BIRRA (fr. bière; sp. cerveza; ted. Bier; ingl. beer)
Tra le bevande prodotte dalla fermentazione dei cereali, conviene fare distinzione a seconda del cereale dalla cui fermentazione derivano, e a seconda del modo di fermentazione; ma conviene distinguere soprattutto le birre propriamente dette, cioè aromatizzate con luppolo quali sono attualmente diffuse in svariatissimi tipi, dalle bevande affini, senza luppolo come il kvas dei Russi, la būẓah e il fuqqā‛ dei fellāḥ d'Egitto, varie birre dell'America del Sud, ecc.. Prendendo il termine nella sua accezione più vasta, si può dire che nessuna bevanda sia così diffusa, e da tempi così antichi, come la birra: la cui area di diffusione, corrispondendo a quella del grano, del riso, dell'orzo, del granoturco, del miglio, ecc., copre, si può dire, l'intero mondo abitato, quando però si tenga presente che, nel paesi dove la viticoltura prospera, la birra non riuscì mai a sostituire il vino come bevanda di consumo generale.
Storia. Antichità. - Orzo, grano, spelta, ecc. crescevano nella Mesopotamia antica e documenti babilonesi ci mostrano, tra le bevande inebrianti (la cui fabbricazione è regolata, tra l'altro, dal codice di Ḫammurabi), insieme con il "vino di datteri" anche la birra, ricavata dalla fermentazione dei cereali. Era preparata da birrai, venduta da uomini e donne: un'ostessa, Ku-Bau (o Azag-Bau) figura come fondatrice di una dinastia di Kish, circa il 3100 a. C. Documenti che risalgono al 2800 parlano della fabbricazione della birra e delle varie qualità che se ne conoscevano: la birra figura tra le bevande offerte ai morti e in sacrificio agli dei. Il rituale del tempio di Uruk mostra come, tra le bevande che venivano presentate al dio Anu in diciotto vasi d'oro, fossero appunto quattro diverse qualità di birra. Nella civiltà cretese e micenea, il fatto che a Cnosso si siano trovati vasi speciali che recano spighe d'orzo in rilievo, con qualche altro indizio, permette di ritenere che la fabbricazione della birra non fosse sconosciuta.
In Egitto la fabbricazione della birra dai cereali risale a tempi antichissimi; in antico egiziano essa era chiamata ḥnq.t (*ḥĕnqe.t), rimasto in copto (saidico henke, boheirico hemki). La n, attestata solo da ortografie recenti, potrebbe essere sorta dalla dissimilazione di due q e stare cioè per un più antico *rhĕqqe.t. La parentela con l'accadico ḫīqu (dalla radice ḥwq "mescolare") sarebbe nell'ultimo caso molto probabile. Anche la spelta, con cui si fabbricava, in antico egiziano bṭ.t (*bŏṭe.t), copto bōte, si è voluta ravvicinare all'accadico buṭuttu; ma con minore ragione. Comunque, il legame glottologico non è punto prova che l'un popolo abbia trasmesso all'altro l'uso della birra, sebbene anche per la civiltà babilonese e assira la fabbricazione e l'uso della birra sia largamente attestato.
Dopo l'acqua del Nilo, specie per il ceto medio, la birra era in Egitto la più diffusa bevanda, fino da tempi remoti. Spesso nelle biografie le persone pie si vantano di avere dato pane all'affamato e birra all'assetato. Nella liturgia funebre, che rispecchia molto il cerimoniale della corte faraonica, quattro sorta di birra compaiono nel banchetto allestito al morto; ed anche nella preghiera con la quale si richiedono per lui alimenti, tra questi sono invocate migliaia di vasi di birra. In un papiro del museo del Cairo (P. Boulaq, XVIII), che tramanda in parte la contabilità di palazzo di un re della XIII dinastia, la birra, insieme con pane, talvolta anche dolciumi, carni, erbaggi, costituisce un elemento indispensabile nelle paghe o nei regali in natura versati al sovrano, ai membri della sua corte, ai funzionarî. Il tempio di Medīnet Habu, sotto Ramses III, introitava giornalmente 144 boccali di birra e solo qualcuno di vino; usati certo per il mantenimento dei sacerdoti e del personale amministrativo. Birra insieme con pani soleva portare ogni giorno la madre al giovane studente, che stava presso il maestro. Una razione sufficiente per un uomo sembra essere stata due boccali di birra e tre pagnotte; quattro pagnotte sono già un assegno che elargisce il re in segno di grande favore.
In medicina e in magia la birra era molto usata come liquido solvente o come specifico contro certe malattie: p. es., si curava con essa l'avvelenamento prodotto dalla puntura dello scorpione.
Gli Egiziani facevano risalire al dio sole, Rīe, la preparazione della birra, che scrittori classici ascrivono ad altri dei. In che cosa differiscano le numerose qualità che troviamo ricordate nei testi, non è possibile dire. Neanche abbastanza chiaro nei particolari è per noi il processo di fabbricazione, raffigurato sulle pareti di tombe, pure accompagnato come è da leggende geroglifiche. Si pensa ehe all'incirca fosse sino ab antiquo quello descritto dal famoso frammento di Zosimo da Panopoli (sec. IV d. C.), che è poi il modo ancora oggi usato in Nubia e nell'alto Egitto per preparare la būẓah. Molto ricercata in antico era una birra che veniva dalla Cilicia, sotto il nome di "birra di Qéṭe dai porti"; meno pregiata l'imitazione che se ne faceva direttamente in Egitto, forse da schiavi sirî. Anche alla Siria si attribuisce l'uso del sifone per centellinare il liquido depurandolo dalla feccia. In Egitto si trova alla fine della XVIII dinastia.
A popoli, come gli Elleni, di civiltà diversa da quella egizia, sembrava che il contentarsi di una bevanda così poco alcoolica fosse indizio di quella mollezza che è rimproverata tante volte agli Egiziani. Nelle Supplici di Eschilo l'araldo dice ai figli d'Egitto (v. 953): "negli abitanti di questa terra (la Grecia) troverete degli uomini sul serio e non gente che beve vino fatto con l'orzo!".
Le notizie che abbiamo sulla labbricazione della birra nel mondo ellenistico (ζῦϑος, ζύτος, ζύτον) ci derivano, oltre che dal frammento di Zosimo, da alcuni conti, conservati in papiri, di proprietarî di birrerie, nei quali sono menzionati i diversi stadî per cui passava la fabbricazione della bevanda. In generale il processo con cui si otteneva la birra era il seguente. Fatta una scelta dei chicchi d'orzo più belli, si inumidivano a più riprese sinché non cominciassero a tallire. Allora si mettevano ad asciugare al sole e, quand'erano ben secchi, si macinavano e se ne formavano dei pani. Quando questi pani erano lievitati si facevano cuocere appena appena, e quindi si lasciavano spappolare in una certa quantità d'acqua che, filtrata o passata per uno staccio, dava la birra.
La maggior quantità della birra presso gli Egiziani veniva fabbricata in casa e per usi domestici. Vediamo infatti che la tassa sulla produzione non è pagata da industriali, ma da minimi produttori (contadini, pastori, sacerdoti, ecc.). Solo nell'età dei Tolomei e in particolare nel sec. III a. C. (che nell'Egitto è l'età d'oro della birrificazione) l'industria birraria cominciò ad essere esercitata come un'industria a sé e per conto dello stato. Ma questo non durò a lungo. Infatti nei papiri delle età successive la menzione di birrai per professione ricorre rarissima. La fabbricazione della birra nell'Egitto ellenistico è oggetto di monopolio statale. Ma, poiché la birra di allora, come la būẓah dei contadini egiziani oggi, non si conservava a lungo (se ne eccettui la birra di stato del sec. III), il monopolio era esercitato mediante il rilascio di concessioni a pagamento. Ogni produttore doveva richiedere la concessione per poter liberamente produrre la birra. La tassa per la concessione era chiamata λυντηρά e veniva pagata allo stato con una somma globale (ϕόρος) da un appaltatore che esigeva le singole quote da ciascuno dei produttori. Questo sistema di esazione delle concessioni sembra fosse in vigore anche nel periodo della birrificazione di stato, quando cioè lo stato passava una quantità d'orzo (σύνταξις) a birrai di professione che fabbricavano la birra per conto dello stato; ed è nell'età romana il sistema normale: se non che in questa età vediamo menzionata una nuova tassa la ζυτοποιία κατ‛ἄνδρα che si suppone si differenziasse dalle altre in quanto colpiva i soli produttori per uso domestico.
Età medievale e moderna. - Passando ora in rassegna in uno sguardo retrospettivo, i principali paesi ove la birra è attualmente diffusa, osserviamo come in Germania la birra risalga ai primi gradini di civiltà dell'uomo; il consumo crebbe rapidamente col perfezionarsi del prodotto. Il luppolo contribuì assai verso il 1275 a renderla migliore. Il sec. XV e il XVI segnarono il culmine della floridezza dell'industria e del commercio della birra. Ad ostacolarli vennero poi le rivoluzioni, le guerre religiose che coinvolsero la nazione nella guerra dei Trent'anni, le forti tasse e le vessatorie disposizioni fiscali. L'epoca florida dell'industria non venne però dimenticata dagli avveduti duchi bavaresi che in tempo provvidero perché ritornasse fonte di benessere nazionale, mediante una politica industriale ad essa favorevole, tuttora in vigore. Nella Baviera dopo il 1620 la fabbricazione della birra ebbe di nuovo grande sviluppo, mentre nel secolo XVIII continuava nella Germania settentrionale la decadenza dell'uso. I primi inizî di perfezionamenti tecnici nella fabbricazione sono del sec. XVIII. I migliori maestri furono: Kaiser, Reischauer, Lintner, Knobloch. Già nel 1820 Monaco era sede dei migliori insegnanti della fabbricazione della birra e dal 1840 al 1870 la maggioranza degl'industriali birrai germanici frequentò le fabbriche di Monaco a scopo d'istruzione. Oggi ancora la scuola di Weihenstephnn e quelle di Monaco sono le più frequentate, sia per lo studio teorico sia per quello pratico.
In Inghilterra la fabbricazione risale a tempi remoti. Assunse maggior importanza nel sec. XII per quanto grandi quantità venissero importate dal continente. La produzione era frazionata, ogni famiglia o gruppo provvedeva al proprio consumo. Nel 1454 Enrico IV concesse alla corporazione birraria (Brewers' Company) la prima patente di franchigia. Nel 1822 venne fondata un'associazione per la difesa dell'industria, rinnovata nel 1904 sotto il nome di Brewers' Society con sede in Londra. Al sorgere delle grandi fabbriche e con l'introduzione della birra a bassa fermentazione, il consumo aumentò rapidamente, talché nelle statistiche l'Inghilterra figura tra le maggiori produttrici.
Per la Francia, nell'epoca in cui la vite era ancora sconosciuta, la bevanda comune era il mosto d'orzo. Quattro secoli prima dell'era volgare, Pitia raccontava ai Greci del mosto d'orzo bevuto dai Galli. Catone, Plinio il Vecchio dichiarano che bevanda nazionale è il mosto d'orzo. Sotto i Merovingi, i decreti reali contengono frequenti disposizioni sulla produzione e la vendita della birra. Carlo Magno s'intrattiene nel suo Capitulare de villis sulla birra e la sua fabbricazione. Altre disposizioni emanò Carlo VIII nel 1489 e tre editti Enrico IV. Nel corso del sec. XIX si ebbe un forte aumento di consumo.
In Grecia fino a pochi lustri or sono non esistevano che poche e piccole fabbriche di birra ad alta fermentazione. Il consumo maggiore era di birra d'importazione dall'Austria-Ungheria. Sorsero negli ultimi anni alcune fabbriche moderne a bassa fermentazione in Atene e Pireo. La produzione rimane però sempre limitata, per la preferenza che il popolo accorda al vino.
Il Giappone solo dopo l'apertura dei suoi porti al commercio mondiale, a partire quindi dal 1854, conobbe l'uso della birra. Il governo fondò la prima fabbrica a Sapporo nella provincia di Ishikari, situata nell'isola Hokkaido (Giappone settentrionale). Nel 1885 gl'Inglesi eressero a Yokohama la fabbrica di birra Kirin, dopo la quale, in quasi tutte le provincie dell'Impero, ne sorsero altre di varia importanza.
Il Messico non ha una storia della birra che risalga a date antiche. Solo negli ultimi anni il sorgere di alcune fabbriche fece sopprimere l'importazione estera.
Molto antica è invece la storia della birra in Norvegia, in quanto risale all'epoca dell'immigrazione dei Germani. In questo paese ve n'erano di diversi tipi: una leggiera, preparata con miele e anche con farina di latte, è tra le più antiche. Essa più tardi fu resa amara con l'aggiunta di rosmarino. Un altro tipo era fatto di malto, senza luppolo, ma con estratto di rami e foglie di ginepro e venne portato in Norvegia al tempo dei Vichinghi verso il 500-600 a. C. dall'Irlanda. Un terzo tipo era fabbricato con puro orzo aromatizzato con luppolo. La birra bavarese a bassa fermentazione venne fabbricata solo all'inizio del 1842, nella prima fabbrica di Cristiania.
Nel Portogallo il consumo della birra fu sempre limitato, essendo il paese eminentemente vinicolo. Le città di Lisbona e Porto consumavano birre d'importazione dalla Germania e Inghilterra. Fabbriche di poca importanza sorsero nelle capitali, che si svilupparono allorché maestranze estere vennero messe alla loro direzione.
Nella Svezia la birra fu sempre fabbricata quale bevanda di tutti i ceti, e la fabbricazione avveniva frazionata fra le principali colonie agricole e industriali, con mezzi empirici. Per lungo tempo si usò l'idromele ad alta fermentazione, aromatizzato con rosmarino silvestre. Nel Medioevo la birra venne importata in quantità rilevanti dalla Germania e dall'Inghilterra. Nel 1843 si fondò la prima fabbrica a Stoccolma sotto la direzione di F. A. Backmann, che divulgò il tipo bavarese a bassa fermentazione. Il consumo andò sempre più aumentando col sorgere di nuove fabbriche, oggi assai rinomate.
La Svizzera cominciò nel sec. XVIII l'industria della birra, essendo il vino e la frutta preferiti dalla popolazione. Verso il 1850 l'inasprimento del prezzo del vino a causa del cattivo raccolto, contribuì all'importazione di birra estera e al sorgere di nuove fabbriche. Lo sviluppo dell'industria fu assai lento, dovendo la Svizzera importare tutte le materie prime necessarie dall'estero. Presentemente però può considerarsi fra le più fiorenti, avendo sostituito il vino quasi in tutti i cantoni.
Nella Spagna la fabbricazione della birra era esercitata fino dall'Evo antico, particolarmente nelle piazze marittime, ove i Fenici, gli Egiziani, e più tardi i Goti e i Celti producevano la birra di tipo assiro-babilonese. Soltanto nel secolo scorso venne ripresa la fabbricazione della birra a bassa fermentazione. Lento è il progresso di tale industria per la forte concorrenza del vino.
In Danimarca per molti secoli la birra fu soltanto prodotto casalingo. Nel sec. XIII divenne merce commerciabile essendosene favorita l'importazione dalle città anseatiche. Nel 1838 la fabbrica di birra Kongens Bryghus, le cui origini risalgono al sec. XV, iniziò la produzione delle birre di deposito a bassa fermentazione. Nel 1885 lo studio sui fermenti fatto da E. C. Hansen (v.) arrecò un grande perfezionamento alla fabbricazione della birra influendo assai sulla sua inalterabilità, ed ebbe per effetto un notevole aumento del consumo.
La popolazione della Repubblica Argentina, in preponderanza di razza latina, in origine non fu bevitrice di birra. L'uso si è diffuso con la venuta di colonizzatori provenienti da altri paesi, e specialmente dai germanici. Sulle origini dell'industria si può dire ch'essa nacque tra il 1860 e il 1870, sviluppandosi verso la fine del secolo.
Il Belgio è il paese classico della birra poiché essa vi è comune, abituale bevanda popolare. Fino dal Medioevo e nel periodo del Rinascimento questa industria fiorì specialmente nel Belgio donde si divulgò attraverso tutta la Germania settentrionale fino in Scandinavia. Gambrinus ha qui le sue origini: lo si fa derivare da un certo duca Jan primus di Fiandra e Brabante che, vissuto nel sec. XIII, fece sviluppare mediante grandi privilegi l'industria della birra, tanto che i birrai lo scelsero quale patrono.
Nel Brasile, alla fine del secolo scorso, si fondarono a Rio de Janeiro e a San Paulo le prime fabbriche con impianti moderni, che permisero di portare sul mercato birre resistenti al clima, capaci di tener testa a quelle d'importazione europea. La prima sorse nel 1891. Nel 1900 esistevano già 27 fabbriche importanti con una produzione di circa 160.000 hl. Nel piccolo stato di S. Caterina, popolato dall'elemento tedesco, sorsero 35 piccole fabbriche di birra.
Finalmente l'Italia fino quasi alla metà del secolo scorso fu soltanto importatrice di birra dall'estero, e principalmente dall'Austria. In seguito, col migliorare delle condizioni politiche ed economiche, col graduale estendersi del consumo, sorsero nella parte settentrionale alcune modeste fabbriche, che a prezzo di grandi sacrifici assicurarono questa industria al nostro paese. Si nota un costante e progressivo aumento del consumo in questi ultimi anni, talché sorsero nuove fabbriche e si migliorarono nell'efficienza tecnica quelle esistenti. Nel 1890 si contavano 140 fabbriche, la maggior parte piccole, con una produzione di hl. 161.000. Nel 1900 si ridussero a 99 con hl. 145.023; nel 1910 a 90 fabbriche con hl. 567.186; nel 1920 a 58 fabbriche con hl. 949.100. Nel 1924, erano risalite a 88 con una produzione di hl. 1.461.900. Attualmente le fabbriche in esercizio sono ridotte a 45 con una produzione complessiva di hl. 950.000.
Le fabbriche di birra più importanti, cioè quelle che superano la produzione di 60.000 hl., sono: S. A. Birra Peroni di Roma. Birra Dreher di Trieste; S. A. Birra Poretti di Varese; Itala Pilsen di Padova; Birra Pedavena dei fratelli Luciani di Feltre: Ditta Wühirer Pietro di Brescia; S. A. Birra Italia, di Milano; S. A. Birra Milano, di Milano.
Produzione e consumo. - La produzione italiana di birra si suddivide nelle singole regioni nel modo seguente:
La massima produzione mondiale della birra ottenuta nell'anteguerra (1910) raggiunse circa 290 milioni di hl. Questa grande dimostrazione dell'attività industriale birraria, trova la sua ragione nel particolare aumento di consumo conseguito dall'America del Nord, Germania ed Inghilterra.
La guerra mondiale fece fortemente precipitare il consumo. L'accenno alla ripresa del consumo è più accelerato in questi ultimi otto anni. Di questa generale ripresa nel campo birrario dà segno soprattutto la Germania, che vide ridotta la sua produzione a soli hl. 23 milioni e mezzo circa nell'anno 1920, ma oggi ha ripreso il primo posto nella produzione mondiale (v. tabella).
La Gran Bretagna non ha ripreso la propria posizione. I frequenti scioperi, specie quello del carbone, che procurò perdite di ricchezza, e paralizzò per lungo tempo molte industrie, rallentò l'incremento del consumo, nel momento in cui le fabbriche germaniche risorgevano più agguerrite che mai.
Una forte contrazione alla produzione mondiale è dovuta alla proibizione delle bevande alcooliche (regime secco) nell'America del Nord, che la riduce di circa 66 milioni, mentre in tutti gli altri stati, dal 1920 in poi, specialmente ove più è sentita la stabilità monetaria, predomina la tendenza all'aumento del consumo. Una visione particolareggiata della produzione di birra conseguita nell'ultimo anno, che ammonta complessivamente a 186.675.000 ettolitri, è data dalla seguente tabella.
L'industria birraria in Italia in confronto delle altre nazioni europee si trova ancora ai primi passi. Per un complesso di avverse circostanze, false prevenzioni ed erronei concetti, essa è inceppata nel suo svolgimento. Anche la nazionalizzazione dell'industria, avvenuta mediante l'utilizzazione dell'orzo indigeno non ha purtroppo ancora consentito quella sensibile riduzione di prezzi che permetterebbe un grande aumento del consumo.
A queste difficoltà interne si unisce la concorrenza straniera e il fatto che l'Italia è tuttora paese essenzialmente vinicolo: cosicché il consumo della birra in Italia figura nella statistica, in confronto con le altre nazioni europee, con una quota trascurabile.
In origine nell'industria birraria vigeva la libera concorrenza.
Dopo la guerra, allettate dalla prospettiva di forti guadagni, sorsero molte piccole fabbriche; ma ne risultò una sovrapproduzione aggravata anche dal fatto che, con l'annessione dei nuovi territori, le grandi case produttrici di birra che vi erano stabilite vennero a mancare degli antichi mercati di consumo e riversarono i loro prodotti in Italia, generandovi un'acuta crisi. Ad inasprirla concorsero anche la contrazione del denaro, la diminuzione di prezzo del vino, le difficoltà di trasporto per la birra (la tara è del 60%).
Dapprima si corse ai ripari inacerbendo il dazio doganale, vincolato dai trattati a una cifra massima di 15 lire oro per ettolitro; poi le fabbriche, seguendo l'esempio di quelle venete, si raggrupparono per regioni, le case più forti assorbendo le più deboli. La Federazione generale dell'industria della birra, acque gassate, ghiaccio e malto, creata dal fascismo, venne a disciplinare i rapporti tra i varî gruppi e a garantire i patti intervenuti tra essi. Le case produttrici sono legate dal principio fondamentale del "rispetto della clientela", per cui, analogamente a quanto è praticato in Germania, nessuna casa può fornire i suoi prodotti a chi prima si sia servito di un'altra fabbrica. Negli ultimi tempi è intervenuto tra le varie case produttrici anche un patto per la pubblicità: questa è diventata collettiva e le fabbriche concorrono alla spesa mediante contributi proporzionali alla loro produzione.
Tecnica della fabbricazione. - La fabbricazione della birra comincia con la frantumazione del malto (orzo germinato) nel mulino; segue poi, l'operazione iniziale d'incorporamento del malto frantumato con l'acqua, quindi il processo di ammostamento, la decantazione del mosto dalle trebbie, la cottura del mosto col luppolo, il raffreddamento, ed infine la fermentazione e il deposito nelle cantine. Il malto deve essere frantumato affinché durante l'ammostamento con l'acqua ceda facilmente le sostanze solubili. Nella frantumazione, si devono mantenere intatte le scorze perché servano come strato naturale filtrante nella decantazione del mosto. Vari sono i tipi di mulino in uso, i più perfezionati sono a 5 0 6 cilindri, con crivelli all'interno, per la separazione delle scorze, delle semole grosse, delle fine, e della farina nella misura voluta (fig. 1).
I processi di ammostatura si dividono in due gruppi, cioè: a decozione e ad infusione. Quelli a decozione procedono con regolata elevazione della temperatura e con l'ebollizione di parte della miscela; in quelli ad infusione invece l'aumento della temperatura avviene fino alla saccarificazione dell'amido, evitando l'ebollizione. Diversi sono i metodi usati in pratica. Per quelli a decozione si può procedere a una, due e tre tempere, a decozione abbreviata, a cottura sotto pressione, a sosta proteinigena, ecc. Per quelli a infusione è noto il processo a digestione fatto in apposite caldaie Van-Hest (fig. 2) nonché quelli a temperatura ascendente e discendente. In tutti i processi per la preparazione del mosto di birra il fattore principale è la temperatura, che determina l'attività dell'amilasi, l'enzima che deve saccarificare l'amido del cereale impiegato. La temperatura migliore per la saccarificazione è fra 56° e 62°. La funzione dell'amilasi nella scissione idrolitica dell'amido comincia a 60° e raggiunge il suo massimo fra i 70° e gli 80°. Per associare una forte azione solvente con una buona saccarificazione, vale in pratica la temperatura di 70°-75° che si raggiunge nel processo finale di ammostatura.
Altro fattore è la durata della saccarificazione. Quanto più a lungo è tenuta l'azione dell'enzima, tanto più grande è la quantità di zucchero, più limitata quella della destrina. La proporzione voluta tra i due elementi per le birre chiare è di circa 70-75% di maltosio contro 30-25% di destrina; per quelle scure il 60-65% di maltosio contro 40-35% di destrina. Il terzo fattore è la quantità dell'enzima. La legge di Kjeldahl stabilisce l'assoluta proporzionalità fra il quantitativo dell'amilasi e il tempo necessario per la formazione di un certo quantitativo di maltosio, onde i malti ricchi di diastasi favoriscono una più rapida e perfetta saccarificazione dell'amido.
Il processo di ammostamento più in uso in Italia è quello a decozione a tre o a due tempere. La prima operazione che avviene nella "sala di cottura" (fig. 3) consiste nel mescolare il malto frantumato con l'acqua nel tino di saccarificazione (fig. 4).
La cottura della miscela avviene ripartitamente a due o tre riprese in apposite caldaie a riscaldamento a fuoco diretto o a vapore. Ultimata la saccarificazione, l'intera miscela passa nel tino di decantazione allo scopo di dividere il mosto dalle trebbie (fig. 5).
La separazione deve avvenire presto e razionalmente, perciò dal funzionamento di questo apparecchio dipendono il rendimento e la qualità del prodotto. Il doppio fondo filtrante è normalmente costruito in forte lamiera di bronzo.
Il primo mosto ricavato dalla filtrazione, si chiama mosto primario, ed ha una concentrazione zuccherina che varia tra i 16-20°%. Mosto secondario è quello che si ottiene mediante l'innaffiamento delle trebbie con acqua a 72°, per estrarne tutto il maltosio. Durante questa operazione, le trebbie sono leggermente smosse da apposita macchina, per facilitare la filtrazione. In molte fabbriche il tino di decantazione è sostituito da uno speciale filtro da mosto. Esso è composto di telai e piastre di ghisa munite di nervature, su porte armatura di ferro. Fra i telai e le piastre sono stesi dei teli attraverso i quali il mosto si filtra, uscendo da rubinetti applicati alla base di ogni telaio e raccogliendosi poi in una vaschetta. La chiusura ermetica delle camere formate dai telai e dalle piastre nervate, si ottiene premendole, le une contro le altre, mediante una vite senza fine, oppure con un congegno idraulico applicato a una o ad ambedue le estremità dell'apparecchio (fig. 6).
Il mosto così ottenuto si raccoglie tutto in un'unica caldaia, ove viene bollito unitamente ad una quantità di luppolo di circa 200-350 gr. per hl. Scopo principale dell'ebollizione è di ottenere la precipitazione delle sostanze albuminoidi a temperature alte (defecazione), nonché la concentrazione e sterilizzazione del mosto e l'estrazione delle resine amare aromatiche del luppolo.
Finita la cottura del mosto col luppolo, si provvede al suo raffreddamento preventivo sul rinfrescatoio, al quale segue il raffreddamento a 5°, mediante apparecchi a pioggia, o a controcorrente.
Il rinfrescatoio normalmente è posto ai piani superiori della fabbrica, in locali vasti ed arieggiati affinché sia facilitato il raffreddamento. Ha la forma di una vasca a grande superficie piatta, con un bordo assai basso, poiché il mosto vi si stende per un'altezza di circa 10-15 cm. La vasca è costruita in lamiere speciali di acciaio laminate, dello spessore di mm. 4 ed è montata su armatura di ferro e supporti regolabili di ghisa. Una leggera pendenza verso un angolo permette il perfetto scarico del mosto. Durante la permanenza del mosto nel rinfrescatoio vengono eliminate alcune materie sospese nel liquido che subisce l'azione di veri e proprî processi fisico-chimici: separazione di sostanze albuminoidi coagulate con sostanze amare derivanti dalle resine del luppolo e separazione delle combinazioni dei flobofeni con l'albumina, che erano solubili a caldo. Altro fattore importante durante la permanenza del mosto nel rinfrescatoio, allo stato caldo, è l'assimilazione dell'ossigeno. Questo si combina in parte con i componenti la sostanza zuccherina ed in parte si scioglie (fig. 7).
Il refrigerante ha lo scopo di abbassare alla temperatvra di circa 5° il mosto proveniente dal rinfrescatoio, per disporlo alla fermentazione (fig. 8). È costituito da tubi di rame di circa 50 mm. di calibro sovrapposti e saldati fra loro, congiunti alle estremità con una testata di bronzo che permette all'interno la circolazione del medium di raffreddamento. Il mosto scorre esternamente sulla superficie, lasciando il calore, e raccogliendosi nella sottostante vaschetta, da dove apposite tubazioni lo portano nei recipienti della fermentazione.
Le fermentazioni primaria e secondaria, si compiono in recipienti di legno, d'acciaio smaltato, d'alluminio, in vasche di cemento rivestite con speciali isolanti (Ebon-Mammut). La tecnica moderna sconsiglia l'impiego dei recipienti di legno, soprattutto per il pericolo di infezioni e per l'alto costo di manutenzione.
Poiché la fermentazione è un processo esotermico per effetto del quale si sviluppa calore, e poiché è necessario ch'essa si svolga in determinati limiti di temperatura e di tempo, la cantina, ed ogni singolo recipiente, sono artificialmente raffreddati (fig. 9).
La fermentazione secondaria, o deposito di maturazione, si effettua in recipienti chiusi, disposti in cantine raffreddate a circa 0°. La durata può variare; essa dipende dalla concentrazione del mosto e dalla temperatura di conservazione, esige tuttavia normalmente dalle 10 alle 16 settimane (fig. 10).
I prodotti della fermentazione sono principalmente l'alcool e l'anidride carbonica, che si formano dagli zuccheri:
ll liecito per la propria nutrizione assorbe una certa quantità di zucchero senza trasformarlo, e quale prodotto secondario della fermentazione si ottiene il 2-3% di glicerina. Praticamente si raggiunge così:
Processi varî. - Gli studî tendenti a perfezionare il processo di fabbricazione non hanno portato grandi modificazioni al principio, ma solo perfezionamenti ai mezzi meccanici. Oggidì il sistema più originale, che ha recato veri progressi tecnici ed economici, è il sistema Nathan. È un processo a termini abbreviati e può dare prodotti sterili, perciò inalterabili. Si basa sul principio di Hansen e riguarda solo il raffreddamento, la fermentazione primaria e la secondaria. La birra si può mettere in commercio dopo solo 10 giorni dalla fabbricazione.
Il processo Nathan si basa sulle ricerche del Pasteur e del Hansen. Venne da essi infatti stabilito che i microrganismi produttori della fermentazione sono diffusi dappertutto, per cui le sostanze fermentabili, fermentano dovunque, a meno che ad arte non siano allontanati i microrganismi; quindi dappertutto si offre l'occasione all'infezione di sostanze atte a fermentare. L'aria e l'acqua contengono sempre germi della fermentazione, che possono generare fermentazioni acide e comunque conformi alla natura ed alla vita del fermento, non sempre adatte ad ottenere prodotti perfetti. A mantenere perciò la purezza del fermento più adatto alla fermentazione del mosto di birra, il Saccaromyces cerevisiae, è naturale ch'esso debba agire in ambiente sterile. Quindi il processo Nathan si svolge in recipienti di alluminio ermeticamente chiusi.
Dal Hansen venne pure assodato che il lievito della birra nell'apparecchio a scosse si moltiplica più rapidamente. La fermentazione stessa difatti, non è altro che un processo diffusorio dello zucchero nelle cellule del lievito. Il processo Nathan stimola perciò l'intensità della fermentazione, ottenendo il grado massimo di attenuazione in minor tempo col mantenere in movimento il lievito nel recipiente, non solo, ma abbreviando la maturazione in un limite di 10-12 giorni, trattando il mosto col medesimo gas depurato, ricavato dalla fermentazione. Il processo comincia quando il mosto lascia la caldaia di cottura, detta di luppulamento.
Raffreddamento. - Al posto del rinfrescatoio aperto si è sostituito un apparecchio in alluminio, chiudibile idraulicamente (fig. 11). Nell'in. terno dell'apparecchio si trovano dei ripiani mobili orizzontali, in lamiera di alluminio, disposti uno sopra l'altro. La loro superficie totale corrisponde a quella che avrebbe il rinfrescatoio comune aperto, per la stessa quantità di mosto. Il mosto bollente proveniente dalla caldaia viene travasato direttamente in questo apparecchio, ed ivi raffreddato facendolo scorrere su refrigeranti a pioggia, mediante una pompa. Il mosto che alla temperatura di 5° rientra nell'apparecchio nel punto più basso, coagula le sostanze amorfe in fiocchi che si depositano sui ripiani disposti orizzontalmente. Il mosto così depositato e raffreddato viene travasato nei recipienti di fermentazione o maturazione (Hansena) senza venire a contatto con l'aria. I ripiani, ad operazione finita, con uno speciale arganello vengono alzati unitamente al coperchio dell'apparecchio, e, assumendo una posizione inclinata, permettono un perfetto lavaggio d'ogni loro parte mediante forti getti d'acqua.
Fermentazione e maturazione. - Gli Hansena sono grandi cilindri chiusi, costruiti in lamiera d'alluminio, saldati in un solo pezzo, aventi la parte superiore convessa e quella inferiore conica. Sono provvisti di doppio mantello e doppio fondo per la circolazione della soluzione alcoolica di raffreddamento, e completamente isolati con sugheri compressi, catramati. Nel coperchio si trovano un foro d'ispezione, una lampada elettrica per illuminazione interna, un manometro ed i tubi per l'uscita del gas carbonico. Il fondo conico è provvisto di bocca-porta, rubinetti di scarico e di controllo.
La fermentazione si compie mantenendo in movimento il lievito, ciò che si ottiene facendo entrare periodicamente dal fondo un getto di gas carbonico. Durante il processo il gas carbonico prodotto dalla fermentazione viene ricuperato e previa depurazione e sterilizzazione, compresso liquido in bombole di acciaio. Per ogni ettolitro di birra prodotta, si ottengono kg. 1,5 circa di anidride carbonica liquida.
Ottenuta l'attenuazione limite, si procede al lavaggio e alla saturazione del liquido, agendo con pressione e bassa temperatura. I vantaggi di questo sono notevoli, per il minor costo di produzione e per la purezza del prodotto, talché ottimamente si adatta ai climi molto caldi.
Vi sono ancora il processo Pfaudler (Americano) che sollecita la fermentazione nel vuoto in recipienti chiusi, e il processo Kuhn (Belga) che, all'opposto, trattiene la fermentazione, esercitando sui recipienti chiusi una determinata pressione. Ambo i processi sono di scarso risultato pratico.
La birra stagionata per essere posta in commercio esige speciali apparecchi mediante i quali possa travasarsi in fusti o in bottiglie. Condizione essenziale è che il travaso avvenga contro pressione onde evitare lo sprigionarsi dell'anidride carbonica di cui la birra è assai ricca. Il riempimento dei fusti e delle bottiglie è preceduto dalla filtrazione, in quanto la birra nelle botti non è perfettamente limpida. La filtrazione è fatta con speciali filtri a coppaie metalliche o di caucciù (fig. 12).
In Italia il commercio della birra si svolge per la massima parte in bottiglie, a causa del limitato consumo: perciò l'organizzazione tecnica per tale allestimento è assai importante. Le operazioni sono le seguenti: bagno delle bottiglie in speciali rammollitori in soluzione di acqua calda a 60° e soda caustica; spazzolatura interna ed esterna, risciacquamento con speciali spruzzatori di acqua a forte pressione. Assicurata la pulizia, le bottiglie sono trasportate alla macchina isobarometrica di riempimento. Vi sono impianti di varî sistemi e grandezze: un tipo medio completo è dato dalla fig. 13, capace di 1500 bottiglie all'ora. Presentemente per le forti produzioni di circa 6000 bottiglie all'ora, sono in uso macchine che compiono la lavatura completa delle bottiglie mediante forti getti alternati d'acqua calda e fredda, ed imbottigliatrici automatiche a 36 rubinetti, per la medesima potenzialità. Con tali macchine è assicurata quasi la sterilità.
Allo scopo di conservare a lungo il prodotto nelle bottiglie, e per non ricorrere all'uso di antisettici, come sali solforosi, acido fluoridrico, acido salicilico, si ricorre alla pastorizzazione.
I metodi e gli apparecchi escogitati per rendere inattivi i fermenti e i batterî mediante il calore, sono assai numerosi. I migliori sono naturalmente quelli che non alterano il sapore del prodotto e che funzionano con minimo impiego di mano d'opera e di calore. Pasteur fu il primo a trovare che il Mycoderma aceti, il quale alla temperatura normale determina l'acidificazione della birra. muore a 60°, onde la temperatura massima di pastorizzazione è di 65°.
La figura 14 rappresenta un apparecchio pastorizzatore a bagno-maria. La circolazione dell'acqua, regolata da un iniettore a vapore, assicura il riscaldamento e il raffreddamento regolare e uniforme di tutte le bottiglie piene in esso contenute. Per cinquanta minuti la temperatura sale gradatamente fino a 65°, vi si mantiene stazionaria per 20 minuti, quindi in altri 45 minuti ridiscende al normale.
Anche il lavaggio e il riempimento dei fusti da trasporto, sono fatti per lo più meccanicamente. Il fusto da birra è ricoperto internamente da un sottile strato di resina vegetale speciale che non lascia né odore né sapore (pece da birrai). Essa serve a togliere le porosità del legno, evitando così pericoli di infezioni. La stratificazione della pece è fatta meccanicamente alla temperatura di circa 190° ed avviene ogni volta che il fusto ritorna alla fabbrica. Il riempimento si compie a mezzo di apparecchi isobarometrici (fig. 15), che possono essere a due o più elementi. In alto e posteriormente, sull'armatura di ferro è collocato un serbatoio cilindrico di rame stagnato. Sulla parte anteriore, congiunti col serbatoio mediante tubi di gomma, sono appesi i riempitori, azionati a pressione d'aria e comandati da una manovella.
Nella posizione di funzionamento, l'elemento riempitore in un primo tempo si abbassa sul fusto da riempire mettendolo in comunicazione con l'aria sotto pressione; in un secondo tempo fa scendere un tubo metallico, il quale, premendo leggermente sul fondo del fusto, apre automaticamente una valvola che permette l'entrata della birra. Il riempimento è rapido e senza schiuma, in conseguenza della contropressione d'aria immessa nel fusto, che non permette lo sprigionarsi dell'anidride carbonica di cui la birra è molto ricca. Girando la manovella nel senso inverso, si chiude la valvola in fondo al tubo di riempimento, si alza l'elemento riempitore e il fusto, completamente pieno, può essere chiuso con tappo di legno oppure a vite.
La pastorizzazione in fusti presenta maggiori difficoltà e non è usata in Italia. Alcune fabbriche germaniche pastorizzano la birra in fusti speciali di nichel solo per l'esportazione oltre mare.
Malattie della birra. - Le malattie sono normalmente prodotte dalla presenza di microrganismi; le più comuni sono: Difetti di gusto amaro derivante dal lievito selvatico (Saccharomyces pastorianus), o dall'impiego di luppolo vecchio e avariato. Sapore di muffa, dovuto a cantine e botti insufficientemente aereate; sono funghi aerobî riconosciuti nella specie di Penicillium glaucum ed il Mucor mucedo. Intorbidimenti di glutine che si riscontrano quando l'orzo impiegato contiene molto azoto; i corpi albuminoidi mostrano la reazione dell'ordeina.
Altri organismi dannosi per la birra sono: i saccaromiceti Pastorianus I, validus ellipsoideus, intermedius e turbidans, che dànno prodotti acidi; le Sarcinae, che si distinguono per la facilità nella produzione di acido lattico rendendo la birra di gusto cattivo e di acre odore; i termobatterî, che si producono durante un difettoso processo di ammostatura. I batterî della viscosità, che rendono la birra filante e di cattivo sapore.
Non esistono rimedî per le birre infette da tali batterî.
Legislazione italiana sulla birra. - Il regolamento della legge sanitaria italiana e quello sulla vigilanza igienica degli alimenti proibiscono la fabbricazione e la vendita con materia prima diversa dal malto d'orzo o altri cereali, il luppolo e il lievito. È sottoposta a regolamentazione anche la chiarificazione della birra, il trasporto, il tipo di recipienti in cui deve essere contenuta. Infine, poiché uno dei prodotti più usati per la falsificazione della birra è la saccarina, l'introduzione e la produzione nello stato della saccarina (benzoato solfinico) è vietata (r. decreto 29 settembre 1889, n. 6407).
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