ROMAGNANO, Antonio (Antonio da Romagnano) – Nacque probabilmente attorno al 1410; il padre si chiamava Giacomo da Romagnano, mentre si ignorano il nome della madre e il luogo di nascita.
Nella prima metà degli anni ’30 sposò Filippina Barbavara, appartenente alla celebre casata, che al tempo di Gian Galeazzo Visconti era legata all’amministrazione ducale di Milano. Dal matrimonio nacquero quattro figli maschi e due femmine. Prima del matrimonio aveva avuto di certo un figlio naturale, Amedeo, nato sicuramente nel 1431 poiché morì come vescovo di Mondovì nel 1509 all’età di settantotto anni.
Sempre negli anni ’30 si laureò in diritto civile e canonico probabilmente a Torino, ove il vescovo Aimone da Romagnano (in carica dal 1411, nominato dall’antipapa Giovanni XXIIII) e Ludovico da Romagnano (sino al 1468), in forza della carica erano anche cancellieri dell’Ateneo.
È sopravvissuta un’isolata testimonianza di una qualche sua attività di docenza: nel 1458 sarebbe stato infatti definito professor extraordinarius. Nella documentazione corrente Antonio da Romagnano è appellato con l’usuale formula di miles et doctor utriusque.
La vita pubblica di Antonio da Romagnano ebbe inizio nel 1433, quando Filippo Maria Visconti, previo pagamento di 1700 ducati d’oro (il saldo avvenne l’11 febbraio 1436) gli concesse l’investitura feudale della contea di Pollenzo, che era rientrata nei possessi ducali per il tradimento di Costanzo Federico Porro, precedente feudatario, schieratosi con il marchese di Monferrato. Nello stesso anno, il 10 marzo, il vescovo di Asti, dopo aver recuperato per lo stesso motivo il possesso del feudo capitaneale di S. Vittoria lo attribuì, con la formula del rectum et gentile feudum, ad Antonio; la concessione fu ripetuta con il diritto di trasmissione ereditaria in via maschile dal presule successore, il milanese Bernardo Landriano, nel 1440. Alla famiglia Romagnano i centri di Pollenzo e S. Vittoria rimasero per secoli.
Antonio da Romagnano riorganizzò con sollecitudine i due territori, puntando in particolare su S. Vittoria, centro incastellato sulla sommità del colle, lungo il corso del Tanaro. Le sue prerogative erano quelle standard delle signorie piemontesi: il controllo giuridico, amministrativo, fiscale, la percezione delle decime sacramentali.
Il rapporto con il duca di Milano – per conto del quale fu anche, in data imprecisata, governatore di Asti (vedi infra) – durò sino alla morte di Filippo Maria Visconti nel 1447, ma durante i tre lustri di intesa cordiale fu rinsaldato il 20 giugno 1441 da una solenne cerimonia di investitura dell’antico territorio del marchesato di Romagnano ad Antonio, definito egregius miles et sapiens doctor, e ai suoi due fratelli Tommaso e Giovanni, con il castello di Sopramonte e le località di Grignasco, Prato, Ara e Colma. Il duca concesse anche l’ambito privilegio della totale separazione giurisdizionale del territorio marchionale dalla città dominante, Novara. Pollenzo e S. Vittoria erano peraltro territori di confine, e gli eventi del 1447 (morte di Filippo Maria Visconti e proclamazione della Repubblica Ambrosiana) misero Antonio da Romagnano in una posizione critica, spingendolo di fatto nel campo dei Savoia. L’11 novembre 1448 Antonio si recò a Pinerolo per trattare con il duca Ludovico la cessione di Pollenzo, del castello di S. Vittoria e delle sue terre novaresi ai Savoia, con l’accordo di una immediata restituzione in feudo (corredato della giurisdizione di merum et mixtum imperium usque ad sanguinem, dei diritti fiscali, dei diritti di mercato). Un secondo accordo stabilì che Antonio fosse contestualmente nominato dal duca luogotenente della Cancelleria sabauda in sostituzione del defunto cancelliere Pietro Marchiandi. Nello stesso giorno si svolse la cerimonia dell’investitura (cum ense e bacio); l’operazione fu perfezionata il 25 aprile 1449 con la nomina di Antonio alla carica di cancelliere del ducato, con l’obbligo di rationem reddere a Chambéry una volta all’anno in Camera computorum.
Nei mesi successivi tuttavia si inasprì il contrasto (da tempo latente) fra le famiglie dei da Romagnano e dei conti di Valperga-Masino, attorno alle quali si aggregarono altre casate; e su richiesta del padre Amedeo VIII – all’oscuro della concessione della cancelleria ad Antonio (inscio genitore nostro) – Ludovico di Savoia lo sollevò dall’incarico affidandolo prima a Giacomo della Torre (4 gennaio 1450) e poi al nemico giurato di Antonio, Giacomo di Valperga (20 novembre 1452)
Antonio da Romagnano peraltro non fu estromesso dalla corte e il 30 gennaio 1450 fu parzialmente compensato con la nomina a Praesidens Sacrarum Audientiarum, cioè responsabile delle udienze. Il 10 maggio 1451 ottenne inoltre la carica di Primo presidente del consiglio ultramontano residente a Torino, con uno stipendio annuo di 500 ducati; avrebbe esercitato l’ufficio sino al 1° marzo 1458.
Del sostanziale scacco subito da Antonio da Romagnano, posposto a Valperga, tentò di approfittare Francesco Sforza, da poco al potere in Milano. Con una lettera del 21 ottobre 1454 il duca convocò infatti da Romagnano a Milano, ricordandogli i suoi obblighi di vassallo (risalenti al 1433 e certificati dai documenti della cancelleria milanese) e accusandolo implicitamente di mendacio per aver dichiarato di non aver mai avuto obbligazioni con il duca Filippo Maria Visconti, tranne che per la carica di governatore di Asti. Antonio da Romagnano non si presentò, ma qualche anno dopo (1457-1458) con un’abile contro-mossa accusò presso il duca di Savoia il cancelliere Giacomo di Valperga di connivenza con Francesco Sforza. Valperga fu condannato e fuggì a Milano, sicché Antonio da Romagnano ottenne nuovamente la carica di cancelliere sabaudo (21 marzo 1458).
La nuova carica gli permise di acquisire, con una disposizione ducale del 13 gennaio 1459, il feudo di Rossana all’inizio della Valle Varaita nel Cuneese.
Il contrasto tra da Romagnano e Valperga non si chiuse e nel 1462 il giurista Pietro Vernerio, arbitro designato da Luigi XI di Francia (sposato a una Savoia), riabilitò Valperga che ottenne nuovamente la carica di cancelliere e poté richiedere 200.000 ducati di risarcimento. Antonio da Romagnano fu di fatto obbligato ad accostarsi nuovamente al duca di Milano. L’occasione si presentò nel 1466 quando (dopo la morte di Francesco Sforza) acquisì una benemerenza di prim’ordine, liberando Galeazzo Maria Sforza, rinchiuso nella chiesa della Novalesa, e consentendogli di raggiungere Novara e poi Milano per prendere il potere. Bianca Maria Sforza lo inserì dunque nel consiglio segreto del ducato durante la reggenza, e da Romagnano – riconosciuto come alleato degli Sforza anche dalle potenze estere, come Venezia (Commemoriali) – vi rimase durante il governo di Galeazzo Maria pur osservando sempre con attenzione quanto accadeva oltre il confine.
Nel luglio del 1473 – prospettandosi un avvicendamento nella cancelleria sabauda per la prossima morte del titolare, Umberto Chevreri – Antonio da Romagnano sondò, attraverso il figlio Amedeo, le reazioni di Galeazzo Maria e del suo factotum Cicco Simonetta sull’eventualità di un suo ‘trasferimento’ a Torino. Il 30 luglio Simonetta rispose abilmente che nulla ostava, «perché non dubitamo haverete sempre ad core le cose nostre in quello loco» (Cibrario, 1828, p. 3). La prospettiva peraltro sfumò, perché Iolanda di Francia, reggente del ducato per Filiberto I, nominò come cancelliere Pietro di S. Michele (29 luglio 1473). Pertanto Antonio da Romagnano anche negli ultimi anni della sua vita continuò a gravitare su Milano, e dal 1474 al 1477 fu ripetutamente presente al consiglio segreto (anche dopo la morte violenta di Galeazzo Maria e durante la reggenza di Bona di Savoia).
Il 3 aprile 1479 nel castello di Vinovo ebbe modo di dettare il suo testamento.
Data la sua ‘doppia appartenenza’, lombarda e piemontese, il luogo di sepoltura era subordinato al luogo di morte: S. Pietro in Gessate in caso di morte a Milano, la cattedrale di Torino – nella cappella dei ss. Stefano e Caterina, di giuspatronato Romagnano, di fronte alle tombe dei consanguinei vescovi di primo Quattrocento, Aimone e Ludovico – in caso di morte in qualsiasi luogo del Piemonte. Un legato di 300 fiorini era comunque destinato a potenziare gli introiti della cappella, ai fini delle messe di suffragio; al figlio Amedeo, protonotario apostolico, spettava l’onere di costruire nella cappella un nuovo altare per il suffragio delle anime di suo padre, della sua ascendenza e degli eredi di una non specificata signora Andreatta Turchi.
Antonio da Romagnano morì nello stesso 1479 e fu sepolto a Torino.
Scompariva con lui un tipico protagonista di quella profonda mutazione quattrocentesca, cui era andata incontro l’antica nobiltà rurale dell’alto e pieno medioevo. I suoi antenati, marchesi, ubicati originariamente a cavallo del fiume Sesia, si erano da tempo trasferiti a Torino e nel territorio del Piemonte centrale. Il forte aumento demografico delle famiglie aveva imposto altre soluzioni per la vita delle discendenze, oltre alla gestione della signoria rurale: in primo luogo la carriera ecclesiastica, che era già stata abbracciata con successo da Aimone e Ludovico da Romagnano, e che fu poi scelta da Amedeo, il figlio di Antonio. In secondo luogo la vita militare, accompagnata a volte dallo studio del diritto: le due specializzazioni (armi e ius) potevano permettere l’attività di governo delle città e gli uffici amministrativi e fiscali controllati dalle corti ducali e principesche, nonché l’azione diplomatica al fine di accordi politici, ma anche di incontri culturali a spazio europeo. Insomma nasceva il mondo moderno e la nobiltà si veniva adattando e modificando, per poterlo dominare e indirizzare verso nuove e più complesse finalità.
Archivio di Stato di Torino, Archivio Romagnano, Cartelle Pollenzo; Cariche del Piemonte e Paesi uniti con la serie cronologica delle persone che le hanno occupate, Torino 1798, pp. 17, 20-23, 164 s.; L. Cibrario, Lettere inedite di principi e di uomini illustri, Torino 1828, pp. 1-3; L. Cibrario, Storia di Torino, II, Torino 1846, p. 372; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, II, Torino 1847, pp. 363-368; ; L. Cibrario, Jacopo Valperga di Masino e Filippo di Savoia. Triste episodio del secolo XV, Torino 1860, pp. 9-11, 22; Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, libro XVI, doc. 189, pp. 60, 234; Antonii Galli Genuensis Commentarius rerum Genuensium, a cura di E. Candiani, in RIS, XXIII, 1, Città di Castello, 1910, p. 26; E. Bellone, Il primo secolo di vita dell’Università di Torino (secoli XV-XVI). Ricerche ed ipotesi sulla cultura del Piemonte quattrocentesco, Torino 1986, p. 98; B. Niccolini, Valperga e Savoia. Due dinastie per un regno, Firenze 1986, pp. 179-186; C. Santoro, Gli Sforza, Milano 1992, pp. 111 s.