SEMERARO, Michelangelo Antonio
Alessandro Montrone
Nacque a Martina Franca (Taranto) nel 1900 da Ignazio e Maria Concetta Saraceni.
Proveniente da una famiglia di estrazione artigiana, oltre all’industriosità e alle spiccate competenze manuali tipiche del suo ambiente d’origine, mostrò sin dall’infanzia anche una particolare predilezione per gli studi e, dalla prima giovinezza, si prodigò inoltre in un generoso impegno in ambito sociale che lo vide pienamente coinvolto in attività di alfabetizzazione per adulti, di formazione al lavoro nonché eventi divulgativi su arte e storia, da lui diretti e tenuti nella locale Associazione Artigiana di Mutuo Soccorso, sodalizio operaio di ispirazione boviana che fungeva da centro aggregativo dei liberali progressisti di Martina Franca, allora guidati dal già sindaco e avvocato Giovanni Mongelli (1871-1932).
Conseguì il diploma magistrale nel 1917 e, parallelamente alle suddette attività sociali, cominciò subito a praticare la professione di maestro elementare presso l’istituto privato Niccolò Tommaseo di Martina Franca: scuola d’eccellenza frequentata dalle più agiate famiglie del territorio e diretta dal valente educatore Angelo Raffaele Chiarelli (1852-1926).
Nel 1924-25 entrò nei ruoli della scuola elementare di Stato prendendo servizio nel vicino comune di Locorotondo (Bari). In seguito ricoprì l’incarico di direttore provinciale delle scuole rurali tarantine tra 1938 e 1943, e dopo l’abolizione di queste (l. 570/1943) passò, tra il 1944 e il 1947, alla direzione di un circolo didattico. Infine, dal 1947 al 1961, si dedicò alla direzione del Villaggio del Fanciullo di Martina Franca, istituzione benefico-assistenziale voluta da Alfonso Motolese (1904-1972), con il quale in quegli stessi anni avviò pure una proficua collaborazione politica a livello comunale nell’ambito della Democrazia Cristiana.
Compendiò in chiave personale la temperie pedagogica del suo tempo, adattandola alle esigenze del territorio. Acquisì pienamente la lezione del pragmatismo liberale di John Dewey (1859-1952), che vedeva la scuola come educazione al lavoro e alla democrazia; la didattica all’aperto e l’apprendimento globale di Ovide Decroly (1871-1932); le attività manuali e l’autogoverno del gruppo classe di Adolphe Ferrière (1879-1960); la scuola del lavoro di Georg Kerschensteiner (1854-1932); la teorie delle sorelle Rosa (1866-1951) e Carolina Agazzi (1870-1945) nonché il metodo di Maria Montessori (1870-1952).
Da profondo e acuto conoscitore dei suoi contemporanei, Semeraro elaborò negli scritti e sperimentò su larga scala ‒ a livello di istituto, di comunità residenziale e di intera provincia ‒ un organizzatissimo nonché innovativo sistema pedagogico e didattico che, rispondendo all’esigenza di alfabetizzare e formare al lavoro soprattutto bambini delle zone rurali, si poneva come scuola pratica e adeguata al comune sentire della gente. In esso la spontanea attività di crescita civile dell’allievo veniva sollecitata, così come postulato dal coevo Giuseppe Lombardo Radice (1879-1961), in un ambiente 'sereno' dove il maestro, interprete della cultura popolare, si prodigava nella soluzione creativa di problemi didattici concreti: si partiva proprio dal contesto di vita del bambino, da oggetti a quest’ultimo già noti e familiari, che attraverso l’esperienza diretta venivano capiti e utilizzati, secondo un processo d’apprendimento che affina l’intelligenza, responsabilizza la persona, e contestualmente veicola il rispetto dei ruoli e la collaborazione tra pari.
Pertanto, sulla scorta di questi principi, l’insegnamento della lingua italiana era da Semeraro impartito partendo dalla parlata del posto, secondo l’indicazione di Giovanni Gentile (1875-1944) 'dal dialetto alla lingua', che veniva praticata sul territorio anche attraverso l’utilizzo di opportuni opuscoli testo a fronte, appositamente redatti da eruditi dialettologi locali, quali i sacerdoti Giuseppe Prete (1881-1957) e Giuseppe Grassi (1881-1953). La storia, sin dai programmi Baccelli (1894) imprescindibile nella formazione dei futuri italiani, veniva esposta col metodo dell’istruir dilettando di Guido Fabiani (1869-1947), ossia raccontata con narrazioni avvincenti, epiche e fruibili dai più giovani; le quali erano spesso contenute in saggi divulgativi a tal scopo scritti anche dallo stesso Semeraro e pubblicati con successo a livello nazionale da Vallardi (L'ultima guerra d'indipendenza italiana, 1920; La passione di Fiume esposta ai ragazzi, 1927). La matematica e le scienze, così come l’educazione civica e i principi della fattiva collaborazione tra pari, erano invece appresi contestualmente ad attività pratiche e laboratoriali secondo il metodo dell’'apprendere facendo', direttamente mutuato dalle contemporanee pedagogie della 'scuola nuova' e della 'scuola attiva'. E molto prima della riforma Bottai (1940) ‒ che istituzionalizzò la cosiddetta 'scuola del lavoro' ‒ Semeraro, durante l’anno scolastico 1927-28, avviò in tal senso una sua prima personale sperimentazione in un istituto rurale elementare di Locorotondo (Bari), nel corso della quale vennero appunto implementati laboratori didattici, sia artigianali (falegnameria, cartonaggio, legatoria, figulina, disegno, pittura, taglio, cucito, ricamo) che agricoli (coltivazione, giardinaggio, pollicultura, cunicoltura). Tutte esperienze che confluirono, specie durante gli anni della dirigenza provinciale (1938-1943), nella sua originalissima scuola rurale all’aperto, intesa come rivoluzione didattica dove l’apprendimento avveniva soprattutto sul campo attraverso il contatto diretto con la natura, alternando il moto fisico e le attività prettamente ludiche con spiegazioni dal vivo sui fenomeni naturali ed esercitazioni laboratoriali d’artigianato e agricoltura. Esperienze tutte minuziosamente documentate, sia nei presupposti teorici che nelle risultanze sperimentali, sulla rivista di settore da lui fondata e diretta La voce della scuola (1928-31; 1945-49).
E negli anni della cosiddetta ruralizzazione ‒ ossia quel programma governativo avviato nel 1929 e teso a valorizzare le campagne e il lavoro agricolo in generale ‒ Semeraro prontamente accolse l’appello del Ministero per l’Educazione Nazionale (DM 232/1934) che raccomandava la conoscenza della cultura popolare come presupposto imprescindibile per avviare un opportuno processo di alfabetizzazione delle campagne. Quindi ebbe la felice intuizione di redigere una guida che permettesse all’insegnante, d’estrazione sovente urbana, di districarsi nel particolarissimo substrato socioculturale dell’agro, per poter meglio indirizzare l’attività didattica, adeguandola al vivo sentire della gente. Ne venne fuori un trattato di etnologia sugli usi e i costumi della Murgia jonica: Vita rurale nella Puglia delle «casedde», che, pubblicato nel 1937 da un editore romano, tutt’oggi rappresenta una fonte degli studi etnologici pugliesi.
Tutto questo suo complesso sistema pedagogico sperimentale ‒ che ecletticamente compendiava scuola nuova, scuola attiva, scuola del lavoro e scuola rurale all’aperto ‒ improntò la realizzazione e la direzione del Villaggio del Fanciullo di Martina Franca, dal 1947, anno della sua istituzione, fino al 1962. Il convitto, ospitante in gran parte orfani di guerra, arrivò a essere frequentato da più di duecento allievi, compresi gli esterni, tra elementari, post-elementari e corsi di educazione per adulti; e venne organizzato sotto forma di fondazione ispirata ai valori educativi di Giovanni Bosco (1815-1888) e al modello sociale della Città dei Ragazzi di Edward Flanagan (1886-1948). Quindi una comunità scolastica residenziale retta sulla pratica, allora sperimentale, dell’autogoverno, ossia una vera e propria democrazia elettiva interna, con attività produttive autogestite e con organismi legislativi e giudiziari amministrati dagli stessi ragazzi, i quali eleggevano i loro rappresentanti che a loro volta emanavano quei regolamenti che poi i giudici, eletti anch’essi, facevano rispettare attraverso l’irrogazione di sanzioni e premialità ‒ il tutto sempre sotto la vigile supervisione dello stesso Semeraro. Insomma, un progetto di comunità funzionante che nel suo insieme poneva i presupposti concreti della futura partecipazione democratica alla vita civile.
Nel 1965, poco prima della morte, avvenuta nella sua città natale, ricevette il Diploma di Benemerenza di Prima Classe con medaglia d’oro da parte del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (1898-1988) su proposta del Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui (1914-2010).
L’opera di Semeraro si inserisce nel più vasto quadro dell’attivismo pedagogico del primo Novecento e ha rappresentato una controparte rurale e meridionale di sperimentazioni prevalentemente urbane quali quelle di Maria Montessori (1870-1952), di Giuseppina Pizzigoni (1870- 1958) e delle sorelle Rosa (1866-1951) e Carolina Agazzi (1870-1945). Esperienze non del tutto scomparse, bensì sedimentate nell’immaginario collettivo di una volontà di rinnovamento mai pienamente realizzato.
L'ultima guerra d'indipendenza italiana, Milano 1920; La passione di Fiume esposta ai ragazzi, Milano 1927; Vita rurale nella Puglia delle «casedde», Roma 1937.
AA.VV., La voce della scuola, Martina Franca (1928-1931, 1945-1949); M. Pizzigallo, Michelangelo Semeraro, in Educatori martinesi, Martina Franca 1987, pp. 13-20; P. Marinò, Alunni e maestri, Fasano di Brindisi 1997; G. Liuzzi, Il Villaggio del Fanciullo. Fondazione Alfonso Motolese, in Santa Maria d’Idria a Martina Franca. Storia del convento dei Cappuccini dai Basiliani ai Somaschi, Fasano di Brindisi 2017, pp. 254-269; A. Montrone, Michelangelo Semeraro (1900-1965) educatore e uomo politico, in Umanesimo della Pietra - Città e cittadini, 22, 2017, pp. 81-96.