assalto un esercito di seicento fischiatori" (6 e 8 maggio 1856). Succeduto a Ibsen nella direzione del teatro di Bergen (dicembre 1857), vi attuò, secondo la sua natura fattiva e imperiosa, le sue idee. Avverso a ogni rinsaldamento dell'unione con la Svezia, si gettò nella lotta politica; e, chiamato a Cristiania come redattore dell'Aftenblad (1859), portò tale impeto nella polemica, che ci perdette il posto. Alto, biondo, con gli occhi azzurri e con le spalle vaste, quadrate, dovette apparire come un "novello giovane Siegfried" alla fanciulla svedese che con gesto improvviso l'incoronò d'alloro a Upsala nel 1856, quando egli ivi prese parte al corteo degli studenti norvegesi. "Felice di sapersi poeta", felice "di combattere e di mostrarsi norvegese", si ispirò allo stile dell'Edda di Snorre nello stendere la prosa del suo primo dramma Mellem slagene (Fra le battaglie, 1856). E all'antica saga direttamente attinse anche per il dramma in versi giambici Halte Hulda (Hulda la zoppa), composto nel 1857 durante un soggiorno di sei mesi a Copenaghen, mentre, d'altra parte, l'ebbrezza di sentirsi "una cosa sola" col suo popolo gli ispirava nel 1859, fra altre liriche patriottiche, il canto Ja, vi elsker dette Landet (Sì, noi amiamo questo paese), destinato a diventare dopo il 1864, nella veste melodica datagli da R. Nordraak, inno nazionale. Il paesaggio norvegese, già descritto con freschezza di colori dal Welhaven e dal Wergeland, si popolò per opera sua, nella novella contadinesca Arne (1859) e nei varî Smaastycker (Racconti brevi, 1860), di figure individuali, ritratte con nettezza di segno e con ariosa vivacità. In Synnøve Solbakken, il romanzo che fu la sua rivelazione (1857), lo stile stesso della saga antica parve anzi direttamente rinascere come espressione spontanea delle passioni elementari di contadini del suo tempo. Infatti non soltanto la lingua è "sentita in un suo colorito locale, norvegese", come pronuncia, come cadenza, come sintassi, come tono di discorso e scelta d'immagini; ma è sentita come una cosa sola con la natura stessa di quegli uomini rudi, chiusi, parchi di parole, obbedienti con lineare semplicità ai supremi istinti della vita; e veramente un soffio di poesia antica, quasi di antico mito, avvolge le figure di Torbjørn, di Knut, di Aslak, nella storia del cozzar lento e ostinato, implacabile, delle passioni intorno alla bionda e dolce Synnøve, fino a che l'amore riesce a vincere sull'odio, "la luce sulla tenebra", e ogni nemico contrasto si scioglie, placato, in un accordo di cristiana carità.
Nel lungo soggiorno in Germania e in Italia, che seguì (1860-63: a Roma il B. si trattenne oltre un anno e mezzo, e risalgono a quel tempo gli entusiasmi per Michelangelo che dovevano dettargli più tardi alcune celebri conferenze), gli orizzonti naturalmente si ampliarono. A contatto con mondi diversi, ciò che prima era istinto, diventò coscienza; e anche il sentimento nazionale si schiarì in profondità, assunse una sostanza più complessa e più piena. Il mondo cessò d'esser chiuso fra gli scoscesi pendii del Romsdal. E, nel 1864, agli accenti di vergogna e d'ira di Ibsen aggiunse anche il B. il suo sdegno e il suo lamento, quando i popoli fratelli lasciarono che la Danimarca combattesse sola contro la Prussia una guerra senza speranza; così come, nel 1870, il sentimento vivo dell'unità di stirpe di tutti i popoli germanici lo fece invece esultare per la raggiunta unità dell'Impero. Poiché la personale esperienza gli ebbe insegnato che servire un'idea può pure voler dire soccombere e andare incontro al sacrificio, anche la sua poesia ne ricevette un contenuto nuovo, meno fresco e ingenuo, ma più ricco di senso di realtà, drammatico; e in tutte le opere composte a Roma - il poema epico-lirico Bergliot (1862), con la dolente storia d'amore e di sforzi vani di giusta vendetta, che rivestì più tardi della sua musica il Grieg; il dramma Kong Sverre (Re Sverre, 1861), con il suo avvicendarsi di grandezza e di sciagura nel violento urto delle contrastanti tendenze politiche; la trilogia drammatica Sigurd Slembe (1864; 1ª parte La prima fuga; 2ª parte La seconda fuga; 3ª parte Il ritorno), con il tragico destino a cUui l'eroe soccombe, malgrado il suo buon diritto, malgrado la sua indomita rude energia, perché egli vuole creare "un ordine nuovo" e su di lui si appesantisce inesorabilmente "ciò che già esiste", con il tremendo peso delle sue leggi, delle sue tradizioni, delle sue costumanze, delle sue morte ma intangibili convenzioni - dappertutto si sente la ferita aperta che duole nell'anima dell'esule, ma anche la poesia di una volontà eroica, di una forza tesa che nelle vicissitudini dolorose della lotta si tempra e, nel sacrificio individuale purificandosi, si esalta. Specialmente nella trilogia su Sigurd Slembe, il pretendente alla corona, che domina con le sue gesta la storia norvegese dal 1135 al 1139 ed è stato trasformato dall'immaginazione popolare in una delle più potenti figure della saga antica, tale poesia delle "grandi memorie", che il B. vedeva "splendere come boreale luce nella notte del nordico inverno", è, a tratti, ancora oggi, vivente. E con tale spirito il B. riprese, ritornando in Norvegia nel 1863, la sua posizione di lotta. Veemente, impulsivo, sensibilissimo a tutti gli avvenimenti della vita pubblica, fu, per un decennio, instancabilmente, poeta, drammaturgo, oratore, tribuno, giornalista, uomo di parte. Direttore del "Kria Teater" dal 1865 al 1867, redattore del Norsk Folkeblad (dal 1866), redattore della rivista danese For Ide og Virkelighed, fondatore e animatore di leghe sociali e politiche (Ibsen negò di aver mirato a lui nel tracciare la figura caricaturale di Steensgaard nella Lega della giovinezza, ma tutta Cristiania subito ve lo riconobbe), dappertutto presente con la sua infiammata eloquenza dove si celebrasse una patriottica festa o si tenesse un pubblico comizio o si discutesse un problema vitale per il suo paese, fu, fra le entusiastiche acclamazioni dei giovani, l'apostolo dell'idea liberale e nazionale. I suoi canti politici, come Jeg vil værge mit Land (1868; Io voglio difendere la mia terra) o il Norsk sjømandssang (1868; Canto del marinaio norvegese), appena composti, subito diventarono popolari. La tragedia Maria Stuart i Scotland, già iniziata a Roma ma non compiuta, con la figura della regina delineantesi sullo sfondo della Rinascenza, nel drammatico contrasto della sua ricca natura, alternatamente vinta ora dal suo meridionale istinto di abbandono alla vita ora dal nordico spirito di controllo e di dominio su sé medesima, segnò nel 1864 il definitivo trionfo dell'auspicato teatro nazionale; subito confermato con la creazione della prima commedia norvegese moderna Nygifte (Gli sposi novelli, 1865). Non mancarono le opposizioni, specialmente allo scoppiare delle polemiche intorno al progetto del giurista T. H. Aschehoug (1822-1909) per una nuova sistemazione dell'unione con la Svezia; ma il B. era uno di quegli uomini che credono in sé e nelle loro idee e nella vita; e proprio di quegli anni è una delle sue opere più serene: il racconto Fiskerjenten (La figlia di pescatori, 1868), dove l'idillio paesano della sua prima poesia momentaneamente rinasce, solo con più realistico colore, nella storia della giovane artista, che fra le pressioni dell'ambiente meschino e il disordine dei suoi impulsi trova a poco a poco la via verso la sua vita. Il poema Arnljot Gelline, ciclo di romanze in diverso metro sul tipo della Frithiofsaga di Tegnér, intorno alla figura d'un bandito dello Jemtland che s'aggregò con i suoi seguaci a Olao il santo nella guerra di riconquista della Norvegia e morì da cristiano al suo fianco nella battaglia di Stiklestad (1130), è appunto il poema della forza liberatrice che nasce dalla completa dedizione a un'idea: era stato incominciato a Roma nel 1861 come poesia dei sentimenti di un proscritto e, quando fu terminato nel 1870, fu invece la poesia della bellezza e grandezza che la vita acquista "quando l'uomo non pensa più a sé stesso ma soltanto alla fede per cui combatte". "Io non ho odio, io non ho rancore, contro nessun uomo sopra la terra": dice una delle liriche che il B raccolse in quello stesso anno nel volume Digte og Sange (Poesie e canti, 1870). E questo spiega anche il "mutamento d'insegna" che tutt'a un tratto l'isolò, due anni dopo, in pieno fervore di attività (Sigurd Jorsalfar, Sigurd il crociato, dramma, 1872; Brudeslaatten, La marcia nuziale, racconto, 1873), mentre la pubblicazione dei Samlede Fortælinger (Raccolta completa dei racconti, 1872) già sembrava quasi consacrarlo ormai fra i classici della sua patria. Nella raggiunta coscienza della germanicità della sua natura, volle superare anche lo strascico di risentimenti che la perdita dello Schlesvig aveva lasciato in tutti i paesi scandinavi: "io mi dimetto - scrisse - dalla lega dell'odio": "all'insegna dell'odio" dobbiamo sostituire "l'insegna dell'amore" e "risolvere fra popoli fratelli per via di amicizia la questione che la guerra del 1864 ha lasciata aperta". Da tutte le parti, in Norvegia e in Danimarca, lo attaccarono con violenza: non soltanto Ibsen e Andreas Munch, ma i suoi stessi amici più cari; come se egli avesse commesso un tradimento. Nel 1873 il B. ripartiva per Roma: e quale fosse il suo stato d'animo appare dal dramma Redaktøren (Il redattore, 1874), dove Halvdan Rein muore d'un colpo apoplettico in seguito alla violenta emozione per un articolo di giornale in cui è volgarmente attaccato. Ma già l'anno dopo, col racconto garibaldino Kaptejn Mansana (1875), e più ancora col nuovo dramma En fallit (Un fallimento, 1875; al quale mirò più tardi apertamente Ibsen con le satiriche Colonne della società), il B. riaffermava la sua fede nella fondamentale bontà degli uomini e della vita.
Il dramma del commerciante Tjälde, che, sull'orlo del fallimento, rinuncia a protrarre con l'azzardo di nuovi rischiosi affari la sua rovina, e affronta virilmente la realtà, apprestandosi a ricominciare con onesta dirittura la sua esistenza, non ebbe importanza soltanto perché il B. vi abbandonò il suo precedente mondo poetico per volgersi a problemi della società contemporanea, precorrendo in tal senso Ibsen e imponendo per primo il teatro scandinavo all'Europa; ma fu il segno iniziale di un più generale rinnovamento. Dietro la guida di Georg Brandes, il mondo intellettuale scandinavo cercava in quegli anni di inserirsi nella vita spirituale europea: i progressi della scienza, la teoria dell'evoluzione, gli enunciati della filosofia positivistica davano l'impressione come se un'umanità nuova, moderna, su nuove, scientifiche fondamenta si dovesse venire formando. Ritiratosi nella tenuta che aveva acquistato ad Aulestad nel Gudbrandsdal, dopo il ritorno dall'Italia nel giugno del 1875, il B. si diede a un'assidua lettura di libri di filosofia che si faceva mandare "di laggiù", dall'Europa, dov'era l'"oceano del pensiero"; e, "navigando a piene vele in quell'oceano", finì con l'approdare anch'egli ai "nuovi lidi". Il Cristianesimo, in cui era cresciuto e a cui era rimasto fedele, gli parve irrimediabilmente invecchiato: soltanto nella scienza, nel progresso doveva essere cercato Dio, "all'avanguardia, non alla retroguardia dell'umanità" e nell'operare per il conseguimento di "sempre nuovi veri" e di sempre più elevate forme di sociale convivenza doveva essere riposto "lo scopo religioso della vita". Il 31 ottobre 1877, in un famoso discorso, proclamava la sua nuova fede: "Credere nel pensiero umano, vivere nella verità"!
Il B. divenne così in Norvegia il maggior rappresentante di quella che fu la mentalità europea di quel tempo. E, secondo la sua natura entusiastica, si prodigò in una multiforme attività senza tregua, a servizio della nuova idea. Aggredì violentemente nel dramma Kongen (Il re, 1877) l'istituto della monarchia, mirando a colpire al di là di essa anche - e specialmente - la Chiesa che ne costituisce l'appoggio. Oppose nella commedia Leonarda (1879) la calda verità dell'umano cuore alle fredde e morte astrazioni d'una religione formalistica e convenzionale. Interpretando a suo modo il problema posto da Ibsen negli Spettri, rappresentò nel racconto Støv (Polvere, 1882) l'avvelenante influenza dei pregiudizî religiosi ereditati sopra l'animo della gioventù. Combatté aspre polemiche sulla critica biblica e sulle verità teologiche. Compose i Salmi della nuova fede positivistica evoluzionistica (Salmer, 1880). Affermò la necessità di istruire, educare, illuminare i contadini; e nella novella Magnhild (1877), nella commedia Det ny system (Il nuovo sistema 1878), li descrisse retrogradi, ignoranti, ritardatarî, irretiti in falsi preconcetti, ostili ad ogni progredire della civiltà perché ostili a tutto ciò che è nuovo: ad Arne Garborg, che lo rimproverava d'infedeltà verso sé stesso, rispose confessando apertamente che "col culto dei contadini, si era esagerato"; la loro forza era reale, ma latente, soffocata: bisognava "liberarla" perché potesse dare i suoi frutti. Contemporaneamente, e con non minor passione, si batté per l'instaurazione di una nuova morale. Già la novella Magnhild è una smascheratura delle falsità su cui gli pareva riposare l'istituto matrimoniale; e Agathe, in Leonarda, è una sorella della Nora ibseniana. "Vivere nella verità" doveva essere l'esigenza prima della vita morale, ed esserlo doveva per la donna e per l'uomo, in maniera assoluta: la commedia En Handske (Un guanto, 1883) proclama il diritto della donna a pretendere dall'uomo, prima del matrimonio, la stessa castità che l'uomo pretende da lei. Tutta la gioventù della Norvegia, come se si sentisse colpita in pieno da quel guanto che Svava getta in viso al suo fidanzato, ne fu messa in orgasmo: Hans Jaeger rovesciò la tesi in un suo scabroso romanzo (Fra Kria-Bohème, Dalla Bohème di Cristiania, 1885); discussioni senza fine divamparono; sorsero scandali; il B., per timore che si andasse verso una morale anarchia, percorse tutto il paese, ripetendo una sua conferenza apologetica sulla monogamia "fondamento indispensabile di ogni civile progresso".
Il valore poetico di queste opere non è grande, sebbene grande sia stata la risonanza che hanno avuto in tutto il mondo germanico: il meglio è, forse, dopo En fallit, la fresca e graziosa commedia Geografi og kærlighed (Geografia e amore, 1885), dove il B. ritrae, sotto le spoglie del professor Tygesen, sé stesso, o, in En Handske, la rappresentazione d'un ambiente familiare borghese fatta con grande leggerezza di tocco. Valgono, più che come poesia, come documento umano, per la sincerità di passione che vi si respira. Sono momenti della ricca e profonda esperienza umana, in cui il B. finì a poco a poco col ritrovarsi anche come poeta. E ne nacque nel 1883, come un'eco, forse, del Brand ibseniano, ma con un nuovo spirito, il dramma Over evne (Sopra le forze; una "seconda parte" - 1896 - è un dramma diverso e alquanto farraginoso, a fondo sociale, intorno alla figura di Elias, il figlio del pastore Sang), la più alta parola di umanità e di poesia che il B. abbia mai pronunciato: la pallida, trasfigurata e macerata immagine del pastore Sang, vivente sulla soglia del mistero dove le umane forze si arrestano, e soccombente alfine, con le forze spezzate, consunto dal suo stesso ardore, mentre la terribile ombra del dubbio gli si abbatte davanti, è rimasta anzi, forse, la più pura espressione che la coscienza religiosa del positivismo abbia raggiunto in Europa.
Soltanto a tratti, episodicamente, il B. ritrovò in seguito un così libero volo dell'ispirazione. L'infanzia di Tomas Rendalen, fra la stranezza del padre e la affettuosa e volitiva premura materna, in Det flager i byn og i havnen (Bandiere sulla città e sul mare, 1884) e la malinconica fine della delicata Magni lassù, in quel nordico angolo di mondo, dove tutto è gelo negli uomini e nelle cose, in Paa Guds Veje (Sulle vie di Dio, 1889), sono momenti di poesia vera e appassionante; ma il morto peso di preoccupazioni pedagogiche e di teorie spenceriane, che, nel suo progredire, il primo romanzo si trascina dietro, e la troppo schematica opposizione di pensiero moderno (dottor Kallem) e di teologia (pastore Ole Tuft), nel secondo, soffocano ed alterano spesso la spontaneità della vita.
Note di poesia schietta immediata s'incontrano piuttosto in alcuni dei racconti minori (Nye fortællinger, Nuovi racconti, 1893), in Mor's hæder (Le mani della mamma, 1892), in Een dag (Un giorno, 1893), in Absalon's Haar (La chioma di Assalonne, 1892), ma anche in essi la tendenza moralistica è evidente, come quella sociale nei drammi Laboremus (1901), Paa Storhove (A Storhove, 1902), Daglannet (Il podere Dag, 1904): la sola creazione teatrale veramente vitale è il dramma Paul Lange og Tora Parsberg (1898), in cui il motivo di Rosmersholm è tolto dalle sue elevate sfere di spiritualità quasi estatica e portato a contatto della realtà della vita. Anche altre composizioni: liriche, oratorî (Fredsoratoriet, Oratorio della pace, 1891), cantate (Lyset, La luce, 1895), si vennero via via susseguendo; ma la sua maggiore opera in questi anni il B. compié nella vita pratica. Assurto a una rinomanza mondiale (nel 1880-81 fu chiamato a tener conferenze anche in America); in personali rapporti con i maggiori uomini del suo tempo in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Italia (anche in Italia esistono tuttora, sparse, molte sue lettere inedite); abituato a vivere in una atmosfera intellettuale europea per i frequenti soggiorni fuori della patria, specialmente a Berlino e a Parigi, esercitò per un ventennio nel suo paese, pur senza assumere direttamente mandati politici, una influenza vasta, d'importanza storica. Fu tra i promotori dell'introduzione del sistema parlamentare in Norvegia; nel contrasto fra i partiti di destra e i partiti di sinistra, pur essendo egli stesso uomo di sinistra, seppe trovare spesso nel suo istintivo idealismo la linea d'equilibrio; contro gli unilaterali fautori del Landsmaal come lingua nazionale fece prevalere le ragioni pratiche e ideali favorevoli alla conservazione di un fondamento linguistico danese; reagì contro le esagerazioni naturalistiche nel mondo dell'arte e contro le degenerazioni anarchiche nella vita sociale; e soprattutto, ininterrottamente, fu alla testa del movimento d'indipendenza: con articoli, comparsi spesso anche in giornali stranieri, con discorsi e iniziative d'ogni genere contribuì potentemente a "sciogliere l'unione con la Svezia", prima che nella realtà, "nelle coscienze": fu una delle forze più vive e più attive nella lotta per le elezioni che condussero nel 1903 al governo di coalizione, e prepararono alfine, nel 1905, lo "scioglimento dell'Unione", per vie pacifiche, come egli aveva sempre auspicato. Quando il momento giunse, non acuì alcuna parola il risentimento latente di chi era costretto a cedere; restò, anche per motivi personali, in disparte, in silenzio.
Si comprende il fascino, da cui la sua figura è circondata in Norvegia, quando si tiene presente questa sua capacità di donarsi alla vita senza limite, questo suo spirito di eterna giovinezza. Il romanzo Mary, scritto a settantaquattr'anni (1906), nel suo tono veristico, testimonia la stessa fede nella forza di rinnovamento e di elevazione dell'anima umana, che aveva ispirato i suoi primi scritti e le sue prime lotte. Dal processo Dreyfus al processo Murri, dalla causa delle piccole nazionalità alla causa della pace, non ci fu in quegli anni nessun avvenimento politico o sociale e nessun dibattito di idee a cui egli sia rimasto estraneo. Con giovanile entusiasmo continuò a gettarsi in ogni mischia. Quando compose la patriottica Cantata del 1909, tutta mossa da un impetuoso lirico slancio, era già malato della malattia che lo condusse alla morte. Lo aveva preceduto da poco tempo nella tomba Ibsen, "grande e solo" com'era vissuto, dopo aver chiuso la sua poesia con un angosciato grido di rimpianto verso la vita invano fuggita, in quando noi morti ci destiamo. L'ultima creazione del B. fu la fresca e vivace commedia Naar den ny vin blomster (Quando il vino nuovo è in fermento, 1909): e nulla potrebbe significare meglio il contrasto delle loro personalità e dei loro destini che il contrasto di queste due loro ultime opere. Morì a Parigi, ove dall'autunno era in cura, il 26 aprile 1910.
Opere: Samlede Værker, voll. 12, Cristiania 1910-11, più volte ristampate; in versione tedesca Sämtliche Werke, trad. J. Elias, voll. 5, Berlino 1911. V. anche Artikler og Taler (Articoli e discorsi), ed. scelta di Ch. Collin e H. Eitrem, voll. 2, Cristiania 1912-13. Epistolarî: Aulestad, Cristiania 1911; Grotid, voll. 2, Cristiania 1912; Brytningsaar, voll. 2, Oslo 1921; anche in traduzione tedesca di H. Koht e J. Elias, Berlino 1912. E cfr. pure Briefe an seine Tochter Bergliot Ibsen, Berlino 1911. Fra le versioni italiane ricordiamo quì: per il teatro: Oltre il potere nostro, trad. U. Ojetti, Milano 1895; Un fallimento, Milano 1894; Sposi novelli, trad. M. Gloergen, Milano 1881; Il re, trad. F. Fontana, Milano 1894; Leonarda, trad. A. Moscariello, Milano 1904; e per il romanzo: Mary, 2ª ed., Milano 1910; Synnøve Solbakken, trad. M. Borsa, 2ª ed., Milano 1920; Arne, trad. A. Tommei, Città di Castello 1900, La figlia del pescatore, trad. A. Tommei, Città di Castello 1910; Un buon ragazzo, trad. V. Almany, Milano 1909; Le vie di Dio, trad. A. Tovajera, Milano 1914. V. anche lo scritto sul processo Murri in K. Federn, La verità sul processo contro la contessa Linda Murri-Bonmartini, Bari 1908.
Bibl.: Ch. Collin, B. Bjornson, voll. 2, Cristiania 1902-07, 2ª ed. 1924; G. Gran, B. B., Oslo 1910 e Normaend i det 19. Aarhundrede, Cristiania 1914; G. Neckel, B. und Ibsen, Berlino 1921.