CERCHI, Bindaccio
Figlio di Michele di Consiglio e di Maria di Domenico Lamberteschi, nacque a Firenze il 24 ott. 1450. Sposatosi nel 1471 con Alessandra Sommai, trascorse gli anni della giovinezza occupato in affari mercantili. Testimonianza della sua attività è l'acquisto, effettuato nel 1472, di un negozio di banco in via Vacchereccia per 100 fiorini. Eletto fra i Signori per il bimestre gennaio-febbraio 1481, nel 1484 fece parte della Balia. Seguì un lungo intervallo, sino agli ultimi anni del sec. XV, in cui il C. non ricoprì cariche pubbliche.
Discendente da un'antica famiglia, sia pure economicamente indebolita nel corso del XV sec., il C. si sentiva parte di quel gruppo delle maggiori famiglie fiorentine che temevano nel potere esclusivo dei Medici un attentato ai propri privilegi e che vedevano nel governo democratico, seguito alla cacciata di Piero nel 1494, il pericolo di esclusione dalle responsabilità politiche. È comprensibile quindi che, nella Repubblica dominata dal Savonarola, il C. abbracciasse la causa degli arrabbiati, i quali, pur non desiderando il ritorno dei Medici, combattevano aspramente la costituzione democratica. Forse proprio per l'opposizione al nuovo governo venne allontanato nel 1495 da Firenze con la carica di castellano della Rocca nuova a mare.
Chiara testimonianza della posizione politica del C. è la partecipazione, nell'aprile 1496, a un complotto ordito da alcuni aristocratici, guidati da Filippo Corbizi, Giovanni da Tignano e Giovanni Benizi, per scalzare il predominio dei seguaci del Savonarola nelle maggiori cariche, favorendo l'elezione di elementi del partito aristocratico. Il tentativo degli arrabbiati non ottenne successo e il Savonarola, forse informato anticipatamente dell'impresa, fece catturare gli oppositori. I tre principali responsabili furono confinati a vita; gli altri partecipanti al complotto, fra i quali anche il C., furono ammoniti ed esclusi per due anni dalle cariche pubbliche.
Trascorso tale periodo, il C. fu eletto, il 6 gennaio 1499, ufficiale di Torre e Ribelli per il quartiere di Santa Croce. In un suo Memoriale, comprendente gli anni dal 1496 al 1502, di cui ci restano solo alcuni brani, il C. notava come si trattasse della "prima lezione ho avuto dall'anno 1494 in qua, di poi la cacciata di Piero di Lorenzo de' Medici" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerchi, 168, c. 206). Altre cariche gli furono affidate nel 1503: Capitano di Orsanmichele il 10 febbraio, era dei Dodici buonuomini il 10 marzo e infine entrava a far parte, il 22 marzo, del Consiglio degli ottanta per sei mesi.
Contrariamente a quegli aristocratici che avevano favorito l'ingresso del Valentino in Toscana, il C. non mancava in ogni occasione di esprimere la sua ostilità contro le minacce del Borgia e di esortare la Repubblica alla difesa. Nel Memoriale ricordava di essersi trovato "sempre a tutte le pratiche, e a consigliare fussi trattato da inimico" (ibid., c. 207). Solo per l'incapacità della Signoria, il Valentino "si condusse nel Piano di Campi e stettevi parecchi dì, benché tutta la città gli voleva andar a dosso, e levargli le vettovaglia, e bandirlo inimico, e non si potette mai che fu delle gran meraviglie mi facessi mai. Iddio perdoni a chi n'è stato cagione di tanto strazio, prede di fanciulle, morti, ruberie che fu uno danno di 300 mila fiorini" (ibid.).
Nello stesso anno 1503 il C. veniva anche eletto gonfaloniere della Compagnia del Carro. Nell'accettare questa carica pronunciava un discorso in cui esaminava i diversi tipi di governo facendo espliciti riferimenti alla situazione fiorentina.
Come altri appartenenti alle maggiori famiglie, il C. riteneva che il governo popolare, preferibile rispetto al governo monarchico e a quello degli ottimati, fosse lo strumento adatto per far prevalere nella vita pubblica il personale di estrazione aristocratica più capace e quindi più degno della direzione politica. Il C. indicava come il governo fosse "uno adunamento di gentili uomini popolani e mercatanti e artefici" (Firenze, Bibl. Riccardiana, Manoscritti, 1105, c. 117). Metteva altresì in evidenza come la direzione politica dovesse essere affidata a coloro che "la universa ciptà avesse destinto" (ibid., c. 116).
Il C. fu eletto una seconda volta gonfaloniere della Compagnia del Carro nel 1508. Morì a Firenze intorno al 1510.
Può forse essere attribuita agli ultimi anni della sua vita la trascrizione di una parte di cronaca, rinvenuta fra le carte di famiglia, in un suo Zibaldone di memorie (Firenze, Bibl. Riccard., Manoscritti, 1105, cc. 96-99). Il C. dice di aver trovato "fra certi ischartabegli, in caxa ricerchando, una parte di cronacha, ed è fra le scritture vechie nel chassone, ed è consumata dalle tignuole: acciò non manchi questa memoria, io l'o chon difichultà chopiata per la detta chaducità"(ibid., c. 96). La cronaca, forse originariamente composta da più persone, comincia con la rotta di Montaperti e continua con la narrazione delle vicende degli anni 1266-67. Passa poi a parlare di un Francesco di Simone de' Cerchi, vissuto alla fine del XIV secolo, e solo come spiegazione dei suoi casi risale al 1300 per ricordare le discordie fra bianchi e neri, l'intromissione di Bonifacio VIII, la venuta di Carlo di Valois e la rovina dei bianchi. I fatti narrati riguardano sempre i casi della famiglia Cerchi e la storia del Comune viene raccontata solo in quanto s'intreccia con la storia privata della famiglia. Il C., oltre a commettere alcuni errori nella trascrizione, si limitò a ricopiare i fogli staccati che aveva rinvenuto senza darsi pensiero della reale successione cronologica dei fatti narrati. La materia che la Cronaca fornisce è perciò piuttosto confusa e, solo se integrata con altre fonti, può acquistare un certo rilievo e offrire alcuni particolari non privi d'interesse.
La Cronaca è stata pubblicata da G. Lami, in Deliciae eruditorum,VII,Florentiae 1760, pp. 305-14; da D. M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, Firenze 1739, I, pp. 105-09; e da F. Maggini, Frammenti d'una cronaca dei Cerchi, in Arch. stor. ital.,LXXVI (1918), 1, pp. 97-109.
Dopo la morte della prima moglie il C. si era sposato con Ginevera Ilarioni nel 1495,ottenendo una dote di 400 fiorini. Nel 1503 si era unito in terze nozze con Agnola Altoviti, che gli aveva portato dote di 530 fiorini. Dai tre matrimoni sopravvisse un solo figlio maschio, Vieri, nato il 4 ag. 1500.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Cerchi, 45; 123; 166, cc. 257 ss.; 168, cc. 206 s.; 169, passim; 170, cc. 57, 240, 290, 353, 359, 404; Ibid., Signori Responsive, 9, cc. 84, 105; Firenze, Bibl. nazionale, Manoscr. Passerini, 8; 187; Ibid., Poligrafo Gargani, 565; M. Sanuto, Diarii, I,Venezia 1879, p. 121; G. Cambi, Istorie…,in Delizie degli eruditi toscani, XXI (1785), p. 16; F. Cionacci, Storia della beata Umiliana de' Cerchi, Firenze 1682, pp. 226 ss.; S. Morpurgo, I Manoscritti della R. Bibl. Riccardiana, I,Roma 1900, pp. 126 s.; I. Del Lungo, Storia esterna, vicende, avventure d'un picciol libro de' tempi di Dante, I,Milano-Roma-Napoli 1917, pp. 72 s.; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280 al 1295, Milano 1966, pp. 194, 198 s., 208, 213, 215, 217.