SANTO, MARIANO. – Nacque a Barletta nel 1488. Non è nota l’identità dei genitori.
Si formò alla pratica chirurgica prima a Napoli e poi a Roma: qui ebbe come maestri i chirurghi Giovanni Vigo e Giovanni de Romanis. Cominciò a esercitare presso l’ospedale di Santa Maria della Consolazione e pubblicò il Compendium in chyrurgia vtilissimum volentibus ipsam exercere (Rome, per magistrum Stephanum Guillereti, 1516) dedicato al Senato di Barletta. Dopo un breve ritorno in patria, cominciò a frequentare l’università romana, sotto la guida di Giovanni Antracino, ottenendo i gradi in filosofia e in medicina rispettivamente nel 1520 e nel 1522, anno in cui diede alle stampe il Libellus aureus de lapide a vesica per incisionem extrahendo (Romae, per Marcellum Silber, 1522).
Nel 1524 sposò Maddalena Braccio dalla quale ebbe almeno quattro figli (Paolo, Cesare, Antonia e Lucrezia). Nel 1526, dopo aver pubblicato un commentario alle osservazioni di Avicenna sulle fratture del cranio (Super textu Auicenne de caluarie curatione dilucida interpretatio, Romae, in aedibus magistri Marcelli in Campo Florae), si trasferì a Milano, dove divenne medico della famiglia Trivulzio. Quando Filippo Trivulzio si trasferì a Dubrovnik, dove era stato nominato arcivescovo, Santo lo seguì. Nella città dalmata assunse la carica di medico della repubblica ragusea. Le attività di Filippo Trivulzio, agente politico del re di Francia, lo misero in contatto con l’ambiente della diplomazia informale filo-francese. In questo contesto, prestò le sue cure allo spagnolo Antonio Rincón di cui divenne il medico, prima a Dubrovnik e poi durante la sua missione diplomatica a Belgrado al cospetto di Solimano I nella primavera del 1532. Il viaggio fu per Santo l’occasione di apprendere dai chirurghi militari ottomani l’uso di un bisturi doppio affilatissimo molto efficace nelle flebotomie. Alla fine del 1532 il Consiglio maggiore di Dubrovnik non rinnovò la sua condotta e Santo lasciò la città. Dopo un breve soggiorno a Perugia, si stabilì a Venezia, dove entrò a far parte della cerchia del condottiere Guido Rangoni. Nella città, ricevuta la licenza d’esercizio dalle autorità cittadine, svolse alacremente la professione medica e si dedicò alla pubblicazione di diverse opere. Nel 1535 diede alle stampe il De lapide renum (Venetiis, per Petrum de Nicolinis da Sabio), dedicato proprio a Rangoni. Lavorò poi a un importante progetto editoriale che avrebbe raccolto tutti i trattati precedentemente composti, con in più ulteriori commentari all'Avicenna chirurgo e due brevi testi di argomento etico-professionale. L’opera Ad communem medicorum chirurgicorum usum Commentaria nuper in lucem aedita in Auicennae textum. De apostematibus calidis. De contusione & attritione. De casu & offensione. De caluariae curatione. Eiusdem Mariani Compendium in chirurgia. Libellus de lapide renum. Libellus aureus de lapide vesicae per incisionem extrahendo. Libellus quidditatiuus de modo examinandi medicos chirurgicos. Oratio de laudibus medicinae venne stampata da Luca Antonio Giunta nel 1543. È dedicata al viceré di Napoli Pedro de Toledo e preceduta da una Pro re litteraria reformanda [...] exhortatio destinata a degli Studiorum reformatores da identificare forse con i Riformatori dello Studio di Padova. Nel citato Libellus quidditatiuus (c. 304v) si fa appunto menzione del metodo per le flebotomie appreso da Santo presso i chirurghi ottomani.
Secondo alcuni biografi, il soggiorno veneziano fu inframezzato dalla partecipazione a campagne militari al seguito delle truppe asburgiche.
In una data imprecisata, Santo fece ritorno a Roma, dove continuò a esercitare la medicina e la chirurgia e frequentò le più celebri personalità dell’ambiente medico cittadino, come dimostra la breve Ex Hippocratis sententia bilem et pituitam causas esse omnium morborum insinuatio (Romae, apud Valerium Doricum, 1554), dedicata a Giambattista Canani – archiatra di Giulio III – sulla base di una disputa che aveva opposto l’autore a Cosma Giacomelli, altro medico pontificio.
Nel 1556 Santo si trovava nuovamente a Venezia, dove scrisse un’ultima opera, pubblicata due anni dopo dal figlio Cesare e dedicata anch’essa a questioni urologiche, il Libellus de ardore vrinae et difficultate vrinandi (Venetiis, Ioan. Gryphius excudebat, 1558) che scaturiva da una disputa con alcuni colleghi.
La vasta opera di Mariano Santo – almeno dodici trattati dei quali alcuni furono oggetto di numerose riedizioni – riflette la sua doppia formazione di medico e chirurgo, le sue competenze nelle tecniche chirurgiche e l’abilità nella messa a punto e nell’uso di una strumentazione specifica. La sua ampia cultura medica e il suo variegato ventaglio di conoscenze, unite a un’intensa pratica della professione – che viene spesso ricordata nelle sue opere attraverso riferimenti alle sue curationes – lo portarono spesso a discostarsi da alcuni trattamenti e tecniche correntemente in uso e a criticare, a volte duramente, medici, chirurghi ed empirici del suo tempo. Ma all’interno di una concezione corale della produzione del sapere che caratterizza i suoi scritti, numerosi sono anche i riferimenti ai debiti contratti con maestri e colleghi. Soggetti di predilezione di Santo furono l’apparato urinario e i calcoli dei reni e della vescica, alla rimozione dei quali consacrò una parte importante della sua pratica professionale e della sua attività editoriale.
Santo ottenne in particolare una grande celebrità per aver inventato, o piuttosto perfezionato, un metodo per rimuovere i calcoli della vescica, detto grande apparato o, dal suo nome, sectio mariana. Il metodo consisteva nel rimuovere le pietre direttamente dall’uretra e senza tagliare la vescica come era pratica corrente. Esso fu descritto per la prima volta nel Libellus aureus del 1522. Qui egli afferma di averlo appreso a Roma dal chirurgo cremonese Giovanni de Romanis. Quest’opera, e le altre pubblicate successivamente su altre affezioni dell’apparato urinario, sono caratterizzate da approfondite descrizioni che rivelano le sue elevate competenze in ambito chirurgico, anatomico e fisiologico e una sensibilità all’importanza della compenetrazione tra questi diversi aspetti, che egli esprime anche nella Exhortatio alla riforma degli studi del 1543. Santo individua le cause dei calcoli renali e della vescica e i fattori di predisposizione (età, sesso, complessione individuale...), analizza i segni e i sintomi a essi associati e propone diversi rimedi chirurgici e farmacologici. Anche nella descrizione del metodo di estrazione da lui messo a punto convergono destrezza del chirurgo e approfondite conoscenze anatomo-fisiologiche. Gli otto strumenti necessari alla realizzazione dell’intervento e le loro tecniche d’uso sono presentati nel dettaglio. Le parti anatomiche coinvolte, e in particolare la vescica, sono descritte in tutte le loro caratteristiche. L’intervento in senso stretto è anch’esso esaminato nelle sue diverse componenti: la posizione del paziente e i gesti degli assistenti; la direzione del taglio – pensata in maniera da limitare il più possibile emorragie e altri effetti collaterali invalidanti per il paziente; il modo di affrontare situazioni particolarmente rischiose; il metodo e la condotta da seguire quando, caso raro,
l’intervento doveva essere effettuato su una donna; l’esplorazione post-operatoria della vescica per verificare l’effettiva asportazione di tutte le pietre attraverso un apposito strumento. Infine, Santo non tralascia neppure la fase di convalescenza, descrivendo il trattamento successivo della ferita e il regime di vita da seguire.
Il metodo per rimuovere i calcoli della vescica da lui messo a punto si diffuse in Italia e all’estero, in particolare in Francia, tanto attraverso forme di trasmissione diretta che attraverso la diffusione delle sue opere. Santo svelò la tecnica a Ottaviano de Villa, chirurgo che esercitò prima a Roma e poi in Francia, dove a sua volta lo insegnò a Laurent Colot. Il De lapide
renum venne quasi interamente trascritto da Ambroise Paré. La circolazione tra gli ambienti medico-chirurgici francesi del metodo di Santo fu anche assicurata da diverse edizioni francesi delle sue opere e in particolare da quella congiunta del De lapide renum e del De lapide vesicae del 1540 per i tipi di Chrétien Wechel. Altro importante canale di diffusione dei metodi e del sapere elaborati da Santo fu la traduzione in italiano del Compendium in chyrurgia che almeno dal 1549 cominciò a essere pubblicato assieme alla fortunatissima Pratica chirurgica di Giovanni Vigo (un’edizione latina contenente le due opere era già apparsa a Lione nel 1525).
Alcuni degli strumenti e delle tecniche messi a punto e descritti da Santo rimasero in uso fino almeno alla fine del XVIII secolo. Giovanni Alessandro Brambilla sottolinea come il metodo descritto da Santo fosse «lo stesso che quello, che conosciamo noi ancora oggidì sotto il nome di Grande apparecchio, e gli stromenti nostri sono come i suoi» (Brambilla, 1782, p. 173).
Non si conosce la data esatta di morte di Santo, ma Pietro Capparoni la situa prima del 1565.
Tra i figli di Santo, almeno Cesare seguì le orme del padre. Laureato in medicina presso lo Studium Urbis di Roma, fu membro della Congregazione di S. Luca, un gruppo di medici che si riunivano nella città all’inizio degli anni Settanta del Cinquecento e che fu fortemente osteggiato dal Collegio medico cittadino. Un duro contenzioso oppose Cesare proprio al Collegio in occasione della pubblicazione della sua opera Opusculum de magnorum luminarium conjunctionibus, oppositionibus, & quadraturis authoritate medicorum principum [...]. Lunarium medicum (Romae, apud haeredes Antonij Bladii impressores camerales, 1571). Fu anche l’autore del trattato De optimo medico, deque causis aegritudinum, ac sanitate tuenda, & morbis curandis opusculum (Romae, apud haeredes Antonij Bladij impressores camerales, 1574), dedicato al cardinale Antoine Perrenot de Granvelle.
G.A. Brambilla, Storia delle scoperte fisico medico chirurgiche, III, Milano 1782, pp. 168-178; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, III, Napoli 1845, pp. 669-673; M. Del Gaizo, M. S. di Barletta e la chirurgia italiana della prima metà del Cinquecento, in Atti della Reale Accademia medico-chirurgica di Napoli, n. s., XLVII (1893), 4; Id., Di un rarissimo esemplare del libro "Mariani Sancti Barolitani, De lapide, ecc.", ibid., LVI (1902), 3; P. Capparoni, Profili di medici e naturalisti celebri italiani dal sec. XV al XVIII, I-II, Roma 1925-28; Id., Santo, Mariano, in Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere ed Arti, Roma 1936, s.v.; L. Glesinger, Iz dubrovačkih dana talijanskog kirurga Mariana Santa (1527–1532), in Rasprave i grada za poviiest nauka, III (1969), pp. 121-152 ; E. Andretta, La "censure" du Lunarium de Cesare Santi (1571). Une bataille pour la suprématie médicale romaine, in Mélanges de l'École française de Rome. Italie et mediterranée, CXX (2009), 2, pp. 407-423; Z. Blažina-Tomić, V. Blažina, Expelling the plague: the Health Office and the implementation of quarantine in Dubrovnik, 1377-1533, Montreal 2015, pp. 83, 99, 101-103.