VIRCHI, famiglia
Licia Mari
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 99 (2020), 2023
Famiglia di liutai attivi a Brescia dagli inizi del XVI sec. agli inizi del sec. XVII.
Bernardino (I), zoccolaio, nacque nel 1480 circa, morì tra il 1563 e il 1564, fu padre di Girolamo e Benedetto, entrambi liutai.
Girolamo nacque nel 1523 circa e morì dopo il 1574. I primi dati biografici si desumono da una polizza d’estimo del 14 aprile 1563 (cfr. Ravasio 1992, pp. 141-142), in cui Girolamo si dichiara cittadino e abitante di Brescia (borgo S. Alessandro, attuale corso Cavour), figlio di Bernardino Virchi, di anni 40 e «maestro di instrumenti di musica». Nello stesso atto il padre Bernardino è registrato di anni 82, «decrepito e infermo»; in un’altra polizza dell’aprile 1565 risulta già morto (ibid., p. 142). Il valore di Girolamo come liutaio è testimoniato, prima di tutto, dalla celebre cetera, firmata e datata 1574, conservata al Kunsthistoriches Museum di Vienna, già appartenuta alla collezione dell’arciduca Ferdinando del Tirolo nel castello di Ambras. La cetera del Museo del Conservatorio di Parigi, invece, è stata attribuita a Girolamo alla fine degli anni Ottanta del Novecento, anche se questa ipotesi era stata avanzata da Benvenuto Disertori già qualche decennio prima. Potrebbe essere sua anche la cetera conservata all’Ashmoleam Museum di Oxford. Tutti e tre gli strumenti presentano la medesima progettualità, anche se si notano differenze nell’esecuzione degli intagli, probabilmente perché vi lavorarono artigiani diversi. Si hanno notizie di un’altra cetera, perduta, che nel 1922 risultava a Berlino (cfr. Sachs 1922, p. 154).
Il fratello Benedetto, intarsiatore oltre che liutaio, nacque nel 1520 circa e morì dopo il 1568. Notizie biografiche e della sua attività si ricavano da una polizza d’estimo del 1568 (cfr. Ravasio 1992, pp. 143-144), in cui dichiara di avere anni 48, un figlio di nome Bernardino di anni 3 e di possedere «roba […] de l’arte mia delle citere». L’abilità di intagliatore è testimoniata dalle tarsie che realizzò tra il 1548 e il 1553, insieme al fratello Battista, nella chiesa di S. Francesco a Brescia. Dopo il 1568 non si hanno altre notizie.
Il figlio di Benedetto, Bernardino (II), nacque nel 1565 circa e morì dopo il 1622. Detto Targhetta come il cugino Paolo, intraprese l’attività di organaro presumibilmente presso la bottega di Graziadio Antegnati, il quale lo fece registrare come testimone della modifica al testamento redatta con atto notarile il 23 dicembre 1590 (cfr. Ravasio 1995). Dal 1599 al 1611 ottenne la manutenzione dell’organo Graziadio Antegnati della basilica di S. Barbara in Mantova. È probabile che, a causa della morte di Paolo, il rapporto si concluse. In una polizza d’estimo del 1617 Bernardino dichiara la sua professione e l’indirizzo della sua bottega a Brescia (cfr. Ravasio 2017, p. 41). Si hanno notizie di suoi interventi su vari strumenti a partire dal 1601 (parrocchia di Colorno, costruzione); nella chiesa di S. Caterina a Genova (1603, nuovo organo); in S. Maria del Carmine a Salò (1604, messa in opera di un organo di bottega Antegnati); presso l’Accademia filarmonica di Verona e S. Giovanni a Brescia (1604); nella cattedrale di Parma (dal 1599 al 1606 e dal 1609 al 1612) e nella cripta (1607); nella chiesa della S. Croce dei Servi di Maria di Guastalla (Reggio Emilia, 1610, nuovo strumento); nella basilica dei Ss. Michele e Quirino di Correggio (1611-13); a Rivarolo nel Mantovano (1613); a S. Domenico di Cremona (1616-1620, rifacimento); nella cattedrale di Cremona (1616, con ritorni tra il 1618 e il 1622); a S. Maria delle Vigne a Genova (1620). Nel 1621 accettò un lavoro presso S. Domenico a Cremona: dalla cronaca manoscritta di Pietro Maria Passerini da Sestola riguardante tale convento, si può supporre che l’organaro morì poco tempo dopo (cfr. Ravasio 1995). Maurizio Isabella ha attribuito a Bernardino alcune canne dell’organo Antegnati della parrocchiale di Annico (Cremona), di Casalmoro (Mantova) e gli strumenti delle chiese di S. Marcellino a Cremona e di S. Chiara a Casalmaggiore.
Paolo (Giovan Paolo, detto Targhetta), figlio di Girolamo, nacque nel 1551 circa e morì a Mantova il 19 marzo 1610. L’ipotesi sull’anno di nascita si ricava dal confronto tra una polizza d’estimo del padre Girolamo del 14 aprile 1563, in cui Paolo risulta di anni 12, e un’altra polizza dello stesso Giovan Paolo del 1588, in cui egli dichiara di avere 36 anni e di essere musico al servizio del duca di Ferrara (cfr. Ravasio 1992, pp. 141-142). Non si hanno notizie sulla sua giovinezza; le prime indicazioni si traggono dalla sua pubblicazione Il primo libro di tabolatura di citthara di ricercati madrigali canzoni napolitane et saltarelli (Venezia, Eredi di Girolamo Scotto, 1574), in cui il musicista si definisce «organista bresciano». Dedicata al duca di Parma Ottavio Farnese, l’opera raccoglie composizioni proprie e di altri colleghi: in particolare, la presenza di Fiorenzo Maschera e Lelio Bertani, indica l’ambiente bresciano di formazione. Bertani fu anche testimone al suo matrimonio, celebrato il 7 aprile 1578 in S. Alessandro a Brescia, essendo all’epoca cantore del duomo (nel 1584 ne diventò maestro di cappella).
La raccolta di Paolo appare finalizzata all’ottenimento di un incarico fuori Brescia: i brani, che utilizzano per la notazione l’intavolatura italiana per liuto e sono corredati da un interessante avvertimento, mostrano le conoscenze che egli aveva acquisito dal padre su uno strumento particolare, di cui si desiderava recuperarne il significato legato alla classicità greca.
Nel 1580 una vicenda giudiziaria non identificata con chiarezza bandì il musicista da Brescia, con il rischio del taglio di una mano; nel 1586 fu assolto dalla colpa e liberato dall’interdizione. Tale episodio potrebbe spiegare l’ingaggio presso il duca di Ferrara, collocabile tra il gennaio 1579 e il dicembre 1581, con la qualifica di cantante. Solo nel dicembre 1587 risulta un compenso come «musico» per insegnare a cantare e a suonare ad Alessandro, figlio naturale del duca Alfonso II d’Este, che proseguì nel 1588, anno in cui è annotato il medesimo incarico per le famose Dame. Stimato a corte, Paolo ricevette aumenti di paga e doni in denaro (1592 e 1597). Nel 1591 collaborò, con Ippolito Fiorini e Luzzasco Luzzaschi, alla solenne messa di Natale con due organi, tromboni, cornetti, tre cori, per la quale compose il Gloria. Risulta tra i salariati di corte nel febbraio 1598, ma senza registrazione di pagamento e con il nome barrato, per cui si è ipotizzato che abbia lasciato il servizio degli Este in quel mese, probabilmente a causa della morte senza eredi legittimi, nell’ottobre precedente, del duca Alfonso, con la conseguente devoluzione del ducato di Ferrara allo Stato pontificio. Risale agli anni presso la corte estense il maggior numero delle composizioni a noi note. Tra queste merita la prima citazione, in ordine di tempo, un manoscritto della Biblioteca Estense di Modena (F. 1358, 1580 circa), contenente una serie di madrigali, raccolti per lo studio e le esecuzioni riservate (la «musica secreta») del famoso Concerto delle Dame, che la duchessa Margherita Gonzaga, andata sposa ad Alfonso II d’Este nel 1579, curò e sostenne. Nel manoscritto si trovano quattro brani di Paolo: Con gli occhi molli e con le chiome sparse (di qualità nella composizione e interessante nei cromatismi, cfr. Stras 2018, pp. 247-248); Tu pur mi fuggi ingrato; Ama ben dice amore; Questa vita mortal si bella in vista (unico pubblicato nel Secondo libro di madrigali del 1588). La partecipazione attiva a tale raffinata espressione artistica collocò appieno Virchi nel panorama musicale degli ultimi venti anni del XVII sec., insieme a Luzzaschi a Ferrara, e a tutti i maggiori compositori italiani, quali Marc'Antonio Ingegneri, Claudio Merulo, Costanzo Porta, Luca Marenzio, Giaches de Wert, per citare solo alcuni dei grandi che scrissero per le cantanti della duchessa Margherita. Il primo libro di madrigali a 5 voci (Venezia, G. Vincenti e R. Amadino), che Paolo pubblicò nel 1584, mise in luce ancora più chiaramente questo rapporto. Nella dedica al duca Alfonso il musicista, che nel frontespizio si dichiara «organista et musico del serenissimo duca di Ferrara», ricorda il favore ricevuto per aver udito le sue composizioni e attribuisce la loro qualità non tanto al proprio «artificio, quanto alla soavità di quelle Illustri Signore che li cantano». Nella raccolta si trovano tre madrigali dedicati alla mantovana Laura Peperara (Non fonte o fiume od aura, su testo di Torquato Tasso; Aura che dolce spira e Se’l sol guardo e le stelle su testo anonimo) e uno che mette in luce quattro celebri cantanti e strumentiste: SeGU’A RINAscer LAURA e prenda l’ARCO / amor soave e dolce / ch’ogni cuor duro MOLCE (testo anonimo). Sono riconoscibili nei primi tre versi Anna Guarini, Laura Peperara, Livia d’Arco e Tarquinia Molza. In questo primo libro i versi di Tasso sono utilizzati in sei brani: uno di essi, Arsi mentre a voi piacque, era già stato pubblicato in Il lauro secco (Ferrara, V. Baldini 1582), omaggio alla Peperara. Anche nel successivo Il lauro verde (Ferrara, V. Baldini 1583, in onore della medesima Laura) è contenuto un madrigale di Paolo, Felice primavera (che compare anche in un manoscritto del XVIII-XIX sec. conservato presso la British Library di Londra, Add 31409). Nella pubblicazione del 1584 si possono ricordare anche i testi di Iacopo Sannazzaro e Battista Guarini: quest’ultimo, insieme al Tasso, compare anche nel Secondo libro di madrigali a 5 voci (Venezia, G. Vincenti, 1588), insieme ad Angelo Grillo. Guarini, Tasso e Grillo ritornano nel Primo libro di madrigali a 6 voci (Venezia, R. Amadino, 1591). In quest’ultima opera è di interesse la presenza di un testo di Orsina Cavalletta (Mentre la notte al suo bel manto il lembo / ingemmava di stelle / un pastorel dicea), che già aveva onorato la Peperara con numerosi poemi, chiamandola Ninfa del Mincio per indicare il suo luogo d’origine. Da notare anche il testo di anonimo Questa vaga Angioletta / tante grazie ha nel viso / quante dar suol a mille il paradiso: parole e immagini appaiono accostabili ai versi composti da Tasso, recluso a Ferrara, per Margherita Gonzaga, vista come intermediaria per ottenere clemenza dal marito, il duca Alfonso. Infine, il madrigale del Tasso Ha gigli e rose fu ripubblicato nella Ghirlanda musicale del 1601 (Anversa, P. Phalese), segno di riconoscimento per il compositore bresciano, come diversi altri inserimenti in raccolte simili: I lieti amanti (Venezia, G. Vincenti e R. Amadino 1586, con A dio, Titiro disse, ed. M. Giuliani, Firenze 1990); L’Amorosa Ero (Brescia, V. Sabbio 1588, su un testo del conte Marco Antonio Martinengo offerto a Lelio Bertani e ad altri 16 compositori tra cui Ingegneri, Marenzio, Luzzaschi, New York, 1968); La Gloria Musicale (Venezia, R. Amadino 1592, con Copre Madonna ad arte, riproposto in Paradiso Musicale, Anversa, P. Phalese, 1596).
L’arrivo a Mantova di Paolo seguì di poco la partenza da Ferrara e venne, presumibilmente, favorita dalla vedova del duca Alfonso, Margherita Gonzaga, tornata nella sua città nel dicembre 1597.
Risulta pagato come organista della basilica Palatina di S. Barbara dal marzo 1598 al marzo 1610 per giorni 18 (Mantova, Archivio Storico diocesano, S. Barbara, b. 1A). Una interessante lista di salariati di corte del luglio 1598 annovera, sotto l’indicazione «Capella et Cantori», Paolo Virchi e Luzzasco Luzzaschi e, nella «Famiglia della signora Duchessa» [Margherita], Laura Peperara.
Il 30 settembre 1598 (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, b. 2247, c.n.n.) il duca gli concesse il permesso di tornare in patria «per certi suoi crediti» e lo raccomandò al podestà di Brescia. Il 16 ottobre successivo il podestà e capitano Michiel Foscarini da Venezia scrisse al Gonzaga che intervenne per accelerare il corso della giustizia in modo da far ottenere rapidamente a Virchi ciò che desiderava.
Con decreto del 6 giugno 1602, il musicista divenne cittadino mantovano; nel 1603 ricevette in parte dal duca e in parte acquistò, alcune terre nelle vicinanze di Mantova (cfr. Parisi 1989).
Numerosi atti di compravendita e investiture da parte di chiese cittadine (cfr. Archivio di Stato di Mantova Notarile, Indice delle parti), di cui poi godette il figlio Fulvio (con il quale però ci furono dissapori), testimoniano una vita agiata e piena di riconoscimenti. La produzione musicale di questi anni a noi nota risulta di minore entità rispetto al periodo precedente. Nel 1604, in Musica de diversi eccellentissimi autori a cinque voci sopra i pietosi affetti del M.R.P.D. Angelo Grillo (Venezia, A. Gardano), comparve un brano di Paolo tratto da versi dedicati al Natale: Mentre fan di se stesse ghirlandette porta il titolo A felici pastori, i quali onorano, insieme alle stelle, il Bambino Gesù.
In una lettera di Carlo Rossi al duca di Mantova (27 febbraio 1608) si legge di un Paolo Virt, identificabile con il nostro, quale compositore della «licenza» per l’Idropica nel 1608 a Mantova (con musiche di Salomone Rossi, Gian Giacomo Gastoldi, Marco da Gagliano, Claudio Monteverdi). Nello stesso anno, all’interno del postumo Duodecimo libro de madrigali (Venezia, A. Gardano 1608) di Giaches de Wert si trovano due madrigali di Paolo: Mi sfidate guerriera e Dolce fiamma amorosa. Infine, a parte i brani contenuti nelle antologie sopra citate, abbiamo solo la notizia della stampa postuma di un Libro di mottetti dedicati alla Vergine Maria che, con una lettera del 26 maggio 1611, il figlio Fulvio presentò al duca di Mantova (cfr. Parisi 1989, p. 729): dovrebbe trattarsi di quelli a 5 voci, editi da Amadino, citati da Giuseppe Ottavio Pitoni nel suo manoscritto Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica (manoscritto, fine sec. XVII-inizio del sec. XVIII, ed. a cura di C. Ruini, Firenze 1987, p. 222).
Dopo un primo testamento del 1603, Paolo scrisse quello definitivo il 13 marzo 1610 e morì pochi giorni dopo. Nel primo cita Lelio Bertani come «il maggior amico che mi habbia al mundo» e mostra, nelle sue disposizioni, di avere conservato rapporti con Brescia; nel secondo chiede di essere sepolto nella chiesa del Convento di S. Domenico in Mantova (demolita nel 1925) e conferma i rapporti difficili con il figlio Fulvio, lasciandogli un fidecommesso e temendo suoi comportamenti illegali (Archivio di Stato di Mantova, Notai G. Battista Bignami e G. Battista Bellini).
L’atto di morte (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, Necrologi 1610-1611, c. 31r) attribuisce a Paolo l’età di anni 70, che però contrasta con quella riportata nelle polizze d’estimo bresciane. Potrebbe trattarsi di una svista del funzionario preposto, poiché anche la defunta immediatamente precedente a Virchi è riportata con la medesima età.
Il figlio di Paolo, Fulvio, fu anch’egli organista. Nacque nel 1588 e morì a Mantova il 14 ottobre 1627. L’atto di morte (Archivio di Stato di Mantova, Gonzaga, Necrologi 1626-27, c. 63r), con l’indicazione dell’età di anni 40, in confronto con la polizza d’estimo del padre del 1588 (cfr. Ravasio 1992, pp. 148-149) in cui dichiarò i figli Alfonso, Ieronimo, Lorenzo e la moglie in gravidanza, permettono di dedurre l’anno di nascita con una certa sicurezza.
Mandato a Roma nel 1609 per studiare, grazie alla raccomandazione di Margherita Gonzaga d’Este presso il fratello duca Vincenzo che sostenne anche alcune spese, Fulvio ottenne il posto di organista nella chiesa di S. Maria in Trastevere tra il dicembre 1609 e il marzo 1610. Non è chiara la posizione che lasciò alla corte gonzaghesca, ma un ordine ducale del 1609 stabilì che continuasse a essere pagato, nonostante la temporanea assenza da Mantova. Ospitato nella casa dell’ambasciatore dei Gonzaga monsignor Aurelio Recordati, da cui venne apprezzato, si scontrò duramente con il padre per questioni economiche acuite dal rifiuto, da parte di quest’ultimo, di rimborsare l’acquisto di uno strumento per lo studio. Alla morte di Paolo nel 1610, Fulvio tornò a Mantova; il cardinale Ferdinando Gonzaga (futuro duca) e il monsignor Recordati lo raccomandarono presso Vincenzo per favorirlo nell’incarico che fu del padre; lo stesso Fulvio chiese aiuto in tal senso ad Annibale Chieppio, ma nella basilica di S. Barbara fu assunto il bresciano Ottavio Bargnani. Non si conoscono particolari vicende musicali di Fulvio a Mantova, ma la sua presenza è testimoniata da numerosi atti notarili legati principalmente alle disposizioni paterne. Nel 1613 il duca Ferdinando Gonzaga gli concesse il permesso di vendere la casa di famiglia; nel testamento del 21 marzo 1626 (Archivio di Stato di Mantova, Notaio Giacomo Ceriani), non avendo avuto eredi legittimi, Fulvio lasciò scritto che i suoi beni fossero divisi tra la moglie, la sorella e alcuni istituti religiosi, tra cui il convento di S. Domenico in Mantova, nella cui chiesa desiderava essere sepolto.
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Vari documenti con relativa segnatura archivistica sono descritti nel database on line Herla project