BILANCIO (VII, p. 11; App. II, 1, p. 403; III, 1, p. 238)
Il bilancio dello stato. - La disciplina del b. dello stato è stata profondamente modificata con la l. 1° marzo 1964, n. 62. Con tale legge, infatti, è stata modificata la decorrenza dell'esercizio (che prima andava dal 1° luglio di ogni anno al 30 giugno successivo), portando a far coincidere l'anno finanziario con l'anno solare. Tale modifica rende coerenti i risultati del b. dello stato con quelli del b. economico nazionale e allinea il nostro paese alla quasi totalità degli altri paesi della CEE. Giova avvertire, peraltro, che è stato conservato il cosiddetto "mese suppletivo", spostandolo da luglio a gennaio; com'è noto, scopo del mese suppletivo è quello di consentire, pur dopo la chiusura dell'anno finanziario, la riscossione e il pagamento di entrate accertate e di spese impegnate, evitando di portarle a "residui". Con la stessa legge del 1964 si è disposto, inoltre, quanto appresso:
a) lo stato di previsione delle entrate e gli stati di previsione delle spese, con gli allegati b. delle aziende autonome e con il quadro generale riassuntivo, formano oggetto di un unico disegno di legge, laddove, per il passato, gli stati di previsione delle spese formavano oggetto di separati disegni di legge (lo stato di previsione del ministero del Tesoro comprendeva anche lo stato di previsione delle entrate e il "riepilogo generale del bilancio preventivo");
b) la vecchia classificazione delle entrate e delle spese in "ordinarie" e "straordinarie", nonché in "effettive" e "per movimento di capitali" è soppressa. In sua vece, le entrate vengono classificate in: titoli, secondo la provenienza; categorie, secondo la natura; rubriche, secondo l'amministrazione (Finanze, Tesoro, ecc.) alla quale è affidato l'accertamento; capitoli, secondo il rispettivo oggetto. Così il titolo I contempla le entrate tributarie, a loro volta distinte in: cat. I, imposte sul patrimonio e sul reddito; cat. II, tasse e imposte sugli affari; cat. III, imposte sulla produzione, sui consumi e dogane; cat. IV, monopoli; cat. V, lotto, lotterie e altre attività di giuoco. Il titolo II riguarda le entrate extratributarie (dalla cat. VI alla XII) e il titolo III (cat. XIII, XIV e XV) riguarda le entrate derivanti da alienazione e ammortamento di beni patrimoniali e da rimborso crediti.
A loro volta, le spese vengono classificate in due titoli: spese correnti e spese in conto capitale; a parte sono raggruppati gli importi relativi ai rimborsi di prestiti. Nell'ambito dei due titoli, le spese vengono distinte in sedici categorie, avuto riguardo agli schemi di contabilità nazionale (servizi degli organi costituzionali dello stato, personale in attività di servizio, personale in quiescenza, acquisto di beni e servizi, ecc.). La classificazione funzionale delle spese, espressa in dodici sezioni (amministrazione generale, difesa nazionale, ecc.) mira a porre in rilievo l'entità degli oneri di b. relativi a ciascuna attività (funzione) svolta dallo stato, indipendentemente dalla considerazione degli organi amministrativi competenti.
Infine le rubriche (servizi generali, amministrazione civile, ecc.) realizzano la classificazione amministrativa delle spese.
Le vecchie espressioni di "avanzo", "pareggio" o "disavanzo", effettivo o finanziario, sono scomparse anch'esse e ci si limita a parlare di "risultati differenziali". Non può dirsi che tutte le innovazioni di cui sopra siano pienamente soddisfacenti, né che costituiscano un sostanziale progresso rispetto alle tradizionali classificazioni che avevano, oltretutto, il pregio della chiarezza. Malgrado gli sforzi lodevolmente compiuti dalla Ragioneria generale dello stato, l'esperienza dimostra quanto fosse esatta l'opinione di chi (D'Ippolito) dichiarava, fin dal 1966, che si era "ancora lontani dall'avere a disposizione i dati conoscitivi necessari per l'auspicata effettuazione di un efficace controllo di merito".
Nel frattempo altri problemi, di carattere sostanziale, sono venuti in evidenza.
Un primo problema, sempre attuale, è quello dell'alternativa da darsi al b. "di cassa" su quello di "competenza" (com'è noto, il b. preventivo di cassa indica le somme che si prevede saranno incassate ed erogate durante l'esercizio, mentre il b. di previsione di competenza prevede le entrate che saranno "accertate" e le spese che saranno "impegnate"). È tuttavia da precisare che il problema della preferenza da dare all'uno o all'altro sistema assume rilevanza particolare per le spese, mentre - per motivi diversi - può considerarsi di assai minor rilievo per quanto riguarda le previsioni di entrata. Il problema si pone in relazione a tre motivi:
a) all'esigenza di un più stretto collegamento tra la programmazione economica nazionale e il b. dello stato;
b) alle richieste della Comunità economica europea di presentare i dati del b. italiano in termini di operazione di cassa, analogamente a quanto praticato dagli altri paesi comunitari;
c) all'esigenza, infine, sempre più avvertita che governo e parlamento siano posti in condizione di conoscere, in sede preventiva e in sede di consuntivo: l'effettiva dimensione dei movimenti di cassa; l'impatto effettivo della spesa e dell'entrata sull'economia nazionale, allo scopo di valutare il presumibile disavanzo di cassa del b. dello stato; il conseguente volume del ricorso al circuito finanziario (ivi comprese le operazioni di tesoreria) che lo stato deve operare per soddisfare le proprie esigenze; la compatibilità della spesa pubblica, nel contesto delle risorse disponibili.
Non appare, invece, fondata l'argomentazione di taluni, secondo i quali il b. di cassa offrirebbe il vantaggio di eliminare la gestione dei cosiddetti "residui" (cioè di quelle spese e di quelle entrate, che pure accertate e impegnate nel corso di un esercizio, slittano al successivo esercizio o, anche, ai successivi). L'argomento, infatti, è puramente formale; il problema di sostanza, specialmente con riferimento alla spesa, è un altro: i residui passivi, quando non sono rapidamente eliminati, ma si trascinano di esercizio finanziario in esercizio finanziario e si accumulano fino a limiti insopportabili (al 31 dicembre 1974, 12.365 miliardi di lire), denotano una condizione di scarsa efficienza dell'amministrazione, che si traduce in un allungamento patologico dei cosiddetti "tempi tecnici" della spesa.
D'altra parte è da riconoscersi che il b. di competenza - soprattutto con riferimento alla spesa - pone limiti precisi all'entità delle obbligazioni che l'esecutivo può assumere.
Premesso che la varietà e la complessità delle forme nelle quali si estrinseca l'azione finanziaria dello stato non consentono l'adozione di forme pure di b. (pura "cassa" o pura "competenza"), ma piuttosto sistemi misti, nei quali prevale l'una o l'altra forma, si possono indicare, in via astratta, soluzioni diverse ai problemi sopra accennati:
a) mantenimento del b. di competenza, con obbligo da parte del governo di presentare al parlamento dati previsionali e consuntivi di cassa. Questo è il sistema da ultimo introdotto nel nostro ordinamento con l'art. 9 della l. 10 maggio 1976, n. 249, il cui testo recita:
"Entro il 31 gennaio di ogni anno il Ministro per il tesoro presenta al Parlamento una relazione sulla stima della previsione di cassa della gestione del bilancio (articolata secondo i criteri della classificazione economica) nonché della gestione di tesoreria relativa all'anno in corso.
Entro la fine del mese successivo a ciascun trimestre, il Ministro per il tesoro presenta al Parlamento una relazione sui risultati della gestione di cassa del bilancio e della tesoreria, con l'aggiornamento della stima della gestione di cassa relativa all'intero anno".
b) sostituzione, a tutti gli effetti, del b. di cassa a quello di competenza;
c) presentazione del b. in duplice forma, indicando le previsioni e i dati di consuntivo, tanto in relazione alla cassa, quanto alla competenza: questa formula, a differenza di quella di cui alla lettera a), comporterebbe da parte dell'esecutivo l'assunzione di un impegno non soltanto politico, ma chiaramente giuridico;
d) adozione di qualcuna fra le forme miste, tecnicamente possibili (per es., sistema di cassa per le entrate e per le spese correnti, o per alcune di esse, per es. le spese fisse; sistema di competenza per le spese in conto capitale).
Un secondo problema riguarda l'equilibrio del b.; da tempo la cosiddetta "regola del pareggio" (fondata forse sopra una più o meno consapevole assimilazione dei b. pubblici ai b. delle famiglie) è stata contestata dalla dottrina economica. Occorre aggiungere subito che tutta la nostra legislazione s'ispira al principio del pareggio (v. art. 43 della legge di contabilità di stato e lo stesso art. 81 della Costituzione). Dopo la rivoluzione keynesiana, gli economisti non dubitano più che la regola contabile del pareggio vada sostituita con quella dell'equilibrio fra domanda e offerta globale (S. Steve), un equilibrio economico al quale la dimensione e la qualità della spesa pubblica largamente contribuisce. In altri termini, il volume della spesa pubblica ha effetti determinanti sull'espansione della domanda globale e quindi del prodotto nazionale. Un primo aspetto del problema riguarda l'equilibrio di medio periodo: il frazionamento in cicli annuali dei flussi finanziari che fanno capo al b. dello stato e ne derivano è un fatto contabile, necessario ma artificioso; occorre considerare la continuità dell'attività economica del paese, nelle fasi alterne della congiuntura ora favorevole, ora avversa. Il b. dello stato funzionerebbe da strumento anticiclico, accettando deficit transitori. Ma, andando più in là, occorre porre in evidenza gli effetti strutturali del volume della spesa pubblica sull'espansione dell'economia e sulla produzione del reddito, il che vuol dire che il deficit di b. va collocato nel contesto di una situazione economica generale, dalla cui considerazione globale discende il giudizio sull'opportunità o meno di disavanzi, anche ripetuti e rilevanti del b. dello stato.
La validità di questo tipo di conclusioni è di natura indiretta: vale a dire, si è dato inizio a una diversa concezione del b. inteso, non tanto in senso contabile, quanto come elemento regolatore e propulsore e quindi come fattore determinante dell'equilibrio del mercato nel quale s'inserisce come elemento costituzionale e quindi permanente dell'attività economica. Sempre più strette, quindi, diventano le relazioni fra b. dello stato e struttura economica. Anzi, oggi il b. può identificarsi in un vero e proprio piano economico, il quale, così come tutti i piani, implica una serie di scelte.
La fissazione del volume delle attività e delle passività del b. opera nel contempo la determinazione delle risorse nazionali tra quanto dev'essere destinato alla pubblica spesa e quanto invece dev'essere destinato al settore privato. Contemporaneamente, il b. attua una redistribuzione di un'ampia aliquota del reddito nazionale tra quanti hanno concorso a produrlo, espletando così una funzione sociale che acquista sempre più rilievo mano a mano che progredisce l'attività d'intervento dello stato nell'economia in conseguenza di mutamenti di concezioni dei rapporti tra stato e cittadini, nelle quali si pone come preminente il benessere della collettività.
Solo quando il disavanzo assume dimensioni straordinarie (ricorda ancora lo Steve) e provoca "un violento aumento della domanda dello stato sulle risorse a disposizione della collettività, senza che la domanda dei privati si riduca in modo tale da conservare l'equilibrio fra domanda ed offerta globale..." ne conseguono effetti destabilizzanti sull'economia.
Purtroppo ci si convince sempre più dell'insufficienza della presentazione del b. nelle forme attuali per una valutazione adeguata delle conseguenze della politica finanziaria sull'economia. Il progressivo ampliamento dell'attività finanziaria dello stato - posto in luce dall'aumento delle spese e delle entrate - è certamente in relazione all'estendersi in tutti i paesi dell'intervento statale nell'economia. Occorre però subito precisare che tale correlazione non mette in evidenza tutta l'attività d'intervento dello stato, in quanto numerosi interventi non sono riconducibili a pure voci contabili del b. statale. Né i rimedi sono semplici: l'opportunità di adottare nuove tecniche non solo nella presentazione, ma anche nella gestione del b. è vivamente avvertita nel contesto del generale movimento in atto per ridare all'azione dello stato la necessaria efficienza.
La cosiddetta "analisi costi-benefici" trova la sua lontana origine e il suo fondamento nelle indagini degli economisti classici (fra cui il nostro M. Pantaleone) sull'utilità della spesa. La sua espressione tecnicamente più valida sembra essere ancora il cosiddetto PPBS o Planning Programming Budgeting System (letteralmente "sistema di b. della pianificazione e programmazione"), espressione tradotta dai francesi, un po' arbitrariamente ma molto felicemente, con rationalisation des choix budgetaires. Attraverso le tre fasi della pianificazione (determinazione delle scelte di massima dell'azione pubblica, riferita a un determinato periodo di tempo medio-lungo), della programmazione (ricerca della modalità di azione e degli strumenti da utilizzare per il raggiungimento dei fini) e della predisposizione del bilancio, o budgeting (traduzione in termini finanziari delle scelte compiute nelle due fasi precedenti), si vuole pervenire a una nuova metodologia per la formulazione del b. e a una nuova presentazione del b. stesso.
Ma lo scopo fondamentale è quello di migliorare il grado di razionalità nella formazione delle decisioni di entrata e di spesa pubblica e quindi pervenire a un miglioramento nell'economicità della spesa pubblica e nel controllo dell'efficienza dell'azione della pubblica amministrazione. Si passa in tal modo da un b. di risorse, nel quale vengono determinate le quantità di mezzi finanziari posti a disposizione delle singole amministrazioni, a un b. di programma, o per progetti, nel quale si concentra l'utilizzazione dei fattori disponibili verso il perseguimento di precisi obiettivi assegnati all'azione pubblica.
Bibl.: S. Buscema, L. Gangemi, P. Onida, Sui sistemi di redazione del bilancio dello Stato, in Rassegna parlamentare, ott.-dic. 1967; S. Buscema, Il bilancio dello Stato, dei Comuni, delle Province, degli Enti pubblici istituzionali, Milano 1969; F. Caffè, La "vischiosità delle procedure" nella spesa pubblica e le esigenze attuali della politica economica, in Saggi in onore del centenario della Ragioneria Generale dello Stato, Roma 1969, vol. I, pp. 127-38; G. Guarino, Efficienza e legittimità dello Stato. Le funzioni della Ragioneria Generale dello Stato nel quadro di una riforma della pubblica amministrazione, ibid.; R. Onofri, La programmazione di bilancio (PPBS), ibid.; M. T. Salvemini, Idee per un bilancio previsionale di cassa, in Bancaria, sett. 1969; S. Buscema, Il bilancio, Milano 1971; S. Steve, Lezioni di scienza delle finanze, Padova 1972; G. Zaccaria, Corso di contabilità di Stato, Teoria giuridica e sistema positivo della gestione pubblica, Roma 1972; A. Bennati, Manuale di contabilità dello Stato, Napoli 1973.