TERRANDI, Bartolomeo di Francesco, detto Bartolomeo Bergamasco. ̶ Nato a Gandino in Val Seriana (Bergamo), non se ne conosce la data di nascita ma è certo che morì a Venezia poco prima del 26 giugno 1528 (Markham Schulz, 2011, p. 193, doc. XII). Anche del fratello, Giovanni Antonio, intagliatore e collaboratore di Paolo Campsa, si conosce solo la data di morte avvenuta a Venezia tra l'8 e il 17 novembre 1539 (ibid., p. 120 n. 297). Bartolomeo e Giovanni Antonio nel 1503 avevano già perso il padre, mentre nel febbraio 1508 erano ancora minorenni ed erano stati affidati a dei parenti maschi, tra cui Bernardino Marinoni, membro di una famiglia di pittori di Desenzano nel Bresciano (Franci, 2014, pp. 97 s.). I due fratelli si stabilirono a Venezia prima dell’11 maggio 1518, quando fecero richiesta di un brevetto al Senato per una segheria destinata a fornire legname per l'Arsenale. Lo ottennero per un tempo di venticinque anni, ma non si hanno altre notizie dell'impresa (Markham Schulz, 2011, pp. 192 s., doc. XII; Franci, 2014, pp. 85-87).
Su raccomandazione del bergamasco Bernardo de' Marin, già guardiano grande della Scuola Grande di S. Rocco, Bartolomeo fu incaricato dai responsabili di S. Maria Maggiore a Bergamo di realizzare il modello di un S. Marco per il nuovo altare maggiore in bronzo dorato; il modello in terracotta fu da lui consegnato prima del 24 ottobre 1525 e, prima del 19 luglio 1527, egli progettò un nuovo modello in legno per l’altare (Chiodi, 1968, pp. 30, 58 s.). Il pittore veneziano Lorenzo Lotto, in una lettera che scrisse ai responsabili di S. Maria Maggiore tra l'agosto e l'ottobre del 1527 per discutere dei suoi progetti di intarsi per gli stalli del coro della basilica, deprecava il lavoro di Bartolomeo per l'altare e sollecitava invano la sostituzione dell’autore con Jacopo Sansovino o con un altro veneziano di recente adozione, definito l'unico allievo di Michelangelo. In realtà, gli sforzi di Bartolomeo non portarono a nulla, e ciò che era già stato realizzato per l'altare dagli orafi cremonesi Giacomo e Galeazzo de' Cambi fu infine fuso (Cortesi Bosco, 1987).
In una lettera del 17 giugno 1525 in cui raccomandava Bartolomeo, Bernardo de' Marin offrì un resoconto dell’opera scultorea in marmo realizzata a Venezia dal maestro. In esso erano descritte tutte le figure dell'altare maggiore di S. Rocco, quelle dell'altare maggiore di S. Geminiano e un busto del parroco di questa chiesa, nonché la statua di S. Maria Maddalena sull'altare di Verde della Scala (morta nel 1393/1394), vedova di Niccolò II d'Este marchese di Ferrara, in S. Maria dei Servi. In effetti, i documenti confermano che la Maddalena è opera di Bartolomeo, il quale, secondo Marin, impiegò tre mesi per scolpirla. La sua cornice architettonica fu commissionata a un collega bergamasco, Guglielmo de' Grigi, il 6 dicembre 1523. Il 21 agosto 1524, in qualità di membro della bottega di Guglielmo, Bartolomeo, che era residente nella parrocchia dei Ss. Apostoli, fu incaricato di scolpire la Santa a grandezza più che naturale utilizzando del marmo fornito dai procuratori di S. Marco de citra, esecutori testamentari di Verde; come compenso avrebbe ricevuto 40 ducati, non 50 come affermava invece Marin. Secondo il modello in creta realizzato da Bartolomeo, la Santa doveva essere rappresentata nelle sue vesti mondane, con i capelli legati all'indietro, abbondanti drappeggi all'antica e un vaso in mano. Un'iscrizione data l'altare al 1524 (Caffi, 1884). La Maddalena rimase nel luogo originario dei Servi fino al 1812 circa, quando fu separata dal suo contesto architettonico e posta sull'altare della Vergine nella prima cappella absidale a destra della cappella maggiore dei Ss. Giovanni e Paolo (Markham Schulz, 2012, pp. 190 s.). Il classicismo evidente nel volto e nei capelli della Maddalena e nelle sue forme giunoniche è di seconda mano, derivato dai dipinti di Tiziano, Sebastiano del Piombo e Palma il Vecchio, dove si trovano un canone classico e un tipo fisionomico ispirati da modelli antichi. Infatti, la modernità e il dettaglio descrittivo dell'abito di questa figura, in contrasto con l’incarico ricevuto dallo scultore e con gli abiti biblici o antichi abitualmente conferiti alle statue di sante, si spiegano con il fatto che la Maddalena fu modellata sul dipinto di Palma il Vecchio raffigurante S. Barbara in S. Maria Formosa (Frizzoni, 1906). Sempre in collaborazione con Guglielmo de' Grigi, tra il 22 febbraio 1524 e il 31 marzo 1525 Bartolomeo aggiunse quattro piccole placche bronzee, ora perdute, alla lastra tombale di Guglielmo Querini realizzata da Grigi per la chiesa, in seguito demolita, di S. Andrea della Certosa (Paoletti, II, 1897, p. 228 nota 2; Markham Schulz, 1984, pp. 266 s.), a riprova della dimestichezza di Terrandi con il bronzo.
La paternità di Terrandi nelle tre figure dell'altare maggiore di S. Geminiano è confermata da Francesco Sansovino (1581, c. 43r), che, in quanto figlio di Jacopo, architetto della chiesa, era indubbiamente ben informato. Significativamente, Sansovino tace sul tema della cornice architettonica delle figure, che, con l’eccezione delle modifiche ottocentesche (Modesti, 2000), è stata plausibilmente assegnata a Guglielmo de' Grigi (M. Ceriana, in Dizionario biografico degli Italiani, LIX, Roma 2002, ad vocem, p. 416). Le statue, tutte a metà della grandezza naturale, raffigurano S. Giovanni Battista affiancato da un Santo non identificabile e da S. Menna (contitolare della chiesa) in veste di centurione, alla cui corazza fu successivamente aggiunta un'anomala croce maltese. La chiesa di S. Geminiano fu demolita nel 1807 e la pala fu trasferita nella chiesa periferica di S. Giovanni Battista dei Cavalieri di Malta, riaperta al culto nel 1843. Il canone, la tipologia di viso e la posa del Battista sono derivati dalla xilografia del S. Rocco realizzata da Tiziano attorno al 1523-24. Le statuette di Terrandi spiccano per le loro dimensioni rispetto alle nicchie, che sono in effetti troppo poco profonde per contenerle. Al contrario, le figure hanno una profondità quasi pari alla loro larghezza e sono scolpite a tutto tondo. Le pose sono aperte e non rispettano i contorni delle cavità; in effetti, S. Menna è posizionato in diagonale rispetto alla sua nicchia, con il risultato che la vista frontale della figura non coincide con la vista frontale del contesto. Il busto di Matteo dai Letti (o degli Eletti), parroco e generoso mecenate di S. Geminiano dal 1504 sino alla sua morte, avvenuta il 14 settembre 1523, è giunto per vie traverse alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro di Venezia. Purtroppo i suoi lineamenti sono stati rafforzati da un restauratore, rovinando l'opera di Bartolomeo (Markham Schulz, 1984, p. 264).
Nell'attribuire a Bartolomeo Bergamasco tutte le statue dell'altare maggiore di S. Rocco, Bernardo de' Marin omise volutamente il nome di Giammaria Mosca, al quale la critica moderna ha assegnato i Ss. Rocco, Giovanni Battista e Francesco e i due putti sul sarcofago (Markham Schulz, 1998, I, pp. 41-46), mentre a Terrandi è possibile attribuire i Ss. Sebastiano e Pantaleone e le sculture sul coronamento, ossia la Vergine, l'Angelo Annunciante e Dio Padre. Di fatto, l'appalto per l'altare venne concesso il 29 marzo 1517 al bergamasco Venturino Fantoni, che ricevette tutti i pagamenti; le figure di coronamento furono scolpite tra il 16 febbraio 1521 e il 24 aprile 1524, data dell’ultimo pagamento a Fantoni (ibid., p. 263). Evidentemente, Fantoni realizzò la cornice, ma subappaltò la creazione delle figure a due scultori all'inizio delle loro carriere. Il continuo movimento a spirale del S. Sebastiano, la gamba destra che avanza e la pelle rugosa all'attaccatura della gamba e del piede sono stati ripresi dallo Schiavo ribelle di Michelangelo al Louvre. Il volto del Santo, invece, proviene da uno dei figli del gruppo classico del Laocoonte, mentre la Vergine Annunciata deriva da un'incisione di Marco Dente basata, a sua volta, su un'Annunciazione perduta di Raffaello (comunicazione orale di Marco Collareta). Analogie stilistiche permettono di attribuire a Terrandi l'effigie supina della tomba del condottiero Ludovico Euffreducci (morto nel 1520), commissionata dalla madre ed eretta in S. Francesco a Fermo intorno al 1527 (Loffredo, 2015). L'equa divisione del lavoro nella tomba Euffreducci tra Terrandi e Pietro Paolo Stella da Milano, attivo a Venezia nel 1525-30 circa, al quale vanno assegnate due personificazioni delle Virtù e il tondo della Madonna col Bambino nella loro interezza, suggerisce che gli artisti abbiano condiviso la commissione fin dall'inizio. L'autore dell'architettura della tomba potrebbe essere un terzo collaboratore. Degno di nota è l'atteggiamento disinvolto del condottiero, che sembra ritratto nell’atto di fare un breve sonnellino; i suoi capelli sono scompigliati e gli pterigi della corazza rispondono con perfetto naturalismo alla sua posa supina. L'effigie di Euffreducci è paragonabile all'effigie di Alvise Trevisan supino nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo (Markham Schulz, 1985a). Il cenotafio di Trevisan occupa una delle due nicchie contigue della navata sinistra – non lontano dalla sua sede originaria sulla facciata occidentale del tramezzo che un tempo chiudeva il coro dei domenicani – ed è abbinato in modo casuale all'effigie e all'epitaffio del doge Michele Steno. Cosa insolita, il cenotafio di Trevisan fu eretto da un padre per il figlio. Quando Trevisan morì nel 1528, presumibilmente a causa della peste che allora imperversava in tutto il Veneto, era uno studente dell'Università di Padova: è infatti raffigurato da Terrandi con indosso la toga in uso nell’ateneo. Il cassone, troppo corto per ospitare un cadavere (135,2 cm), fa pensare che Trevisan sia deceduto nella sede dei suoi studi, durante la quarantena che isolò Venezia dalla terraferma. Come i ritratti pittorici di Giorgione, l'effigie di Alvise Trevisan crea un'immagine provvisoria, una qualità che paradossalmente è l'antitesi dell'atemporalità e della permanenza che il genere dell'effigie doveva trasmettere. La figura porta l’abito da studente con disinvoltura, come se l’avesse indossato sovrappensiero. In risposta alla sua posizione supina, il drappeggio si raccoglie sulle spalle e cade al lato della bara, senza avere il tempo di adagiarsi.
Il trattamento del panneggio del Trevisan, così come quello della Maddalena, rivela il tentativo dello scultore di tradurre in pietra il metodo spontaneo alla prima praticato dai pittori a olio veneziani da Giorgione in poi. Così, entrambe le sculture danno l’impressione di essere abbozzate, non perché siano state lasciate incompiute – non rimangono infatti tracce di segni di utensili –, ma a causa dell'opacità della superficie della Maddalena e della mancanza di dettagli descrittivi nelle vesti del Trevisan. Tra una piega e l'altra, lunghi solchi paralleli e rettilinei che segnano la superficie sostituiscono le transizioni, lasciando come del tutto inspiegabili le pieghe che emergono all'improvviso, quasi fossero state accidentalmente intercettate da una luce radente. Questo finto pittoricismo influenzò Pietro Paolo Stella, ma non sopravvisse alla fine della sua attività a Venezia, verso il 1530, e alla morte di Terrandi.
Bartolomeo doveva essere al lavoro sul monumento Trevisan quando morì, probabilmente a causa della peste che uccise Trevisan stesso: lo scultore era ancora vivo il 6 aprile 1528, ma era già deceduto il 26 giugno 1528, quando Giovanni Antonio chiese di ereditare tutti i beni mobili del fratello, morto intestato nella parrocchia di S. Maria Formosa (Markham Schulz, 2011, p. 193, doc. XII, B).
F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, Venezia, 1581, cc. 43r, 57v, 71v; T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani, Venezia, 1778, pp. 99, 126 s.; M. Caffi, Guglielmo Bergamasco ossia Vielmo Vielmi di Alzano, in Archivio veneto, XXVIII (1884), parte 1, pp. 34-42; P. Paoletti, L’architettura e scultura del Rinascimento in Venezia, II, Venezia, 1897, pp. 228 nota 2, 281 s.; G. Frizzoni, Nuove rivelazioni intorno a Jacopo Palma, il Vecchio, in Rassegna d’arte, VI (1906), pp. 113-121; A. Baracchi, Bartolomeo di Francesco Bergamasco, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, II, Leipzig 1908, pp. 570 s.; A. M. Vicentini, S. Maria de’ Servi in Venezia, Treviglio 1920, p. 83; A. Pinetti, Cronistoria artistica di S. Maria Maggiore, IV. Le curiose vicende d’una ancona di rame, in Bergomum, XXII (1928), 1-4, pp. 131-151; A. Meli, Cappella Colleoni - I tre Santi dell’ancona, ibid., LIX (1965), 1, pp. 13, 34 s., doc. III, A; F. Zava Boccazzi, La Basilica dei Santi Giovanni e Paolo in Venezia, Venezia, 1965, pp. 184-188, 343 s. nota 81, 349 nota 122; L. Chiodi, Lettere inedite di Lorenzo Lotto, Bergomum, LXII (1968), 2, pp. 29 s., 56-62, 69-71, 101-125, 139-141; L. Lotto, Il ‘libro di spese diverse’, a cura di P. Zampetti, Venezia-Roma, 1969, pp. 262-264, 275-277, 279-285, 290; A. Markham Schulz, Bartolomeo di Francesco Bergamasco, in Interpretazioni veneziane, a cura di D. Rosand, Venezia, 1984, pp. 257-274; Ead., The cenotaph of Alvise Trevisan in Ss. Giovanni e Paolo, in Renaissance studies in honor of Craig Hugh Smyth, a cura di A. Morrogh et al., Florence, 1985a, II, pp. 413-427; Ead., Paolo Stella Milanese, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXIX (1985b), pp. 102-104; F. Cortesi Bosco, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri per Santa Maria Maggiore in Bergamo. Lettere e documenti, Bergamo, 1987, pp. 8 s., 14-18; R. Mueller, Veronesi e capitali veronesi a Venezia in epoca scaligera, in Gli Scaligeri, 1277-1387, a cura di G.M. Varanini, Verona, 1988, pp. 370 s.; A. Markham Schulz, Giambattista and Lorenzo Bregno: Venetian sculpture in the High Renaissance, Cambridge, 1991, p. 70; Ead., Bartolomeo di Francesco Bergamasco, in Allgemeines Künstlerlexikon, VII, München-Leipzig 1993, pp. 284 s.; Ead., Giammaria Mosca called Padovano: a Renaissance sculptor in Italy and Poland, University Park (Pa.), 1998, pp. 24-26, 41-46, 192, doc. II C, 261-265, n. 16; S. Casarin, Alcuni aspetti del dibattito sulla tutela artistica a Venezia tra Otto e Novecento, in Venezia arti, XIV (2000), pp. 133 s.; P. Modesti, in Venezia, S. Giovanni Battista del Tempio. Lungo il tragitto crociato della vita (catal.), a cura di L. Corti, Venezia, 2000, pp. 90-93, n. 6; A. Markham Schulz, Woodcarvers and woodcarving in Venice, 1350-1550, Florence, 2011, pp. 120, n. 297, 192 s., doc. XII; F. Loffredo, Il monumento Euffreducci in San Francesco a Fermo. Bartolomeo Bergamasco e Pietro Paolo Stella, in Arte veneta, LXX (2013), pp. 68-81; A. Markham Schulz, in La Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, a cura di G. Pavanello, Venezia, 2013, pp. 189-192, nn. 40 e 41, pp. 197-200, n. 44; A. Franci, I fratelli Terrandi da Gandino, in Rivista d’arte, s. 5, IV (2014), pp. 85-102; A. Markham Schulz, The history of Venetian Renaissance sculpture, ca. 1400-1530, I, Turnhout 2017, pp. 365-370, 374, e ad indicem.