bioprinting
s. m. inv. Tecnologia per la stampa e la riproduzione di organi naturali, con particolare riferimento agli organi umani.
• Il «bioprinting» ottenuto con le prime stampanti tridimensionali consente la creazione di organi e tessuti a partire dalle sospensioni cellulari. La realizzazione di questi organi oggi è solo sperimentale e non è disponibile per i pazienti, tuttavia questi tessuti potrebbero già rappresentare una valida alternativa alla sperimentazione animale permettendo di testare i farmaci direttamente sugli organi ricostruiti. (Cinzia Marchese, Repubblica, 27 aprile 2014, p. 34, R2) • Mina Khan è nata con un buco nel cuore. [...] i chirurghi del St. Thomas Hospital di Londra hanno pensato di riprodurre una copia dell’organo, difetto compreso, basandosi su immagini ricavate da esami, come la risonanza magnetica o la tomografia, e utilizzando una stampante 3D: l’idea era quella di avere un modello su cui ragionare e decidere il da farsi. Hanno preso le misure del foro al millimetro, hanno costruito una specie di cerotto in Gore-Tex e lo hanno usato per chiudere il buco. Con estrema precisione e con successo. Ora Mina sta bene e ha ripreso a crescere. È un esempio, uno dei tanti, di che cosa può fare il bioprinting, la possibilità, cioè, di usare le stampanti 3D per riprodurre organi umani. (Adriana Bazzi, Corriere della sera, 24 maggio 2015, p. 46, Salute) • gli obiettivi della stampa 3D in medicina sono ancora più ambiziosi: il «bioprinting» mira infatti a creare dispositivi su misura fatti da un mix di sostanze plastiche, ma anche cellule umane. Pier Maria Fornasari, direttore della Banca del tessuto muscolo-scheletrico del Rizzoli osserva che «il vantaggio della manifattura a 3D è che la cartuccia di materiale per la stampa può contenere cellule del paziente». (Donatella Barbetta, Quotidiano Nazionale, 16 giugno 2015, p. 15, La nostra salute).
- Espressione inglese composta da bio- ‘biotecnologico’ e dal s. printing ‘stampa’.