BIPENNE (gr. πέλεκυς, ἀξινη; lat. bipennis; fr. bipenne; sp. bipenna; ted. Doppelaxt; ingl. double war-axe)
L'ascia a doppio tagliente, o bipenne, con foro mediano per il manico, è una delle forme caratteristiche della metallurgia del bronzo. Si trovano anche accette di rame a doppio tagliente nell'Ungheria, ma le più copiose, solide ed eleganti bipenni sono di bronzo, e appartengono alla piena età enea. Elegantissime sono le forme delle bipenni nella Spagna e nella Sardegna nuragica, sia con taglienti paralleli, sia con i tagli perpendicolari l'uno all'altro; in Danimarca e nell'Oldenburg e altrove si hanno esempî di bipenni in pietra, che sono evidente imitazione di esemplari in metallo. Forme speciali di bipenni di squisita lavorazione furono date dalla Russia e dalla regione del Caucaso, ma l'Occidente dell'Europa, e una gran parte del Mediterraneo, presentano come una vasta area di diffusione di questo importante utensile che servì quale arma e quale strumento di formidabile aiuto all'uomo. Forse per questo suo carattere di forza e d'utilità la bipenne fu assunta in varie regioni come segno della potenza del nume che abbatte e colpisce, come simbolo di una divinità del sole e del fulmine.
Di tale culto in periodo preistorico abbiamo le prove per Creta, che ci fornisce varî esempî di bipenni, talora di enormi dimensioni, con carattere religioso; nei dipinti e nelle pietre incise le bipenni sono talvolta infisse in piedistalli, al centro del luogo di culto. L'esempio più sicuro di cerimonia religiosa che si svolge innanzi alle sacre bipenni si ha nel famoso sarcofago dipinto di Hagía Triáda. Le scoperte nel santuario nuragico di Serri, in Sardegna, provano che anche qui vi era questo culto, durato attraverso tutto il periodo nuragico sino all'epoca fenicio-punica e forse anche alla romana.
Un significato simbolico pare avesse anche la bipenne collocata entro un fascio di verghe, trovata nella tomba detta del Littore a Vetulonia: essa doveva attestare non solo la forza del dio folgorante, ma l'autorità suprema del nume depositario della giustizia regolatrice e punitrice. Dall'Etruria il concetto passa a Roma nel simbolo del fascio littorio, in cui la bipenne è sostituita dalla scure, e che esprime la santità del vincolo sociale tutelato dalla legge. Il carattere sacro delle bipenni ha un riflesso anche in tradizioni e leggende dell'età greca; essa è l'arma di divinità barbariche venerate a Labranda (che prende il nome dalla bipenne, chiamata λάβρυς nella lingua del paese) e a Doliche, e assimilate poi a Giove: ne è anzi il simbolo; nelle monete di Labranda appare la bipenne come segno di Giove Labrandeno, e in quelle di Tenedo essa si riferisce al culto di una divinità locale, identificata con Dioniso.
La bipenne è l'arma delle Amazzoni, nelle cui rappresentazioni si ritrova assai spesso, e di altre genti estranee all'Ellade; la troviamo anche nelle scene del mito di Licurgo e delle Baccanti. È l'arma tipica di Efesto, che se ne serve per aprire la testa a Giove e farne nascere Atena, e di Teseo che abbatte con essa il Minotauro in quella terra di Creta, dove il culto dell'ascia, quale rappresentazione della divinità, ha lasciato tracce non dubbie, anche forse nel nome del Labirinto.
Per tutta l'età romana la bipenne è l'arma tipica e rituale adoperata nel sacrificio del toro e degli altri animali offerti alla divinità onde la troviamo rappresentata nelle scene di sacrificio dei monumenti onorarî. Ma accanto a questi usi religiosi la bipenne fu usata per scopi pratici e già l'Odissea (V, 234) la designa come lo strumento del boscaiolo e del legnaiolo.
Bibl.: M. Much, Die Kupferzeit in Europa, Jena 1893; G. e A. De Mortillet, Musée préhist., 2ª ediz., Parigi 1903; O. Montelius, Civilisation primitive d'Italie, Stoccolma 1895; id., The Sun-Gods-Axe and Thor's Hammer, in Folklore, 1910, p. 60; A. Evans, The Palace of Minos at Knossos, Londra 1921; E. Saglio, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et rom., I, Parigi 1877, p. 711 seg.; A. Mau, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., III, Stoccarda 1899, col. 488 seg.; R. Paribeni, Il sarcofago di Haghia Triada, in Monumenti dei Lincei, XIX, p. 1.