Biologia molecolare e sistematica: una rivoluzione
Origine e sviluppo della biologia molecolare
La biologia molecolare è nata e si è sviluppata nella seconda metà del 20° sec., periodo che ha visto fin dai suoi albori lo studio della materia vivente affrontato dal punto di vista chimico e fisico.
La biochimica, nata dalla fisiologia nei primi anni del Novecento, studia, in maniera approfondita e diffusa, le proprietà e le funzioni delle molecole che compongono la materia vivente, molecole che non sono diverse da quelle presenti nella materia inanimata. Essa si è posta l’obiettivo di capire lo stato della materia vivente: in altre parole, che cosa rende ‘speciale’ la materia inanimata conferendole le proprietà che sono proprie degli organismi viventi. In seno alla biochimica si sono sviluppati diversi settori riguardanti la struttura e l’organizzazione della cellula, che rappresenta l’unità fondamentale di tutti gli organismi viventi; le interazioni e le trasformazioni delle molecole di basso peso molecolare che costituiscono il cosiddetto metabolismo cellulare; l’enzimologia, ossia lo studio dei catalizzatori biologici che permettono lo svolgersi della maggior parte delle reazioni chimiche cellulari in condizioni fisiologiche, cioè compatibili con le condizioni vitali. Viene inoltre preso in esame l’aspetto energetico dello stato vitale che, obbedendo ovviamente alle leggi fisiche che governano la natura in tale campo, permette alla materia vivente di crescere e mantenersi.
Dagli studi biochimici è emerso che la maggior parte delle proprietà caratterizzanti la materia vivente dipende da particolari macromolecole biologiche dette proteine. Queste ultime sono state isolate dalle cellule e dettagliatamente studiate fino a determinarne la struttura tridimensionale.
È a questo punto che è nata una nuova disciplina che è stata chiamata biologia molecolare, partendo da scoperte scientifiche come quelle che valsero nel 1962 il premio Nobel per la chimica a Max F. Perutz e John C. Kendrew (per gli studi sulla struttura dell’emoglobina e della mioglobina) e per la medicina o la fisiologia a James D. Watson e Francis H. Crick (per lo studio sulla struttura molecolare del DNA).
Le proteine sono grandi polimeri costituiti da amminoacidi legati l’uno all’altro, in forma di catena, con legami detti peptidici (ammidici). La composizione e la sequenza degli amminoacidi (dei quali esistono 20 tipi diversi) costituiscono l’informazione che determina il ripiegamento della catena a formare la conformazione spaziale della proteina. Questo ripiegamento avviene in modo automatico. Il primo movimento può essere quello dovuto all’effetto idrofobico: in qualche millisecondo o meno, i gruppi apolari degli amminoacidi si ritrovano insieme a formare nicchie idrofobiche da cui è esclusa l’acqua. A questo punto, la catena è pronta per costituire gli altri legami (ionici, disolfuro, ponti a idrogeno, interazioni idrofobiche), sino a formare la struttura corrispondente all’attività richiesta.
Poiché la conformazione nativa della proteina è strettamente collegata alla sua funzione biologica, è chiara l’assoluta necessità che la sua sequenza amminoacidica venga conservata nel tempo. A questo scopo la cellula ha elaborato un apparato, molto complesso e dispendioso dal punto di vista energetico, esclusivamente rivolto a una corretta sintesi delle proteine. Sono, infatti, le proteine a determinare l’identità e l’attività di una cellula. Esse possono essere enzimi, recettori, ormoni, anticorpi, tossine, e possono avere un ruolo nella struttura della cellula, o nel trasporto e nel deposito di particolari molecole. Le proteine intervengono inoltre in diverse fasi della loro stessa sintesi.
L’informazione necessaria a riprodurre ogni proteina in copie identiche è depositata (codificata) negli acidi nucleici: DNA (DeoxyriboNucleic Acid) e RNA (RiboNucleic Acid). Il complesso dell’informazione genetica di una cellula o di un qualsiasi sistema vivente rappresenta il suo genoma. L’informazione viene trascritta dal DNA all’RNA messaggero (mRNA) sotto forma di triplette di basi nucleotidiche (codoni) che corrispondono ad amminoacidi specifici. Questa particolare corrispondenza fra tripletta e amminoacido è dovuta al fatto che gli acidi nucleici e le proteine usano due alfabeti diversi e occorre quindi tradurre un linguaggio nell’altro. La sequenza del trascritto viene, infatti, tradotta sui ribosomi (le fabbriche delle proteine) dal linguaggio a quattro lettere (i nucleotidi) degli acidi nucleici in quello a venti lettere (gli amminoacidi) delle proteine. La sintesi delle proteine è a senso unico.
Il DNA forma i cromosomi, cioè il materiale genetico cellulare o genoma che, nelle cellule eucariotiche, è racchiuso nel nucleo. Il genoma contiene regioni codificanti, dette geni, e regioni non codificanti, molte delle quali aventi funzioni di regolazione. È necessario ricordare che le cellule eucariotiche possiedono più di un genoma. Infatti, tutte le cellule che respirano hanno il genoma mitocondriale, racchiuso nei mitocondri (organelli citoplasmatici); a questo si aggiunge, nelle cellule vegetali, un terzo genoma, quello contenuto nei cloroplasti (organelli citoplasmatici). L’interrelazione dei vari genomi nella cellula, e quindi nell’organismo, è oggetto di intenso studio, ma attualmente è ancora praticamente sconosciuta.
Grazie ai progressi della moderna biologia, particolarmente in campo tecnologico, noi conosciamo la sequenza, ossia la struttura primaria, di moltissimi geni appartenenti a organismi diversi, di molti genomi mitocondriali e cloroplastici e di un numero sempre crescente di genomi nucleari appartenenti a organismi semplici, come i batteri, ma anche complessi, come quello di Homo sapiens sapiens.
Genomica comparata
Siamo ormai consapevoli che per buona parte l’apprendimento procede soprattutto attraverso i concetti di omologia e analogia. I dati raccolti e passati al vaglio di questi procedimenti devono quindi essere non solo integrati ma possibilmente superati nella visione di una nuova scoperta scientifica. Con riferimento alla genomica, per es., avere i dati di un singolo genoma, sia pure quello dell’organismo che più ci interessa, come Homo sapiens sapiens, rappresenta solo il primo passo in termini di conoscenza: abbiamo bisogno di confrontare, di comparare dati, strutture, organizzazioni genetiche simili o analoghe. Questa esigenza si va concretizzando con la genomica comparata (Saccone, Pesole 2003), in fase di grande sviluppo, che fornisce informazioni da analizzare alla luce delle altre discipline, biologiche e non. Tra queste emerge come principale e insostituibile quella dell’evoluzione biologica, giustamente considerata legge di base per tutta la biologia. Come ha affermato il genetista Theodosius G. Dobzhansky nel 1934, niente ha senso in biologia se non è visto alla luce dell’evoluzione.
Per la genomica comparata è fondamentale l’impiego della disciplina oggi chiamata bioinformatica, che presiede, da una parte, all’organizzazione della sempre crescente mole di dati e a una sua intelligente fruizione, mentre, dall’altra, contribuisce alla produzione di nuova conoscenza attraverso l’incrocio di dati e di algoritmi di inferenza.
Conoscere la sola struttura primaria di geni e genomi non significa naturalmente comprendere lo stato del vivente. L’informazione derivante dai progetti di sequenziamento genico e genomico deve essere integrata con le nozioni derivanti da numerosi altri settori scientifici della biologia e di altre discipline. Questo perché anche se noi conoscessimo con precisione i contenuti, in termini di concentrazioni, di tutti i costituenti molecolari e il codice completo per un organismo vivente, compreso l’uomo, ciò non significherebbe sapere che cosa è la vita.
L’approccio riduzionistico applicato allo studio della materia vivente non può naturalmente soddisfare il nostro bisogno di conoscenza. La necessità di usare approcci nuovi, di non limitarsi alle determinazioni qualitative dei costituenti della materia vivente e delle loro interazioni, ovvero di usare un approccio olistico o integrato, ha portato allo sviluppo di una nuova disciplina, o forse sarebbe meglio dire un nuovo modo di studiare la vita, denominata systems biology. La sua definizione non è né immediata né semplice, ma si può tentare di esemplificarla descrivendola come l’insieme di conoscenze e concetti diversi ma ben determinati, basati su chimica, fisica, matematica e biologia, tutti diretti alla comprensione dei meccanismi che sono alla base della funzionalità dello stato vivente (Systems biology, 2005). In tale ottica i dati che possediamo e le nostre conoscenze riguardo un determinato argomento devono essere elevati a livello di sistema.
Biodiversità molecolare
La biodiversità e il concetto di specie
Il termine diversità biologica o biodiversità indica il numero, la varietà e la variabilità di tutte le forme di vita sulla Terra e le reti naturali da esse costruite. La biodiversità che osserviamo oggi è il risultato di milioni di anni di evoluzione dovuta all’azione di fattori naturali e, in tempi più recenti, dell’influenza degli interventi umani.
La biodiversità può essere suddivisa in tre livelli: diversità individuale, diversità di specie e diversità di ecosistemi. La diversità individuale riguarda le differenze che si possono osservare tra individui. La diversità di specie riguarda le differenze in numero e in abbondanza di specie. La diversità di ecosistemi riguarda le differenze nella struttura di relazioni e funzioni tra specie di località diverse e le differenze ambientali chimico-fisiche (dette anche di habitat) nel quadro delle quali le specie interagiscono.
Le differenze che sottendono i tre tipi di biodiversità possono essere descritte oppure osservate a livello del fenotipo (che include morfologia e comportamento) o a livello molecolare (ovvero dell’informazione genetica) come illustrato nella figura 1.
In natura la biodiversità non si distribuisce in maniera continua da un organismo all’altro, ma in maniera discreta. Noi percepiamo il carattere discontinuo della biodiversità osservando l’esistenza di gruppi di organismi aventi attributi simili (preferenza ambientale, morfologia, comportamento ecc.), ma ciascuno diverso dall’altro. Tali gruppi sono le unità discrete chiamate specie. Per es., noi sappiamo che gli uomini, sebbene individualmente differenti l’uno dall’altro, appartengono a una singola specie, chiamata Homo sapiens, all’interno della quale esiste una variabilità di caratteri. Quando valichiamo limiti ben precisi, ossia ci muoviamo al di fuori della specie umana, osserviamo un salto nella variabilità dei caratteri: basti pensare, per es., al confronto tra uomo e scimpanzé.
Le singole specie sono unità di base che i biologi usano per dividere il mondo in entità distinte e riconoscibili. Esse rappresentano le unità fondamentali di confronto praticamente in tutti i sottocampi della biologia, dall’anatomia all’etologia, allo sviluppo, all’ecologia, all’evoluzione, alla genetica, alla biologia molecolare, alla paleontologia, alla fisiologia e alla sistematica. La misura di diversità più comunemente usata è infatti la diversità di specie.
Pur essendo un concetto ampiamente diffuso, attualmente manca il consenso su una definizione generale e univoca di ciò che costituisce una specie; infatti, tale definizione non è facile da formulare e soprattutto è molto complicato fissare i limiti di una specie (De Queiroz 2007). Quanto grande deve essere la diversità dei caratteri? In che misura (in termini qualitativi e quantitativi) può la specie tollerare la diversità? Come definire i caratteri e quali preferire per la definizione e classificazione delle specie? Tutto ciò costituisce il cosiddetto problema di specie. La questione è dibattuta in modo molto ampio e vivace proprio per l’importanza centrale del concetto di specie in biologia e per il suo diffuso uso nella nostra società anche per scopi applicativi.
Attualmente, l’intenso lavoro intorno alla definizione e descrizione della specie è incentrato sull’esplorazione delle cause della discontinua variabilità biologica dei caratteri. A tale riguardo, sono stati identificati possibili fattori responsabili, quali il flusso genetico, la discendenza ancestrale comune, la selezione.
Secondo il concetto biologico di specie, fondato su quello di flusso genico, due comunità possono essere considerate appartenenti a due specie diverse se non si scambiano geni. Questo concetto, pur essendo molto efficace per un gran numero di specie, presenta evidenti limitazioni: basti pensare, infatti, che non è applicabile per i gruppi che non hanno una riproduzione sessuale (per es., gli eubatteri). Inoltre, alcune difficoltà oggettive nella stima dell’isolamento genetico rendono difficile la sua applicazione anche tra gli organismi sessuati (Hackstein 1997).
Il concetto morfologico di specie, affidandosi alla selezione che assicura la sopravvivenza preferenziale degli individui tipici di una specie, si basa sulle differenze morfologiche. I suoi limiti vanno cercati nella difficoltà sia di definire in maniera obiettiva le caratteristiche morfologiche di una specie sia di distinguere le cosiddette sibling species che, pur essendo isolate dal punto di vista riproduttivo, sono molto simili tra loro poiché la loro separazione è molto recente (Adams 2001).
È importante sottolineare che il processo di trasmissione della diversità genetica alla generazione successiva non è fedele e produce varianti che contribuiscono a mantenere alti livelli di biodiversità. L’equilibrio tra mutazione e selezione nel contributo di diversità molecolare per la generazione successiva dipende inoltre dalla cosiddetta genetica di popolazione o, in termini più semplici, dalla variabilità intraspecie. Le modalità con cui la selezione e la diversità molecolare interagiscono e l’influenza degli altri tipi di diversità sono rappresentati schematicamente nella figura 2. Le varianti genetiche dovute a mutazioni producono varianti fenotipiche che, interagendo con l’ambiente circostante, riescono in maniera differenziale a sopravvivere e a riprodursi. Questo processo, detto di selezione, consente alle varianti più efficienti di essere via via sovrarappresentate nelle generazioni successive.
Dalla tassonomia classica alla tassonomia molecolare
Gli organismi viventi sono stati descritti e classificati in base al concetto di specie, riferendosi, dapprima, alle loro caratteristiche morfologiche, poi, alle caratteristiche concernenti il loro sviluppo embrionale. I biologi, seguendo approcci non molecolari, hanno descritto circa 1.700.000 specie, a fronte di un numero variabile tra i 10.000.000 e i 100.000.000 di specie che popolano il nostro pianeta.
Dopo la scoperta del DNA e soprattutto con l’avvento della cosiddetta era genomica, le ricerche sulla biodiversità si sono concentrate sulle macromolecole contenenti informazione (DNA, RNA e proteine), con il proposito di capire le basi molecolari della diversità biologica, fondamentale attributo della materia vivente, e quindi procedere a una classificazione degli organismi su base genetico-molecolare. Molte proprietà descritte dalla biologia classica sono state confermate a livello molecolare e, tra queste, la distribuzione non omogenea della variabilità biologica.
La moderna sistematica continua a integrarsi in toto con la biologia evolutiva. Tuttavia, la classificazione su base genetico-molecolare non è semplice, soprattutto perché il nostro livello di conoscenza è ancora molto limitato e tutte quelle discipline oggi raggruppate sotto il termine di omics, ovvero genomica, proteomica, trascrittomica ecc., sono, in fondo, ancora a un livello troppo elementare. Come già sottolineato, la genomica comparata è una disciplina appena emergente ed è impegnata a trovare i ‘criteri’ per paragonare i caratteri genetici, quasi tutti diversi ed estremamente variabili.
In teoria, per la tassonomia molecolare sarebbe ideale conoscere la sequenza nucleotidica completa del DNA nucleare di ogni specie, addirittura di ogni organismo: sappiamo che è possibile, ma per il momento non appare semplice ed è estremamente costoso, anche se la tecnologia sta progredendo a un ritmo molto rapido. Nella tabella 1 vengono illustrati i risultati degli sforzi compiuti fino a oggi, dai quali si rileva come ci si trovi ancora a livelli di conoscenza modesti.
Questa genomica, detta verticale, sta comunque già insegnando molte cose, tra cui il fatto che anche tra specie molto vicine in termini di distanza genetica, ci sono enormi differenze per quanto riguarda le proprietà basilari del DNA, a cominciare dalle sue dimensioni, dal contenuto in geni e dalla loro fine struttura. Nella tabella 2 viene riportata la grande variabilità di dimensioni genomiche in molti gruppi tassonomici.
Va ricordato che negli organismi eucarioti (ossia dotati di nucleo e organelli citoplasmatici) le cellule posseggono più di un genoma. Infatti, nelle cellule che respirano vi è sempre il genoma mitocondriale racchiuso nei mitocondri e nelle cellule vegetali si aggiunge il genoma contenuto nei plastidi e cloroplasti. Questi genomi hanno il vantaggio di essere di dimensioni molto più piccole di quelli nucleari e più semplici come struttura. Tuttavia, anche per i genomi mitocondriali e cloroplastici siamo molto lontani dal conoscerne la completa sequenza in tutti gli organismi. Pertanto, si capisce facilmente perché la tassonomia molecolare ha proceduto e continua a procedere in maniera non sistematica.
In questo scenario, con l’obiettivo di fornire una standardizzazione alla classificazione tassonomica molecolare, nasce e si sviluppa il progetto DNA barcode, di cui si parlerà più avanti.
Aree di studio e applicazioni della biodiversità molecolare
Lo studio della diversità molecolare è incentrato sul modo nel quale essa è distribuita nello spazio e conservata, ottenuta o persa nel corso del tempo. È facile capire come questo campo di studio sia estremamente vasto. Esso, infatti, comprende, come in precedenza riportato, aree disciplinari diverse ma connesse tra loro.
Non dobbiamo dimenticare che biodiversità è vita o, piuttosto, che vita è biodiversità, poiché senza di essa non potrebbero esserci organismi viventi sul pianeta Terra. Infatti, la tutela della biodiversità e la gestione delle informazioni a essa correlate rappresentano un nodo cruciale per lo sviluppo sostenibile della società contemporanea; per es., le attività produttive moderne di una data regione non possono prescindere dall’analisi della diversità biologica autoctona. Purtroppo invece la biodiversità è continuamente minacciata e, particolarmente nei Paesi più sviluppati, è in costante diminuzione.
Nella figura 3 sono riportate in maniera sintetica le percentuali di specie a rischio di estinzione in alcuni dei principali gruppi tassonomici.
Il mantenimento e la gestione della biodiversità richiedono che ne siano descritti efficacemente e in modo globale i vari aspetti per poterne poi predire le direzioni future. Tale compito potrà essere svolto con successo dalla nuova, emergente disciplina della biodiversità molecolare, ma potrà essere adempiuto solo se si terrà conto dei contributi delle discipline più ‘vecchie’, come tassonomia, biologia molecolare ed ecologia. A questo punto la sfida più grande per la conservazione della biodiversità è proprio nel riuscire a instaurare un’efficace simbiosi tra queste aree di ricerca, e in questo contesto è fondamentale l’ausilio della bioinformatica.
Menzionare tutte le applicazioni della biodiversità è compito estremamente arduo. Tra i settori che più ne traggono vantaggio possiamo ricordare la salute pubblica, grazie alla possibilità di diagnosticare nuove specie in medicina, batteriologia, parassitologia, veterinaria ecc.; l’agricoltura, con la possibilità di individuare organismi patogeni e specie invasive e di intervenire quindi sulla sicurezza alimentare; la tutela del consumatore, grazie alla possibilità di scoprire frodi commerciali e controllare attività illegali; il monitoraggio ambientale. Anche in questo contesto si inserisce il progetto DNA barcode (o barcoding) con tutte le relative applicazioni.
DNA barcode
Il progetto DNA barcode (o Barcode of life) consiste nella creazione di una banca dati pubblica riguardante sequenze appartenenti a campioni di specie diverse e fornisce una ‘chiave’ pratica e utile di accesso alla conoscenza della specie. Tale progetto nasce dalla necessità di trovare, e quindi utilizzare, alcune macromolecole (geni o parti di essi) quali marcatori di specie. Esso si basa su una semplice proprietà delle sequenze di DNA: le variazioni di sequenza di determinate regioni genetiche, brevi e standardizzate, possono permettere l’identificazione di specie conosciute e non.
Il concetto di DNA barcode, o codice a barre a DNA, è diverso da quello comunemente usato per i prodotti commerciali. In quest’ultimo caso, infatti, il codice a barre è sempre lo stesso per tutte le copie del prodotto, mentre ciò non è vero per gli esseri viventi, perché esiste una variabilità intraspecie. Individui diversi mostrano differenze nelle ‘barre’ del codice a causa del processo evolutivo di ogni forma di vita. Pertanto il codice a barre deve discriminare la specie sulla base del rapporto variabilità interspecie/variabilità intraspecie. Il DNA barcode può quindi essere definito in maniera sintetica come una corta sequenza di DNA, presa da una ben determinata localizzazione genomica e uniforme nei grandi gruppi tassonomici, usata per identificare le specie.
Le applicazioni del DNA barcode sono molteplici, di natura sia applicativa sia scientifica. In tale contesto il progetto può essere visto come un tipo di genomica ‘orizzontale’ in quanto permette un rapido ed efficiente paragone tra regioni genomiche prefissate anche tra organismi evolutivamente molto distanti. È chiaro che lo studio della biodiversità molecolare non si esaurisce negli scopi e nelle analisi del progetto Barcode of life, ma offre a tale obiettivo un importante supporto, anche perché si basa su un’accurata standardizzazione, una precisa analisi e una rigorosa validazione.
La scelta della sequenza da usare come barcode nei vari raggruppamenti tassonomici è attualmente studiata con grande impegno. Per i Metazoi, si tratta delle prime 600 basi del gene che permette la sintesi della subunità 1 dell’enzima citocromoossidasi, un gene presente sul DNA mitocondriale delle cellule animali. Questa scelta si deve soprattutto al lavoro di un gruppo di studio canadese (Hebert, Cywinska, Ball, deWaard 2003) e si è dimostrata corretta avendo avuto molte conferme; soltanto in alcuni casi, e in alcuni organismi animali, come, per es., alcuni Nematodi, tale gene non funziona come marcatore di specie. Per le piante è stato istituito un gruppo di lavoro ad hoc che recentemente ha proposto di usare più di un barcode, utilizzando geni presi dal DNA cloroplastico. Per i funghi e altri Protisti le analisi sono ancora in corso.
A parte l’importanza scientifica e applicativa del progetto, bisogna sottolineare che esso, come il progetto Genoma umano, e come tutti i progetti genomici in corso, dà un grande impulso alla messa a punto e allo sviluppo di nuove tecnologie che diventano sempre più specializzate ed economiche. Il progetto DNA barcode, infatti, presenta le seguenti necessità: sequenziamento veloce, affidabile ed economico della sequenza scelta come barcode nei vari gruppi di organismi, il che implica lo sviluppo di nuove tecnologie per il sequenziamento (per es., il pirosequenziamento) e di nanotecnologie per la costruzione di macchinari sempre più piccoli per l’uso immediato in campo (barcoder); creazione di banche dati specializzate e ricche di informazioni per i barcodes; tecniche informatiche per le procedure di comparazione tra sequenze determinate e sequenze barcode riportate nelle banche dati e per la scelta finale della specie a cui la determinata sequenza si riferisce.
I vantaggi offerti dal DNA barcode per l’identificazione rapida della specie sono numerosissimi e tra essi si possono elencare: l’identificazione della specie sulla base di parti di individui; l’identificazione di ogni stadio di sviluppo; la possibilità di discriminare tra specie apparentemente simili, di ridurre le ambiguità e di agevolare l’attività degli esperti; il fatto di essere un primo passo verso lo sviluppo di un sistema di identificazione palmare (Life barcoder); l’arricchimento della conoscenza delle relazioni filogenetiche tra gli organismi; la valorizzazione delle collezioni museali; la facilitazione nella stesura dell’Encyclopedia of life, progetto internazionale volto a creare un archivio on-line per classificare tutte le specie del pianeta.
Le ricerche riguardanti il progetto DNA barcode e tutti i vari problemi a esso connessi vengono gestite e coordinate da un consorzio, il CBOL (Consortium of the Barcode Of Life), costituito nel 2003 presso la Smithsonian Institution di Washington.
I campi di applicazione immediata di una determinazione automatica di specie di tipo barcode sono molteplici, ma certo essi aumenteranno quando lo strumento sarà reso disponibile. Di seguito ne sono ricordati alcuni.
Settore dell’epidemiologia e della salute pubblica: l’applicazione più promettente è nell’identificazione di organismi vettori di malattie, come vettori della malaria (diverse specie di zanzare del genere Anopheles), rabbia (vari Mammiferi) o borreliosi (zecche del genere Ixodes), per costruire mappe di distribuzione del rischio e pianificare campagne di vaccinazione e/o eradicamento, ma anche nella diagnosi di parassitosi.
Settore della difesa dei consumatori: l’identificazione delle specie presenti nei cibi freschi o processati ha importanza sia per valutarne la qualità sia per quanto riguarda la presenza di patogeni.
Settore delle norme doganali: l’identificazione di specie può rendere molto più efficaci i controlli sia contro specie aliene invasive sia per impedire il commercio di individui o parti di individui appartenenti a specie protette da convezioni internazionali.
Settore dei monitoraggi ambientali: la lista di specie di un ambiente e l’abbondanza relativa di ogni specie sono indicatori importanti al di là dei parametri chimico-fisici misurabili per avere informazioni sullo stato di salute del territorio. Infatti, l’abbondanza delle varie specie è il risultato degli effetti di inquinanti nel corso del tempo e fornisce un dato molto più attendibile e stabile delle misure chimico-fisiche. Al momento questi sistemi sono utilizzati al di sotto delle loro potenzialità per la difficoltà di avere identificazioni accurate di specie eseguite su un gran numero di campioni.
La rivoluzione a livello sociale
La conoscenza scientifica nel campo della biodiversità è ancora tutta da sviluppare, ma le sue applicazioni sono pronte per essere utilizzate in ambienti finora inesplorati. Alcuni mondi, fino a oggi separati, come quelli della sistematica, della genomica e della bioinformatica, si stanno fondendo al fine di produrre strumenti idonei a una più efficace analisi delle informazioni a livello molecolare e non molecolare sugli organismi viventi.
Nel campo della ricerca medica avanzata, la genomica ha indubbiamente già raggiunto traguardi notevoli, ma le sue applicazioni più ambiziose sono rivolte a obiettivi di sviluppo a medio o lungo termine (come, per es., la ricerca sul cancro). Al contrario, la biodiversità molecolare è già pronta ad avere un esteso impatto sociale, basti pensare alle applicazioni pratiche del progetto DNA barcode. Infatti, la possibilità di riconoscere gli organismi viventi in modo univoco, grazie all’analisi delle sequenze di DNA, può avere ampie e interessanti ricadute nei vari ambiti della vita quotidiana, come, per es., nel giardinaggio, nelle scelte alimentari, nei controlli di dogana, nei criteri di protezione del consumatore e così via. In questi settori si prevede un impatto di forte portata e questo a sua volta causerà uno sviluppo, forse ancora impensato a livello biologico, di varie tecnologie (tra cui quelle del sequenziamento veloce ed economico) e delle nanotecnologie.
Infine, i campi di studio della biodiversità sono di fondamentale importanza non solo per i Paesi a sviluppo avanzato ma anche, e forse ancora di più, per i Paesi in via di sviluppo, in quanto possessori della maggior parte della biodiversità del nostro pianeta e quindi luoghi nevralgici per un corretto processo di globalizzazione.
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