VARANO, Rodolfo III da. – Nacque in data imprecisata, probabilmente negli anni ’50 del secolo XIV, da Gentile III da Varano e da Teodora di Niccolò Salimbeni, di illustre famiglia senese. Ebbe almeno due sorelle (Nanzia, Guglielmina) e un fratello (Giovanni).
È documentato per la prima volta all’inizio degli anni ’80, a fianco degli zii Rodolfo II e Giovanni di Berardo, del padre Gentile III e dei cugini Gentile e Berardo di Venanzio: questo gruppetto dalla casata da Varano dominava allora un aggregato territoriale costituito da diverse città, castra e terrae.
Negli anni ’70 la famiglia da Varano era stata lacerata da violenti contrasti per la leadership, in particolare tra gli zii e il padre di Rodolfo III; ma nel decennio successivo prevalse il ramo di Gentile III: prima Rodolfo II (1384) e poi Giovanni di Berardo morirono senza eredi maschi, e quest’ultimo consegnò (gennaio 1385) al nipote Rodolfo (III) «lu regemento e la gubernatione» della città di Macerata, che si era posta provvisoriamente sotto la sua protezione. Con un codicillo al testamento (maggio 1385) Giovanni legò inoltre a Rodolfo il territorio della Rancia (la Grancia, comprendente castello, terreni, mulini, bestiame), e cospicui beni mobili (denaro, pietre preziose, argenti). Danneggiati da questa scelta, i figli di Venanzio iniziarono un conflitto armato contro lo zio Gentile III e contro Rodolfo (che erano appoggiati dal comune di Camerino). Per impulso del papato, dapprima Ugolino III Trinci signore di Foligno e poi il comune di Perugia svolsero un’opera di mediazione (arbitrato dell’agosto del 1386); formalmente si giunse a una condivisione del potere, ma Rodolfo III e il padre riuscirono a cacciare con la forza i rivali (che intrapresero peraltro più volte operazioni militari nella regione).
Rodolfo fiancheggiò il padre sino alla morte (1399) nel governo di Camerino e del suo territorio (che ebbe tratti marcatamente signorili). Si occupò tanto delle questioni di ‘politica estera’ (diplomazia, guerra, commerci) quanto dei problemi interni (fiscalità, amministrazione del comune, magistrature cittadine, giustizia). Con il padre, mantenne anche il possesso di diversi castra (ad es. Montesanto di Spoleto, dal 1387). In questi impegni, fu affiancato sin dalla metà degli anni ’80 dai figli Gentilpandolfo e Berardo, nati dal suo primo matrimonio con Elisabetta di Pandolfo II Malatesta: tre generazioni di da Varano dunque furono coinvolte, per un quindicennio, nell’esercizio di un potere condiviso, rafforzato e legittimato dai vicariati in temporalibus concessi dai vari papi a diversi membri della famiglia (spesso collettivamente e, ad ogni rinnovo, calibrando con accordi mirati, la durata, sempre limitata, e i luoghi).
Rodolfo ebbe molti figli. Gli Elogia che Varino Favorino compose agli inizi del ’500 gliene attribuiscono 64; il dato non è verificabile, ma la sua prolificità è certa. In seconde nozze sposò Costanza di Bartolomeo Smeducci di S. Severino, esponente di una famiglia con la quale i da Varano avevano avuto forti contrasti (in particolare nell’anno 1389). Nel suo testamento del 1418 Rodolfo dichiarò di aver avuto da lei 9 figli. Erano allora vivi Piergentile e Venanzio, e c’era inoltre un terzo maschio Giovanni (legittimato, ancora bambino); le femmine erano Tora, Niccolina, Guglielmina e Ansovina (non ancora in età da matrimonio), mentre Bellafiore e Piacentina, ambedue sposate, erano già decedute). Per questa discendenza, Rodolfo scelse, a seconda delle guerre e delle alleanze, matrimoni con famiglie signorili della regione (Chiavelli, Malatesta, Migliorati, Trinci), ma non solo (Bellafiore sposò Giacomo di Francesco Novello da Carrara, Piacentina Paolo Guinigi). Tutte le figlie ricevettero la stessa dote di 4000 fiorini. Si conoscono inoltre figlie illegittime (Selvaggia, Cassandra), sposate a maggiorenti di Camerino.
I da Varano approfittarono dei sommovimenti politici provocati dal grande scisma per consolidare la loro posizione nelle Marche. Con la forza (arrivando al saccheggio, come a Civitanova nel 1387) o con l’intimidazione, si fecero riconoscere signori – talvolta per un breve periodo – da diversi castra et terrae (alcuni, di fatto controllati da decenni dalla famiglia). Alternarono queste iniziative con opportunistiche sottomissioni alla sovranità del papa di Roma, negoziando la propria fedeltà per ottenere a posteriori la legittimazione della propria supremazia regionale. Il padre di Rodolfo, Gentile, nel 1384 si sottoscriveva come miles vicarius etc.; e forse era già all’epoca vicario papale anche Rodolfo. Nel dicembre del 1388 padre e figlio giurarono fedeltà e sostegno a Urbano VI, ma nell’agosto del 1389 furono accusati di tyrannice occupare ac detinere Camerino, Tolentino e diversi altri luoghi delle provincie della Marca anconetana e del ducato di Spoleto. Negli anni ’90, pur trattando con riguardo entrambe le obbedienze, romana ed avignonese, con vicende alterne e continue oscillazioni, beneficiarono in particolare della politica di larghe concessioni vicariali messa in campo da Bonifacio IX per consolidare il suo controllo sull’Italia centrale. Nel 1392 Gentile appare in un breve papale come vicario di Bonifacio IX a Camerino; l’anno successivo però fu con Rodolfo accusato dal papa, e convocato in curia con altri signori per aver partecipato ad una lega contro il rettore della Marca, e per essersi impadronito di terre della Chiesa. In qualche occasione ciò accadde certamente: nel 1395, Rodolfo si fece consegnare la signoria di Monte S. Martino da parte degli abitanti, a condizione di mantenerne l’autonomia (lo stesso anno, era impiegato da Firenze come condottiere). Nel marzo del 1396, Gentile, Rodolfo ed i suoi figli Gentilpandolfo e Berardo ottennero tutti e quattro un importante vicariato su Tolentino, S. Ginesio, e su otto altre località (tra cui Monte S. Martino). Per questo, comunque, essendo responsabili di occupazioni illegali e scorrerie militari, dovettero ancora una volta essere assolti dal papa, e il perdono riguardò oltre alla città di Camerino ben diciannove castelli e terre variamente controllati, con o senza vicariato. Il riconoscimento da parte del papa del ruolo di ‘protettori’ esercitato su queste comunità ebbe come contropartita il pagamento di 11.000 ducati (promessi da Berardo a nome suo e degli altri tre da Varano), per conto del rettore della Marca, ai capitani di ventura Conte da Carrara e a Mostarda della Strada, ingaggiati per la difesa della provincia.
La morte di Gentile III (21 dicembre 1399) consentì a Rodolfo di porsi al vertice della linea dominante del gruppo familiare, confermando la prassi della trasmissione patrilineare del potere signorile, con l’associazione dei figli e senza meccanismi di primogenitura.
Prima di morire, Gentile organizzò la perpetuazione del potere famigliare e raccomandò alle comunità soggette di conservare «amore, fede et reverentia» ai tre «fillioli» (lettera al comune di Montecchio del 10 dicembre). I sontuosi funerali organizzati da Rodolfo rispecchiavano queste intenzioni: per queste circostanze furono convocati i rappresentati delle varie comunità (ben dieci dalla piccola terra di Montecchio).
Preoccupato per l’amministrazione di un complesso territoriale ampio ma eterogeneo e discontinuo, subito dopo la scomparsa del padre Rodolfo tentò di reclutare nuovi officiali e chiese ai comuni che lo riconoscevano come signore di trasmettergli i nominativi. Fece anche i passi opportuni presso il papa, e nel marzo del 1400 ottenne la conferma di alcuni vicariati (come Penne S. Giovanni) e la concessione in feudum perpetuum di Tolentino e S. Ginesio, due punti di forza del potere dei da Varano nella provincia. A partire dal 1401, e per parecchi anni, versò direttamente a Paolo Orsini, condottiero papale, le somme dovute per i vicariati concessi da Bonifacio IX e Innocente VII.
Un protocollo notarile di Tolentino degli anni 1399-1405 permette di apprezzare come Rodolfo mise ‘le mani sulle città’. Nell’arco di sei anni, si registra l’acquisto di cinque case entro la cinta muraria, e nel distretto di Tolentino di non meno di cinquantasei appezzamenti di terra (che i proprietari furono spesso forzati a cedere). Realizzati in funzione di riaccorpamenti, questi acquisti e queste permute permisero a Rodolfo di ampliare le terre coltivate, ma soprattutto gli spazi per l’allevamento (una delle risorse principali dell’economia familiare). Incrementò pertanto i rapporti di dipendenza economica, prestando grano, stipulando soccide con i contadini, e finanziando doti per famiglie notabili. In altre località della Marca anconitana, la documentazione notarile testimonia gli acquisti oltre che di terre anche di fortezze (ad es. un «palatium cum fortellitio, vocatur Cannalecchia», distr. Macerata, 1401). Inoltre, giuspatronati e diritti giurisdizionali di chiese (ad es., i diritti su S. Maria e S. Vincenzo di Cananiculo, nella diocesi di Camerino, 1399; la nomina del rettore di S. Maria di Pievefavera, 1402) completavano questa incisiva presenza.
Nella confusa situazione del primo decennio del ’400, Rodolfo dette prova di grandi capacità di adattamento e si barcamenò abilmente. Sfruttò la vacanza papale ottenendo nel 1406 da Antonio Aceti, ex signore di Fermo, la cessione del vicariato papale su Montefortino (pagando 4000 ducati). L’avvicendamento fu sostenuto da Ladislao di Angiò Durazzo, a fianco del quale Rodolfo e i da Varano si schierarono per tutto il periodo della sua impresa italiana (1405-1414).
Il 31 dicembre 1408, a Salerno, tramite Gentilpandolfo, Rodolfo stipulò con il re un patto di mutuo sostegno (guerra, finanza, diritti) della durata di ben cinquant’anni; Berardo da Varano fu condottiero per Ladislao e poi per sua sorella Giovanna II; nel 1409 al concilio di Pisa Rodolfo fu uno dei rappresentanti del re che lo mandò poi nel 1412 come ambasciatore presso Sigismondo di Lussemburgo. Grazie alla mediazione, in particolare, di Berardo, si innescarono anche importanti rapporti economici (prestiti in denaro, commercio di beni dell’agricoltura e dell’allevamento, bestiame e cavalli) tra la provincia della Marca e il reame di Napoli.
Sul fronte interno, la preminenza di Rodolfo su Camerino e sul comune popolare si consolidò a seguito della redazione di nuovi statuti, che gli riconobbero – nelle vesti di gubernator comunis et populi – le prerogative in materia militare e di polizia, necessarie perché la città restasse fedele alla Chiesa e a Ladislao; ma altrove, nella regione, Rodolfo dovette sostenere (con l’appoggio di Braccio da Montone) duri scontri con Ludovico Migliorati signore di Fermo (1407-1409). Il fiancheggiamento a Ladislao non impedì a Rodolfo di mantenere stretti rapporti con Gregorio XII, che gli diede una condotta nel 1407, e gli riconfermò alcuni vicariati – come Montefortino, per lui e i cinque figli, nello stesso anno –. Inoltre Rodolfo accompagnò il papa a Lucca, l’anno successivo, quando si profilò un incontro con Benedetto XIII (Pedro de Luna).
A Costanza, Rodolfo inviò i suoi emissari, e in seguito alcuni rappresentanti conciliari furono ospitati a Camerino nel 1415 mentre operavano nella Marca di Ancona. L’anno successivo ottenne la conferma delle cariche delle quali godeva con i figli (il governo di Camerino, le infeudazioni di Tolentino e S. Ginesio, i vicariati su dieci terrae et castra). Si trattò comunque di un periodo assai tribolato: a Camerino, ci furono rivolte cittadine che coinvolsero i figli di Rodolfo (1411, 1418); non mancarono guerre e guerricciole con rovesciamento di alleanze locali, contro signori e città (ad es. contro Gubbio e Guidantonio da Montefeltro). Nel maggio del 1415 Rodolfo sfuggì per poco a un attacco dei Malatesta di Cesena, ma il suo castello di Beldiletto fu saccheggiato e sua moglie fu catturata.
Dalla metà degli anni Dieci, d’intesa con i figli si legò sempre più strettamente con Braccio da Montone, allora in posizione di forza nel centro Italia, e fu pertanto stipulata, contro i Malatesta, una lega che coinvolse anche Ludovico Migliorati (1416). Altri legami furono intrecciati con i Trinci di Foligno (Ugolino III dette la rocca di Amandola a Rodolfo nel luglio del 1413). Ne seguirono alleanze matrimoniali incrociate, e Braccio sposò in seconde nozze Niccolina di Rodolfo nel 1420. A questo momento, le tre famiglie, con l’aggiunta dei Chiavelli di Fabriano, saldarono un vero e proprio polo signorile a cavallo dell’Appenino, nel cuore dello Stato della Chiesa.
Fin dall’elezione di Martino V, Rodolfo si presentò come suo sostenitore locale, e mentre era ancora a Costanza, il papa confermò la sua posizione nelle Marche. In risposta alle richieste, il pontefice riconobbe l’autonomia del comune di Camerino, ma anche il dominio di Rodolfo e della sua famiglia su di esso. Inoltre, rinnovò la concessione dei feudi (1418) e dei vicariati su numerose comunità (in alcuni casi, già dal 1418), e al contempo Rodolfo riprese sotto il proprio controllo altri luoghi che, approfittando dello scisma, si erano sottratti alla sua influenza. Questo sostegno politico al papa fu coronato da un prestigioso matrimonio: Rodolfo Angelo di Berardo, nipote di Rodolfo, sposò Violante di Gerardo d'Appiano, figlia di Paola Colonna e nipote del papa (1420).
La costruzione politica di Rodolfo restava tuttavia fragile, in particolare a causa della ‘collegialità’ che la caratterizzava, un’associazione dei figli all’esercizio del potere signorile che non era gerarchizzata né formalizzata: anch’essi, come il padre, sono chiamati ‘signori di Camerino’. Ma è sempre Rodolfo che conserva la preminenza e delega loro la sua autorità per il governo di questo o quel territorio.
Nell’agosto del 1418, egli fece testamento, nella sua residenza di Beldiletto.
Una serie di disposizioni sono prevedibili: legati pii (tra gli altri, alla confraternita di S. Maria Annunziata cui era associato), legati alle donne da Varano per la dote, scelta funeraria (nella cappella familiare della cattedrale di Camerino, ove era sepolto il padre e dove sua moglie decise, nel 1420, di farsi anch’essa seppellire). Quanto al potere e alla ricchezza, Rodolfo stabilì che i cinque figli governassero insieme le terre assoggettate alla famiglia da Varano e condividessero le spese per la loro difesa. Tuttavia attribuì a ciascuno, nominativamente, la responsabilità di ciascuna delle ventidue località governate a nome della Chiesa, e costituì cinque porzioni patrimoniali destinate in piena proprietà ai cinque figli. Ciascuna di queste, comprendeva una parte della domus familiare di Camerino, vari luoghi e castra (erano sedici in tutto) nel contado, nonché mulini e gualchiere (situati in ventiquattro località diverse) che erano la base essenziale della ricchezza familiare. La precoce scomparsa di Venanzio e il disaccordo latente fra i figli di letti diversi fecero sì che i quattro superstiti addivenissero a un rimaneggiamento della divisione delle possessioni patrimoniali: si voleva arrivare a lotti identici quanto alle rendite, e alla suddivisione in parti uguali delle entrate e uscite legate al governo e alle funzioni pubbliche (giustizia, difesa, fiscalità). Questi capituli così pignoli furono poi la radice dei disaccordi che portarono i quattro eredi a uccidersi, una decina d’anni più tardi; ma furono imposti a Rodolfo, che li approvò con un codicillo il giorno stesso nel quale furono redatti.
Rodolfo III da Varano morì un mese più tardi, il 3 maggio 1424.
Città del Vaticano, Archivio Apostolico Vaticano, Cam. Ap., Intr. et Ex. 371, c. 49r; 379, c. 11v; Reg. Vat. 315, cc. 134r-137r; 316, cc. 329r-334v; 336, cc. 174r-177v, 242v-243r; 348, cc. 59r-62v; Archivio di Stato di Parma, Feudi e comunità, reg. 19, cc. 254v-258v, 267v-272v, 280v-282r, 284r-302v, 303v, 304v-307r, 308r-v, 309v, 312r, 320v-322r, 323r-325r, 326r-327v, 329r; Fabriano, Archivio Storico Comunale, Carte diplomatiche, b. XII, n. 527; Camerino, Biblioteca Valentiniana, misc. Liliana, 142, cc. 68v, 87r; Sezione Archivio di Stato di Foligno, Notarile, I serie, 8.6, Giovanni Germani, cc. 25r-26r; G. Colucci, Treja antica città picena..., Macerata 1780, doc. CVI, pp. XCII-XCIV; A. Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis S. Sedis, II, Roma 1862, nn. 648, pp. 612 s.; 655, 620 s.; Cronache della città di Fermo, a cura di G. de Minicis, Firenze 1870, pp. 13, 15, 30-37, 43, 45, 53; Frammenti degli annali di Spoleto di Parruccio Zampolini..., in Documenti storici inediti, in sussidio allo studio delle memorie umbre, a cura di A. Sansi, I, Foligno 1879, p. 142; Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, a cura di S. Bongi, III, Lucca 1892, pp. 127 s.; Il diario romano di Antonio di Pietro dello Schiavo..., a cura di F. Isoldi, in RIS, XXIV, 5, Città di Castello 1916-1917, p. 111; Statuta comunis et populi civitatis Camerini (1424), a cura di F. Ciapparoni, Camerino 1977, pp. XIX-XX, 323-325. C. Lili, Istoria della città di Camerino, II, Camerino 1652, pp. 129-131, 142, 145 s.; B. Feliciangeli, Sul passaggio di Luigi I d’Angiò e di Amedeo VI di Savoia attraverso la Marca e l’Umbria (1382), in Atti e Memorie della R. deputazione di storia patria per le Marche, IV (1907), pp. 457-459; J. Favier, Les finances pontificales à l’époque du Grand Schisme d’Occident, 1378-1409, Parigi 1966, p. 436; A. Cutolo, Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Napoli 1969, pp. 429, 479-485; A.A. Bittarelli, Varino Favorino e i suoi “Elogia”, in Studia Picena, XLIV (1977), p. 228; G. Avarucci, Un frammento di statuto della fine del secolo XIV e Gentile III da Varano, in Annali della facoltà di lettere e filosofia. Università di Macerata, XVI (1983), p. 650; A. Meriggi, “Honorabilibus amicis nostris carissimis”. Lettere inedite dei Da Varano di Camerino al Comune di Montecchio (Treia) (1381-1426), Camerino 1996, p. 17; nn. 36 pp. 61 s.; 42 s.; 66-68; 50, 73; I volti di una dinastia. I da Varano da Camerino (catal. Camerino), Milano 2001, p. 117; J.B. Delzant, V., R. (III) da, in Repertorio delle esperienze signorili cittadine in Italia, a cura di A. Zorzi - J.C. Maire Vigueur, 2012, http://www.italiacomunale.org/resci/individui/varano-rodolfo-iii-da/.