BIRAGO di Vische, Carlo Emanuele
Nacque a Torino il 16 ag. 1797, terzogenito del marchese Enrico, investito nel gennaio 1791 del feudo di Vische, e di Luigia figlia del conte Francesco Perrone di San Martino, ministro di Stato e cavaliere dell'Ordine dell'Annunziata; educato alla scuola dei gesuiti, seguì dopo la Restaurazione, col fratello Cesare Renato, la carriera delle armi, che già era stata del padre. Ufficiale dei granatieri dal 25 genn. 1816, due anni dopo, il 31 luglio 1818, fu nominato gentiluomo di bocca e successivamente, nel febbraio 1819, "effettivo". Carlo Alberto nel 1838 lo chiamò a ricoprire l'incarico di gentiluomo di camera, e a corte il B. rimase sino al marzo 1848. Appartenente per origine a una delle più cospicue famiglie del patriziato piemontese e per idee a una corrente di opinione di estrazione tipicamente conservatrice, egli venne definendo dopo lo Statuto i suoi orientamenti politici, con un accostamento alla fazione clericale. Già fondatore, subito dopo la concessione della libertà di stampa, di un foglio,La Nazione, che aveva auspicato l'alleanza dei ceti nobiliari con il clero nella difesa dell'ancien règime, ma che aveva cessato entro breve tempo le pubblicazioni, si fece promotore nel luglio del 1848, con il marchese Gustavo di Cavour, il vescovo di Ivrea L. Moreno e il teologo G. Audisio, di un nuovo periodico che non solamente riprendesse i vecchi programmi del Propagatore religioso, di orientamento ideologico dei cattolici, ma assurgesse più direttamente a portavoce degli indirizzi politici delle gerarchie ecclesiastiche e degli ambienti decisamente reazionari. Il nuovo giornale, uscito per la prima volta il 4 luglio 1848 dopo il declino del neoguelfismo e alla vigilia del fallimento della guerra federale, recava il titolo di L'Armonia della religione con la civiltà, testata che il B. era riuscito a far preferire a quella di Provvidenza, proposta da G. Margotti.
Del bisettimanale (poi dal novembre 1848 trisettimanale) il B. si assunse il compito di provvedere al finanziamento, dapprima a capo di un comitato amministrativo che aveva raccolto in un'unica dotazione i fondi già di pertinenza di un periodico che si stampava con lo stesso titolo a Genova; più tardi, dopo aver assunto nel 1851 la direzione del foglio in seguito al forzato abbandono dell'Audisio, facendo ricorso quasi esclusivamente alle proprie disponibilità economiche. Con l'avv. G. Cerruti, gerente responsabile, e il Margotti, il B. si trovò a rappresentare, nell'ambito dell'opinione pubblica piemontese preunitaria, l'ala più rigidamente intransigente del partito clericale. Tuttavia, divergenze tattiche di rilievo opponevano, dietro la facciata, il B. al Margotti che, grazie ad una certa abilità dialettica e alla sua foga battagliera e passionale, era divenuto presto il vero arbitro degli indirizzi più immediati del giornale e dei suoi lusinghieri successi editoriali. Al B. non solo "ripugnava il linguaggio troppo vivace e spesso scortese, e qualche volta persino triviale del suo bollente redattore" (Canella, p. 798), ma alla campagna di stampa, da lui stesso in linea generale avallata, sia contro le misure governative di laicizzazione del sistema giuridico e l'incameramento dei beni ecclesiastici, sia nei confronti dei graduali tentativi di democratizzazione parlamentare, avrebbe voluto dare, più che il mordente della polemica aggressiva ma contingente, il conforto di un'impostazione non solo formalmente corretta, ma anche tale da offrire una effettiva e organica alternativa politica. Tale esigenza non fu tuttavia fatta valere sino in fondo dal B., o più probabilmente gliene mancò l'energia, anche quando in occasione delle animose discussioni sulle leggi Siccardi, il Margotti, piuttosto che temperare la violenza dei suoi attacchi, non esitò per un certo tempo a proseguire contemporaneamente e sotto uno pseudonimo, dalle colonne di un nuovo foglio,La Campana, la sua lotta per un'agitazione clerico-reazionaria contro i propugnatori del progetto. Il B. non riuscì così a evitare, personalizzandosi ulteriormente e in misura sempre più esorbitante il tono del giornale, l'abbandono della redazione, nel maggio 1851, da parte di alcuni cattolici moderati, come il marchese di Cavour, i quali non intendevano avallare più oltre con la loro presenza le tendenze talora anticostituzionali del Margotti. A rinsaldare la posizione di quest'ultimo si affiancarono tuttavia al B., che continuava a reggere ufficialmente la direzione del periodico, alcuni esponenti reazionari come il conte di Camburzano e il marchese F. Invrea. D'altra parte, la stessa piega assunta dagli avvenimenti, con lo scontro frontale tra le gerarchie ecclesiastiche e il governo, finirà per determinare durante il periodo cavouriano l'allineamento senza riserve del B. alle direttrici politiche del Margotti.
Tra i candidati del partito clericale nelle elezioni del 15 marzo 1857, il B. riuscì a prevalere nel collegio di Strambino, e nella prima sessione della quarta legislatura subalpina presentò con altri deputati clericali una mozione che rivendicava la più ampia libertà dell'insegnamento confessionale in contrasto col progetto di legge Lanza, secondo il quale tutti gli istituti di istruzione e di educazione, compresi i seminari e i collegi vescovili, avrebbero dovuto dipendere dal ministero della Pubblica Istruzione. La mozione non ebbe tuttavia seguito: il 7 genn. 1858 l'elezione del B. con quella di alcuni rappresentanti della sua stessa formazione politica fu infatti annullata dalla Camera, per "coazione clericale", constatata da una commissione d'inchiesta. In seguito alle sue disavventure parlamentari e alla difesa ad oltranza dei più ortodossi atteggiamenti clericali in politica interna ed estera, il B. non ebbe negli anni successivi vita facile: danni furono arrecati ai suoi poderi e il suo nome fu bistrattato più di una volta pubblicamente. Il giornale venne poi forzatamente soppresso subito dopo l'inizio delle ostilità con l'Austria nel 1859, per non ricomparire che alla conclusione della guerra. Già sofferente per una grave infermità, il B. mantenne la direzione dell'Armonia sino ai primi del 1862: alla sua morte, il 5 marzo di quell'anno, la sovrintendenza del giornale passò ufficialmente a mons. Moreno. Il B., che si era sposato segretamente negli ultimi anni con Teresa Cubito, lasciò un figlio, Carlo Emanuele.
Fonti e Bibl.: Torino, Bibl. Civica,Commemorazione. Il Marchese C. E. Birago di Vische, Torino 1862; T. Chiuso,La Chiesa in Piemonte dal 1797 ai giorni nostri, Torino 1889-1892, IV, p. 242; T. Sarti,IlParlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 133; T. Canella,Don Giacomo Margotti, in Guida della stampa periodica italiana…, Lecce 1896, p. 698; A. Manno,Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, p. 311; T. Buttini,Don G. Margotti e la nascita della "Campana", in Riv. d'Italia, XVI (1914), 2, p. 606; C. Richelmy,Cent'anni di giornalismo, Chieri 1950, pp. 10-11; G. Buglio,Di un giornalista cattolicodel sec. scorso: il teologo G. Margotti, tesi di laurea, università di Torino, anno acc. 1950-1951, pp. 5, 54, 95-96; B. Montale,Lineamenti generali per la storia dell'"Armonia" dal 1848 al 1857, in Rass. stor. del Risorg., XLIII (1956), pp. 476-478, 482, 483-484; D. Bertoni Jovine,I periodici popolari del Risorg., I,Il periodo prerisorgimentale (1808-1847). La rivoluz. (1847-1859), Milano 1959, p. CXVI; V. Castronovo,Breve corso di storia del giornalismo ital., Torino 1960, p. 64.