BIOFISICA
. Anche se molto più antico, il termine "biofisica" è entrato nell'uso corrente nel secondo dopoguerra, senza tuttavia una precisa connotazione. Si è incominciato a usarlo di solito in relazione a lavori di ricerca eterogenei, aventi in comune solo questo: un qualche riferimento a scienze biologiche e un contributo, ritenuto importante, di concetti o di tecniche fornito dalla fisica. I risultati di quei lavori trovavano poi per lo più la loro collocazione naturale in capitoli classici delle scienze biologiche, quali la fisiologia o l'istologia; o ricadevano ovviamente nel quadro della biologia molecolare; o infine, privi in realtà di una vera problematica biologica, finivano col ridursi a modesti contributi ad altre scienze, chimica per lo più, o qualche volta teoria dell'informazione. La b. come corpo di conoscenze organizzato, continuava con ciò a essere praticamente inesistente.
La situazione è oggi sostanzialmente cambiata. Manca ancora un esplicito accordo sul significato preciso da attribuire alla parola b., ma è ormai possibile individuare, attraverso il suo oggetto e i suoi limiti, in relazione a tale parola una scienza autonoma, che non si sovrappone alle scienze tradizionali.
Per vederlo, si può prender le mosse dal significato etimologico del termine, "fisica della vita" o "fisica degli organismi viventi", troppo vago e generico per essere utile ai fini di una definizione, ma sufficiente per far vedere che una nuova scienza di questo nome può solo inserirsi tra le scienze classiche fondamentali, fisica e biologia, realizzando tra esse quel collegamento concettuale, la cui mancanza si manifesta a livello socio-culturale nella ben nota frattura, tanto deprecata quanto apparentemente incolmabile, tra scienze naturali e scienze umane.
L'impostazione di una nuova scienza richiede la soluzione di una lunga serie di problemi di metodo. Bisogna anzitutto delimitare il meglio possibile il campo della nuova disciplina, dire cioè quale sia la categoria di fatti naturali di cui essa intende occuparsi e chiarire a quale livello conoscitivo ed esplicativo essa intenda collocarsi: quali siano cioè le conoscenze che essa ritiene acquisite e alle quali intende riportare i fatti allo studio. Nel caso della b., i fatti di cui la nuova disciplina intende occuparsi non possono che appartenere al campo proprio della biologia. Fare b. non potrà dunque voler dire altro che organizzare, interpretare o spiegare i fenomeni biologici (o, almeno, parte di essi) in un certo modo: è necessario insistere sul fatto che non si può parlare di b., quando una problematica biologica manchi.
In che cosa esattamente la b. deve differenziarsi dalla ordinaria biologia? La risposta ovvia è che essa è caratterizzata, sia come campo di ricerca sia come complesso di conoscenze organizzate, da un rapporto diretto a livello esplicativo con la fisica e i suoi principi fondamentali. La natura di questo rapporto non può però essere semplicemente strumentale, come si verifica per esempio per la fisiologia, perché ciò non ci porterebbe al di fuori di discipline biologiche tradizionali. La fisiologia descrive i processi che si svolgono negli organismi viventi facendo uso continuo di concetti e nozioni di fisica e chimica; essa dà per scontata l'esistenza degli organismi viventi e si propone solo di spiegarne le caratteristiche funzionali. Il problema fondamentale della b. non può consistere che in ciò che la fisiologia accetta come dato di fatto: l'esistenza di organismi viventi. Potremo dunque dire che la b. assume come dati di partenza conosciuti i principi generali della fisica e tutte le note conseguenze che da essi derivano per via deduttiva e si propone di spiegare in base ad essi come mai possano insorgere sistemi quali gli organismi viventi, con tutta la loro complessa fenomenologia, sistemi che la b. considera dunque "fisici" esattamente come un solido a struttura cristallina o un fluido suddiviso tra più fasi. In altre parole, per la fisiologia i sistemi biologici costituiscono una categoria autonoma, primitiva; la b., nell'impostazione da noi adottata, nega invece l'autonomia categoriale del "biologico", che fa rientrare nella categoria stessa del "fisico".
La definizione precedente fissa l'oggetto e i limiti della b., in modo tale che essa non venga a sovrapporsi ad altre discipline scientifiche. È tuttavia chiaro che bisogna ancora dimostrare che la b. così definita rappresenta un campo di ricerca alla cui esplorazione ci si può in concreto dedicare e che di essa fa già parte un certo complesso di cognizioni scientifiche suscettibile di essere organizzato in vista degli obiettivi proposti.
La prima questione può essere affrontata a due livelli diversi: dal punto di vista più limitato del ricercatore di laboratorio e da quello più generale della rappresentazione scientifica del mondo. Il ricercatore di laboratorio ha di fronte a sé tutti i processi che coinvolgono organismi viventi, in particolare quelli descritti dalla biologia molecolare. Esiste oggi una teoria fisica di provata validità, che si presenti con argomenti convincenti come presumibilmente idonea a inquadrare in un unico schema logico-deduttivo convenientemente articolato non solo tutti i fenomeni conosciuti del mondo inorganico, ma anche i processi caratteristici della vita?
La risposta è che non siamo attualmente in possesso di nessuna teoria fisica che si sia dimostrata capace d'inquadrare, almeno in linea di principio, tutti i fenomeni fisici conosciuti. Tutte le nostre attuali teorie hanno una validità limitata, e in generale sappiamo abbastanza bene quali ne sono i limiti. Dovremo quindi contentarci di vedere se, tra le teorie approssimate, parziali, di cui disponiamo non ve ne sia una che possa fondatamente ritenersi idonea a descrivere, nei limiti della sua approssimazione, anche i processi biologici. Ora, la biologia molecolare ha dimostrato che i fatti fondamentali della biologia si svolgono a livello delle macromolecole e che un singolo evento elementare (cioè, per es., l'urto tra due particolari molecole, accompagnato da una modificazione della struttura di entrambe) può determinare una modifica del patrimonio ereditario che si trasmette da una generazione all'altra, con la comparsa di discendenti "mutati", macroscopicamente diversi da ciò che sarebbero stati se quella modificazione a livello elementare non fosse avvenuta. L'esistenza empiricamente accertata di questa base molecolare dei fenomeni biologici porta senz'altro a escludere che questi ultimi possano essere descritti facendo uso esclusivamente della meccanica classica, che, pur valida a livello macroscopico, è notoriamente incapace di spiegare anche solo la stabilità di atomi e molecole. Possediamo tuttavia una teoria approssimata, capace di descrivere in modo qualitativamente e quantitativamente soddisfacente i fenomeni atomici e molecolari: la meccanica quantistica non relativistica, la quale si riduce, come caso limite, alla meccanica classica quando venga applicata a sistemi costituiti da un gran numero di particelle e possedenti una energia totale sufficientemente elevata. Le dimensioni degli oggetti coinvolti nei fatti biologici elementari sono proprio a metà strada tra le dimensioni degli atomi e delle piccole molecole da un lato e di quelle degli organismi superiori dall'altro: la meccanica quantistica è valida a entrambi gli estremi di questo intervallo (all'estremo superiore, nella sua forma limite di meccanica classica). È quindi da ritenere che essa sia uno strumento teoretico adeguato al nostro problema.
Ciò non significa tuttavia che l'effettiva trattazione di un qualsiasi problema biologico con la meccanica quantistica non debba presentare difficoltà. Anche se non ci sono difficoltà di principio, è infatti da attendersi che s'incontrino gravi difficoltà pratiche per collegare logicamente i fatti della biologia coi principi generali della fisica, dovute alla mancanza di idonei metodi di approssimazione e di calcolo validi nell'ambito delle dimensioni intermedie. In realtà non sembra si possa fare molto di più che ricorrere a modelli rozzi, estremamente schematizzati, dei fenomeni che interessano, contentandosi di far vedere che i principi generali della teoria sono tali da consentire in linea di principio una previsione di quei fatti appunto che si vogliono spiegare.
L'uomo di laboratorio dispone dunque, a quanto sembra, di uno strumento teorico idoneo, anche se difficile da usare. Ma può la biologia ridursi a un capitolo della fisica, com'è avvenuto per la chimica? Può organizzarsi nella forma di sistemi logico-deduttivi, i cui postulati di partenza siano in realtà punti di arrivo di sviluppi deduttivi della fisica? E evidente che la legittimità di una "biofisica" va ridiscussa a un diverso livello, quello delle idee generali cioè della rappresentazione scientifica del mondo.
Anche un esame superficiale è infatti sufficiente per mettere in luce le profonde diversità di struttura tra fisica e biologia. La fisica è basata essenzialmente sul risultato di esperimenti impostati e condotti in modo tale da isolare il sistema allo studio e separare automaticamente le sue condizioni iniziali dalle leggi universali che ne regolano la risposta a interventi esterni perfettamente controllati. Mentre le condizioni iniziali (il dato contingente) vengono messe da parte, le leggi universali, valide qualunque sia la scelta delle condizioni iniziali, sono il vero e unico materiale che la teoria fisica considera e organizza. E la teoria è quindi totalmente astratta e astorica, fuori dello spazio e del tempo reali, proiettata in un mondo di pura razionalità simile a quello delle idee platoniche.
La biologia è, al contrario, una scienza storica. In essa la separazione di condizioni iniziali e leggi universali non ha senso. Il sistema allo studio non può essere isolato totalmente; esso risulta in ogni caso quello che è in conseguenza non solo delle leggi fisico-chimiche (che non bastano a determinarlo completamente), ma anche a seguito di una lunghissima serie di scelte successive avvenute al passaggio de una generazione all'altra, lungo tutto il corso dell'evoluzione che ha portato ad esso. Anche se sono indispensabili esperimenti di tipo fisico-chimico per chiarire la struttura e il funzionamento di un qualsiasi tipo di sistema biologico, il risultato dell'esperimento rimane confinato nel contingente, nessuna correlazione di carattere universale (necessaria) è possibile stabilire tra strutture fondamentali e loro comportamento ed evoluzione in condizioni ambientali definite: una sola incontrollabile mutazione puntuale è sufficiente per cambiare radicalmente il corso degli avvenimenti e le alternative possibili (e totalmente divergenti) non sono in numero definito.
Così, ciò che si può paragonare alla teoria biologica non è direttamente la teoria fisica, ma una visione cosmologica, in cui la fisica è applicata a interpretare il corso naturale degli eventi, qual'è da noi osservato in spazio e tempo reali. Su queste basi, una rappresentazione unitaria del mondo, un nuovo paradigma da cui le due teorie, biologica e fisica, possano articolarsi entrambe, risulta possibile, pur di rinunciare al determinismo della teoria classica e di ammettere che il rigido legame causale a livello macroscopico possa in qualsiasi momento essere infranto dall'inaspettato emergere a tale livello delle conseguenze di un singolo evento elementare iniziale a livello quantico (per es., una mutazione, o, altro esempio, il cristallizzare di uno e uno solo dei due enantiomeri da una soluzione racemica soprassatura). Solo così si può salvare a un tempo il meccanismo dell'evoluzione, per variabilità intrinseca dei caratteri specifici e selezione naturale, e la validità degli esperimenti, che presuppone una libera scelta delle condizioni iniziali da parte dello sperimentatore.
In tale quadro, la legittimità della b. risulta dimostrata anche a livello di una visione generale del mondo. Di più, la b. si presenta come l'indispensabile ponte di collegamento tra scienze a struttura logico-deduttiva, come la fisica, da un lato, e scienze storiche, come le scienze umane, dall'altro. Si vede che, sul piano concettuale, essa non è dopotutto una scienza nuova e distinta, ma solo un modo nuovo d'impostare e costruire la biologia.
Ciò, naturalmente, risulta vero in una prospettiva che sia rivolta verso il futuro. Oggi, il problema centrale della b. è evidentemente quello dell'origine della vita, qual'è stato proposto nel 1924 da A. I. Oparin e nel 1929 indipendentemente da J. B. S. Haldane, impostato come problema scientifico teorico e sperimentale nel 1953 da H. C. Urey e S. L. Miller, che hanno aperto la strada al rapido progresso contemporaneo. Tale problema costituisce l'intelaiatura portante entro cui trovano man mano il loro posto tutti i grandi e piccoli problemi della biologia, visti nella loro prospettiva storica e nel loro collegamento con le interazioni fondamentali. Anche alla seconda delle questioni poste dalla definizione di b. da noi adottata, quella riguardante i contenuti, si è quindi trovato una risposta: la b. non è, oggi, una scienza vuota.
Per quanto riguarda la b. molecolare, v. fisica molecolare, in questa Appendice.
Bibl.: A. I. Oparin, Vozniknovenie Zizni na Zemle, Mosca 1936 (trad. it. L'origine della vita sulla Terra, Torino 1956); J. L. Oncley (a cura di), Biophysical science, A study program, New York 1969; R. B. Setlov, E. C. Polland, Molecular biophysics, Reading, Mass., 1962; S. W. Fox (a cura di), The origins of prebiological systems and of their molecular matrices, New York 1965; B. Pullman, M. Weissbluth (a cura di), Molecular biophysics, ivi 1965; M. Calvin, Chemical evolution, Oxford 1969; M. G. Rutten, The origin of life by natural causes, Amsterdam 1971; M. Ageno, Punti di contatto tra fisica e biologia, Roma 1972; S. W. Fox, K. Dose, Molecular evolution and the origin of life, San Francisco 1972; M. Ageno, Introduzione alla biofisica, Milano 1975.