SIGISMONDO (Sigismondi), Giuseppe
Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 92, 2018
Nacque a Napoli, nel Rione dei Tribunali, il 13 settembre 1739 da Rocco Sigismondo, scrivano ordinario del Sacro Regio Consiglio, e Orsola Pagano. Educato al Collegio Massimo dei gesuiti e al Real liceo, conclusi il 22 settembre 1759 gli studi giuridici sotto Giuseppe Pasquale Cirillo, Pietro Forte e Antonio Genovesi (Villarosa, 1840, p. 207; Sigismondo, 2016, p. 30), alla morte del padre ne ereditò il posto. Quando la riforma amministrativa francese abolì quell’ufficio (1808), ottenne il modesto impiego di cancelliere di un giudicato di pace (Villarosa, 1840, p. 211). Ancora bambino, grazie ad Aniello Auriemma, segretario del conservatorio di S. Maria di Loreto, aveva ricevuto lezioni di canto da Giuseppe Geremia, allievo dell’istituto, di partimento e contrappunto da Gennaro Capone, allievo di Carlo Cotumacci, e di danza da tale «Michele di Francia» (Sigismondo, 2016, pp. 4-7). In un manoscritto di duetti di Francesco Durante (Napoli, Biblioteca del conservatorio, Cantate, 106) Sigismondo se ne dichiara «amico e scolare», ad onta del ragguardevole divario di età. Tra il 1761 e il 1768 ricevette lezioni di canto da Nicola Porpora, conosciuto in occasione d’una ripresa della propria Cantata del s. Natale di Gesù nella chiesa dei Girolamini (Sigismondo, 2016, pp. 25-28).
Sin dalla gioventù, sugli impegni professionali prevalse la passione per il teatro, parte integrante del progetto educativo dei gesuiti, e per la musica («O benedetta dolcissima musica! Tu sola fosti il mio rifugio, ed a te sola debbo altri venti anni di vita»: ivi, p. 58), ch’egli praticò da «dilettante», cioè non per professione, ma ad altissimi livelli e su diversi fronti. Per oltre vent’anni recitò ruoli femminili e maschili, a fianco tra gli altri di Pietro Napoli Signorelli, e concertò commedie, anche dell’amico Giovanni Battista Lorenzi, per diverse compagnie di dilettanti (ivi, p. 12), tra cui quelle del suo maestro, e attore dilettante, Giuseppe Pasquale Cirillo, e di Carlo Carafa, duca di Maddaloni: attività che svolse tanto nelle dimore aristocratiche dei Gravina, Maddaloni, Monteleone e Sangro di Sansevero, quanto presso i padri di S. Severino, Monte Oliveto, S. Paolo, nel Real collegio de’ nobili e in quello di Caravaggio (ivi, p. 61).
Frequentatore sin dalla prima gioventù delle numerose cappelle musicali delle chiese napoletane (ivi, p. 4), grazie alle relazioni confidenziali con dilettanti di musica borghesi e aristocratici – frequentatore dei caffè, fu in rapporto anche con intellettuali come il chimico Giuseppe Vairo e la letterata arcade e dilettante di musica Giuseppa Eleonora Barbapiccola – poté partecipare regolarmente ai concerti privati (‘accademie’), esibendosi, al clavicembalo e col canto, in musiche proprie e altrui, e approfondire la conoscenza del repertorio napoletano e d’oltralpe, approfittando delle cospicue collezioni musicali private. Ricordò poi, ad esempio, come a casa di Francesco Pizzella, amministratore della Regia Darsena, «per tre o quattro mesi continui da Raffi [ossia dal tenore Anton Raff], Mazzanti e Pezzella, e me a cembalo, si cantavano sino alle quattro della notte de’ salmi e cantate di Marcelli, Scarlatti, Bononcini, di Carapella ed altri» (ivi, p. 11). Il lasciapassare per tutti gli spettacoli operistici procuratogli da Carafa gli agevolò la frequentazione degli artisti (ivi, pp. 11 s.). Entrò così in rapporti con Domenico Cimarosa, Gianfrancesco Di Majo, Pietro Alessandro Guglielmi, Gennaro Manna, Giovanni Paisiello, Niccolò Piccinni, Niccolò Sabatini e Antonio Sacchini (ivi, p. 60). Fu in particolare amicizia con Niccolò Jommelli, conosciuto nel 1770: straordinario collezionista della sua musica, divenne stretto collaboratore dell’Aversano nell’ultimo lustro della sua vita. In una lettera del 27 settembre 1821 al musicografo Franz Sales Kandler rivendicò la paternità dell’Elogio del Jommelli pubblicato da Saverio Mattei (Colle 1785, ma già in appendice alle Opere del Metastasio, XIII, Napoli 1784), «scrittogli da me, ma portato poi colla sua erudita penna, secondo meglio stimò» (Sigismondo, 2016, p. LXI; Mellace, 2018, p. 99).
Venne precocemente assoldato come insegnante di canto per giovani dilettanti, condotti talvolta a livelli non spregevoli: ragazze di buona famiglia come le figlie di Gaetano Pegnalver, colonnello del Genio, ma anche Rachele Pepe, moglie di Crescenzo, primo violino nella Real Cappella, Emanuele Imbimbo, poi esule a Parigi, a sua volta maestro di canto, Luigi Rossi, avvocato scopertosi compositore, Tommaso Villarosa e Francesco Meola (ivi, pp. 53-57). «Il meraviglioso di Sigismondo fu che la più parte de’ suoi allievi vennero sotto la direzione di lui ignoranti di musica, o poco per la medesima disposti. Ma la pazienza e la diligenza del maestro fu tale e tanta che ne acquistarono in poco tempo le cognizioni e l’amore, e vi fecero ottima riuscita» (Villarosa, 1840, p. 209). La casa di Sigismondo divenne teatro di esecuzioni musicali da parte tanto di propri allievi quanto di interpreti di prima sfera, soprattutto castrati, ad esempio in occasione delle cantate sacre eseguite ogni Martedì santo (una di queste fu proposta entro il 1779 in abbinamento allo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi alla presenza di professionisti come Manna, Sabatini e Gaetano Majorano detto il Caffarelli; un’altra vide la partecipazione del sopranista Ferdinando Mazzanti, per un periodo ospite di Sigismondo, sempre alla presenza del Caffarelli: Sigismondo, 2016, pp. 8, 16 s.).
Nel corso di settant’anni (cioè tra il 1755 e il 1824: cfr. l’inventario manoscritto di 873 pezzi della biblioteca di Sigismondo in Cafiero, 1993) costituì una formidabile collezione di partiture, teatrali e da chiesa, soprattutto ma non esclusivamente di autori di formazione napoletana, acquisita tramite privati come Francesco Pezzella e Mazzanti, o con ritrovamenti fortuiti in botteghe di artigiani, notevolmente incrementata attraverso svariate centinaia di copie manoscritte redatte di persona e con cura sin dalla giovinezza, testimoni oggi fondamentali nella trasmissione del repertorio settecentesco, quando non commissionate a copisti (ivi, p. 61). Nel 1794 Mattei, delegato del conservatorio della Pietà de’ Turchini, convinse Sigismondo, che in un primo tempo aveva vagheggiato il progetto d’instaurare a casa propria una «pubblica libreria musicale, per comodo di coloro che volessero consultare i capi d’opera dell’arte» (ivi, p. 69), a cedere gran parte della raccolta – il resto pervenne nel marzo 1827, dopo la sua morte, venduto al conservatorio dagli eredi per interessamento del direttore Niccolò Zingarelli (Cafiero, 1993, p. 300) – alla costituenda biblioteca dell’istituto, contro un’una tantum di duecento ducati e la nomina, con decorrenza 1° aprile 1794, ad ‘archivario’, con l’impegno da parte di Sigismondo di recarsi in biblioteca quattro volte al mese, dietro il mero rimborso spese di quattro ducati mensili, e «dirigere i concerti di tutta la sua musica antica, che si eseguirà da’ figliuoli» (Sigismondo, 2016, p. 73 s.; il compenso si dimezzò tra il 1797 e il 1806, per ritornare al livello di partenza dal 1807: cfr. Cafiero - Marino - Boccia, 2016, p. 130). Quando nel 1808 il Conservatorio fu trasformato in Real collegio di musica di S. Sebastiano, gli venne messo a disposizione un alloggio (Sigismondo, 2016, p. XL). Restò in carica per oltre trent’anni, fino alla morte. Di tanta generosità si pentì poi amaramente: la contropartita era stata molto modesta, le chiavi della biblioteca restavano in mano a un vicerettore incompetente, né egli si arrogò mai il diritto di concertare, lui dilettante, le esecuzioni degli allievi.
Della biblioteca, accresciuta l’anno seguente della cospicua donazione della collezione privata della regina Maria Carolina (ivi, pp. 75 s.), Sigismondo ebbe l’incarico di redigere un catalogo, l’Indice di tutti i libri, e spartiti di musica che conservansi nell’archivio del Real Conservatorio della Pietà de’ Torchini, pubblicato nel 1801. Si assicurò altre importanti acquisizioni (sicuramente nel 1812, 1814 e 1819), e per alcune di esse fu ricompensato (ivi, pp. XXXV, LXI).
Già nel 1795 aveva ottenuto dal re la prescrizione del deposito di copia delle partiture di tutte le opere in scena nei teatri napoletani. Nel 1797 e ancora nell’autunno 1801 assistette Rodolphe Kreutzer, prima solo, poi accompagnato dalla moglie e da Nicolas Isouard, nell’approvvigionamento di copie da partiture antiche destinate al neonato Conservatoire parigino (ivi, pp. XXXVII s., 78-80). L’unico figlio maschio, Rocco, avuto nel 1779 dalle nozze con Francesca Spirito (ivi, p. 32), funse ufficialmente dal 21 agosto 1818 «senza soldo», ma forse già dal 1797 e perlomeno fino al 1821, da aiutante del padre, coadiuvandolo con dei copisti nella copiatura delle partiture che avrebbero arricchito la raccolta (ivi, pp. XXXII, XXXIX s.). Benché afflitto dalla gotta (Villarosa, 1840, p. 211), Giuseppe Sigismondo restò attivo fino al settembre 1825, nonostante le frequenti assenze riconducibili all’«avanzata età» lamentate a fine ottobre dall’impresario Domenico Barbaia. Il 7 dicembre 1825 gli venne affiancato come coadiutore Francesco Florimo (Sigismondo, 2016, p. XLVII).
Sempre «circospetto all’estremo» sul piano politico, ottenne che «la sua condotta non fu in menoma parte chiamata in esame» (Villarosa, 1840, pp. 211 s.). Nel 1793, in occasione dei primi moti rivoluzionari nel regno, pubblicò il poemetto in napoletano in 54 stanze Partenope consolata, «contr’a li ’nnemmice, e a ’nnore e gloria» di Ferdinando e Maria Carolina. In occasione della rivoluzione del 1799, benché il 26 febbraio fosse stato nominato nella commissione di «dodici probi cittadini» incaricata dal governo repubblicano di riformare denominazione e numerazione delle vie di Napoli (Il monitore napoletano, 12 ventoso anno VII / 2 marzo 1799), e sebbene facesse parte anche di quella preposta all’abolizione di emblemi e iscrizioni aristocratiche (Leggi, atti, proclami, 2000), aderì alla Società dei realisti di Antonio Cipolla, che puntava alla restaurazione del Borbone (cfr. patenti del 16 giugno e 16 luglio 1799, Napoli, Biblioteca nazionale, Branc.8.D.16: Atti del governo dal 1799-1801, nn. 2, 3, 16). Già a luglio compose testo e musica di una cantata per voce solista e coro Per solennizzare il felice ritorno in Napoli delle armi di S.M. Ferdinando IV, dedicata al cardinal Fabrizio Ruffo, di una seconda cantata e d’un Coro, sempre «pel ritorno di Ferdinando IV in Napoli».
Il suo lavoro edito più cospicuo è la guida storico-architettonica Descrizione della città di Napoli e suoi borghi (3 voll., Napoli 1788-89), per tutto l’Ottocento riferimento per studiosi e cultori di storia dell’arte. Pubblicò, sempre a Napoli, diverse commedie riconducibili alla sua attività di attore dilettante: Il fantasima ovvero Il tamburo (composta nel 1773 in occasione delle nozze di Giuseppe Sanfelice, duca di Acquavella, con Maria Antonia de’ Rossi, marchesa di Montesilvano), Il matrimonio per procura ossia L’Elvira (1777), Don Germano ovvero Il matrimonio per inganno (1784), Selim ovvero Il generoso algerino (1785), Don Raimondo Scajenza ossia L’Alchimista e Donna Beatrice Fischietti ovvero I figliastri. Quest’ultima commedia sembra venisse rappresentata al conservatorio di S. Onofrio, con la partecipazione di Piccinni (Villarosa, 1840, pp. 157 s.). Uscirono a stampa, ancorché adespoti, anche I prodigi della B. Vergine Addolorata (ivi, p. 212; corrispondenti probabilmente all’esemplare custodito alla Biblioteca nazionale centrale di Roma). Rimasero inediti I due amici o sia Il matrimonio tra gli uomini, I gemelli schiavi, Le due streghe, La savia creduta matta, La ricercatrice dello spirito, Le due fughe e il dramma sacro La fede in trionfo nel martirio di S. Teodosio (ibid.). Cultore del napoletano, è ricordato dai lessicografi ottocenteschi per una raccolta, completa di prefazione, di canti carnascialeschi in napoletano e in italiano, rimasta manoscritta, recante il titolo Canzune e Strammuotte e databile al 1790 (Martorana, 1874, pp. 386 s.; D’Ambra, 1873, p. V). Se i sonetti rimasero fino alla sua morte manoscritti, pubblicò dei versi in omaggio a David Perez in occasione dell’uscita a stampa del Mattutino de’ morti (Londra 1775). Scrisse i libretti della cantata La umanità consolata nella concezione di Maria, musica di Ignazio Moscuzza, e del dramma sacro Il sogno di Nabucco (Napoli 1767), musica di Carmine Pelliccia, entrambi da cantarsi «in casa di un devoto» in onore dell’Immacolata Concezione.
Negli ultimi anni attese a un lavoro monumentale, l’Apoteosi della musica del Regno di Napoli (ed. mod.: Sigismondo, 2016): risalente al 1820-21, rimase incompiuto, privo di un ordine interno definitivo, e inedito, nonostante il fattivo interessamento di Francesco Ricciardi, conte di Camaldoli, ministro di grazia e giustizia sotto Murat, e del citato Kandler. Quest’ultimo, che frequentò Sigismondo a Napoli nell’estate 1821 e rimase in contatto epistolare fino al 13 ottobre, basò sull’Apoteosi le relazioni per la Allgemeine musikalische Zeitung (Kandler, 1821; cfr. Sigismondo, 2016, pp. XXIV-XXVI, XL-LVI). L’autografo dell’Apoteosi (oggi irreperibile, probabilmente distrutto) entrò in possesso di Carlantonio de Rosa, marchese di Villarosa, allievo di Sigismondo, che vi attinse a piene mani, al limite del plagio, per la sua produzione storiografica, innanzitutto nelle Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli (Napoli 1840; cfr. Degrada, 1999). L’unica copia esistente, coeva all’autografo, portata da Kandler a Vienna e passata dai collezionisti Aloys Fuchs e Georg Poelchau, si trova oggi a Berlino, Staatsbibliothek - Preußischer Kulturbesitz. In quattro volumi, l’Apoteosi propone l’autobiografia musicale dell’autore, preziosa testimonianza dell’ambiente napoletano, la ricostruzione della vicenda della sua raccolta, la storia dei quattro conservatori di musica napoletani, i profili biografici di quindici compositori, quasi tutti formatisi a Napoli nel Settecento, da Porpora a Cimarosa. Intento dichiarato è descrivere ascesa e caduta del teatro musicale in Napoli, correggendo gli errori invalsi nella storiografia.
Come studioso intervenne generosamente in soccorso di colleghi come Giovanni Battista Gennaro Grossi, che nel 1818 lo ringraziava per la «garbatezza» nel fornirgli «molte notizie» (Biografia degli uomini illustri, 1818; Sigismondo, 2016, p. XXIII).
Dedito in proprio alla composizione, scrisse piccole azioni drammatiche (la serenata Endimione, 1765, l’azione teatrale L’isola disabitata, 1766, entrambe su testi del Metastasio, l’intermezzo La prosuntuosa delusa, 1783), molti lavori per devozione privata, destinati all’esecuzione domestica di allievi ma anche di interpreti acclamati, soprattutto piccoli oratori per la Quaresima, proposti a casa propria come pure in chiese e conventi anche fuori Napoli (ad esempio gli oratori La Maddalena, 1765, e Giaele, 1768 o la Cantata a s. Giovanni, 1766, identificabili con la Gara delle virtù per la festa di s. Giovanni di Dio nell’Ospedale di S. Maria della Pace), musica da chiesa, musica profana d’occasione (come la Cantata a tre voci, versi di Francesco Mario Pagano, Pel fausto ritorno del Signor don Gaetano Pegnalver dalla fallimentare spedizione antifrancese di Tolone, 1794), una raccolta manoscritta di 74 Sonatine facili per cembalo o piano-forte scritte per Tommaso Villarosa (1806: ed. mod. a cura di E. Cardi, Padova 2010), solfeggi per gli allievi, e l’Unica, vera, perfettissima scuola di ben cantare … insegnata alla fu D. Rachele Pepe (cfr. ivi, pp. 10 s., 14, 41). Un elenco più completo si desume da Cafiero, 1993, e dalle schede del Servizio Bibliotecario Nazionale. Le partiture sono di norma custodite a Napoli presso la Biblioteca del conservatorio.
Nel 1855 Raffaele d’Ambra (1814-1892), letterato e cultore di storia dell’arte, rimasto orfano di padre e allevato da Sigismondo in tarda età (Martorana, 1874, pp. 415 s.), auspicava che un ritratto di quest’ultimo figurasse nelle stanze della biblioteca del conservatorio; ritratto che l’8 febbraio 1882 lasciò in dono all’istituzione. Tuttora custodito nella quadreria (riprodotto in Santagata, 1930), proveniente dai figli di Sigismondo, è opera «giovenil», dunque forse ancora settecentesca, di Aniello d’Aloisio (cfr. Descrizione, II, 1855, p. 237; e Dal segno al suono, 2010).
Morì a Napoli il 10 maggio 1826 (Di Giacomo, 1924, pp. 275-277); la salma fu inumata presso la Congregazione del Rosario nella chiesa di S. Caterina a Formello (Descrizione, II, 1855, p. 923).
Edizioni: G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, I-III, Napoli 1788-89, ed. mod. a cura di S. De Mieri - M. Toscano (t. I), A. Irollo (t. II), M.P. Lauro (t. III), Firenze 2011, https://www.memofonte.it/ricerche/napoli/ (20 dic. 2020); Id., Apoteosi della musica del Regno di Napoli, ed. critica a cura di C. Bacciagaluppi - G. Giovani - R. Mellace, introduzione di R. Cafiero, Roma 2016 (altra ed. in lingua ingl.: Apotheosis of Music in the Kingdom of Naples).
Fonti e Bibl.: I paratesti all’edizione testé cit. dell’Apoteosi compendiano ampiamente la bibliografia sull’autore. Qui basti citare i testi fondamentali e i più recenti: F.S. Kandler, Ueber den gegenwärtigen Kulturstand des königlichen Musikcollegiums in Neapel, in Allgemeine musikalische Zeitung, XXIII (1821), coll. 833-842, 856-863, 869-878; C. de Rosa, marchese di Villarosa, Lettera biografica intorno alla patria ed alla vita di Gio. Battista Pergolese celebre compositore di musica, Napoli 1831; Id., Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli 1840, pp. II-III, 87, 109, 157 s., 184, 206-212; Descrizione della città di Napoli, II, Napoli 1855, passim; R. D’Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico, Napoli 1873, pp. V, 142, 175, 234, 311, 359, 242; P. Martorana, Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori del dialetto napolitano, Napoli 1874, pp. 386 s., 415 s.; S. Di Giacomo, Il conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana e quello di S.M. della Pietà dei Turchini, Palermo, 1924, pp. 275-277; E. Santagata, Il museo storico musicale di “S. Pietro a Majella”, Napoli 1930, p. 42; D. Libby, G. S., an eighteenth-century amateur, musician, and historian, in Studi pergolesiani / Pergolesi Studies, II, a cura di F. Degrada, Scandicci 1988, pp. 222-238; R. Cafiero, Una biblioteca per la biblioteca: la collezione musicale di G. S., in Napoli e il teatro musicale in Europa tra Sette e Ottocento, a cura di B.M. Antolini - W. Witzenmann, Firenze 1993, pp. 299-367; F. Degrada, G. S., il marchese di Villarosa e la biografia di Pergolesi, in Studi pergolesiani / Pergolesi Studies, III, a cura di F. Degrada, Scandicci 1999, pp. 251-277; M. Battaglini - A. Placanica, Leggi, atti, proclami ed altri documenti della Repubblica napoletana, 1798-1799, Cava de’ Tirreni 2000, III, p. 541; Dal segno al suono. Il conservatorio di musica San Pietro a Majella. Repertorio del patrimonio storico-artistico e degli strumenti musicali, a cura di G. Cautela - L. Sisto - L. Starita, Napoli 2010, p. 161; G. Giovani, La collezione di cantate e serenate di G. S. (1739-1826), in Philomusica on-line, XIV (2015), pp. 243-271; R. Cafiero - M. Marino - T. Boccia, «Progressi notabili a vantaggio della musica»: Saverio Mattei e la creazione della biblioteca del Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini, in Saverio Mattei. Tradizione e invenzione, a cura di M. Montanile - R. Ricco, Roma 2016, pp. 85-112, 125-130; Le stagioni di Jommelli, a cura di M.I. Biggi et al., Napoli 2018 (in partic. R. Cafiero - G. Giovani, «Io conosco un dilettante il quale è pazzo per te»: G. S. e la collezione di musiche di Nicolò Jommelli, pp. 141-191; R. Mellace, Tra «gran maestro» e «potentissimo mago»: Niccolò Jommelli nello sguardo dei contemporanei, pp. 87-90, 99 s.); R. Cafiero, «Ils s’exerçaient en même temps à écrire la musique, en copiant leurs leçons, ou celles des autres». Editori e tipografi, professionisti e dilettanti di musica, cantanti e compositori italiani a Parigi (1800-1850), in Philomusica on-line, XVIII (2019), p. 64; G. Giovani, Tra Napoli e Parigi. Storie di una migrazione libraria, Lucca 2021, ad ind.