BIGLIETTO DI VISITA (fr. carte de visite; sp. tarjeta de visita; ted. Visitenkarte, Besuchskarte, Namenskarte; ingl. visiting card)
Alcuni scrittori pretendono che l'uso del biglietto di visita fosse noto ai Greci e ai Romani, fondando la loro affermazione sull'esistenza delle schedulae gratulatoriae o altre simili. È certo che sino dalla più remota antichità le notizie inviate per corriere erano accompagnate da segni o tessere per far noto il nome di chi faceva l'invio, ma un fatto così naturale non presenta alcuna analogia col biglietto di visita.
Urbani de Gheltof affermò nel 1877 che i più antichi esemplari di biglietti di visita risalgono alla metà del sec. XVI, essendo già d'allora in uso presso gli studenti tedeschi che frequentavano l'università di Padova, allorché questi si accomiatavano dai professori o dai compagni. Il Gheltof descrive anche questi presunti biglietti, e afferma che sovr'essi era lo stemma del titolare, miniato a colori, intorno al quale s'intrecciavano motti e sentenze allusive all'amico. L'errore nel quale cadde l'autore, e quanti lo seguirono, fu di attribuire il carattere di biglietto di visita a vignette adoperate per altro uso. Non si tratta di biglietti di visita, ma di simboli o ricordi di amicizia lasciati agli amici o ai professori dell'università dagli studenti tedeschi quando ritornavano in patria. Questi stemmi si trovano come fogli staccati da un libro, del quale conservano spesso la numerazione della pagina o il taglio dorato; oppure ancora riuniti in preziosi volumetti, conosciuti col nome generico di Libri amicorum e dai Tedeschi detti Stammbücher (v. albo).
Un'altra pretesa prova dell'esistenza del biglietto di visita nel sec. XVI e seguenti ci viene offerta da alcuni scrittori che, poco al corrente dei nostri usi locali, e ignorando forse la nostra lingua, supposero fossero tali alcuni piccoli biglietti con fregi e disegni entro ai quali era scritto il nome d'un santo o di una località e che venivano dati ai pellegrini in memoria di visite fatte a un convento o a un santuario.
Le prove che si allegano per dimostrare l'esistenza del biglietto di visita nel sec. XVII sono ancora meno convincenti di quelle già ricordate. Si afferma infatti che servissero a questo scopo alcune piccole vignette nelle quali l'incisore disponeva le figure in modo che tra esse vi fosse uno spazio bianco, quasi questo fosse destinato per scrivervi il nome; e così circolano come biglietti di visita le figurine dei "balli di Sfessania" del Callot o altri simili.
Al pari dei documenti iconografici, anche le prove letterarie non valgono a stabilirne l'esistenza durante il sec. XVII. Bisogna giungere al primo quarto del secolo seguente per trovare le prime origini del biglietto di visita. In un sonetto di Bernard de la Monnoye, pubblicato all'Aia nel 1716, lo scrittore francese accenna all'origine ed all'uso del biglietto di visita: J'ai sous Louis le Grand commencé d'avoir cours, e quantunque Luigi XIV abbia regnato dal 1642 al 1715, il sonetto deve ritenersi fatto con ogni probabilità dopo che il La Monnoye venne a stabilirsi a Parigi nel 1713, quando fu eletto membro dell'Accademia. Dai versi del poeta risulta che la prima forma del biglietto di visita fu quella manoscritta sopra un pezzetto di carta senza fregi. Questa costumanza fu introdotta in Italia molto più tardi, perché ancora nella prima metà del Settecento vigeva l'abitudine d'inviare un messo per annunciare in precedenza la visita del padrone. Il Goldoni nel Cavaliere di spirito (Venezia 1755) fa dire al servo Merlino spedito a donna Florida: "Signore, il mio padrone... d'essere a inchinarla le chiede la licenza", secondo il cerimoniale usato in Francia.
La prima notizia dell'uso del biglietto di visita manoscritto in Italia fu pubblicata nel 1886 dal Giornale d'erudizione, che la tolse dal codice moreniano 186, fondo Bigazzi, ove alla p. 158 si legge: "In Firenze da alcuni anni in qua chi va a far visita e nol trova in casa lascia una polizza dove è scritto il nome di chi voleva onorare quel tale". Si può ritenere che l'anonimo cronista scrivesse fra il 1731 e il 1734, e forse più probabilmente nel 1731, di modo che questa si può accettare come data sicura del primo uso del biglietto di visita manoscritto in Firenze. Un'altra testimonianza ineccepibile sulla provenienza francese ci è offerta dal Goldoni nella commedia Il cavaliere Giocondo (Venezia 1783). L'azione comincia così: il cavaliere sta scrivendo il suo nome sopra molti pezzetti di carta e alla domanda del maestro di casa a che cosa debbano servire quei biglietti, risponde:
In visite una volta spendeva tutto il giorno,
Ora con i biglietti supplisco ad ogni impegno.
Ah i francesi, i francesi hanno il gran bell'ingegno!
Ma questo semplice polizzino di carta, grazie alla genialità del bulino degl'incisori italiani, si trasformerà ben presto in opera d'arte. A tanta distanza di tempo torna difficile stabilire con esattezza quando il biglietto manoscritto si sia trasformato in quello inciso, anche perché per un certo tempo le due forme sussistettero una a fianco dell'altra. Quando, in collaborazione con Henry Prior, A. Bertarelli pubblicò un volume sul biglietto di visita (v. bibl.), gli autori studiarono parecchie migliaia di biglietti di visita, nell'intento di ricavare dai cognomi e dalle unioni matrimoniali l'assoluta certezza che alcuni di essi fossero stati eseguiti fra il 1740 e il 1750, ma l'esame fu negativo. La prova completa non poteva essere fornita che da un biglietto di visita appartenuto a un titolare morto prima del 1750, fissando così la data dei biglietti incisi.
Nel lungo lavoro di selezione fu stabilito che il più antico biglietto inciso fra quelli passati in rassegna appartenne a Carlo Majnoni, Grande di Spagna, morto nel giugno del 1757. Molti altri, appartenuti a personaggi vissuti fra il 1750-60 ma morti posteriormente, non possono fornire la data certa, quantunque il loro uso dovesse essere già comune. I varî disegni e l'uso che di essi si faceva è mirabilmente descritto dal Parini nel Vespro (circa 1765), ove sono ricordati i nomi incisi "in nuda maestade", "in antica lapide", "in trofeo sublime" o con "le domestiche insegne" ed è ricordata pure l'antica usanza che ancora vigeva di far deporre dal servo "la tessera beata" alla porta dell'amico.
Dopo il 1760 la moda diventa consuetudine comune e il periodo di seconda, produzione cessa solo al cadere del secolo. Tutti gli stili e tutti i motivi che possono nascere dalla fantasia dell'artista sono rappresentati nelle minuscole vignette. L'uso divenne così corrente che si diffuse tosto anche nella borghesia, ed oltre al biglietto di visita personale se ne vendevano altri con lo spazio bianco perché ciascuno vi scrivesse il proprio nome.
Non minore è l'interesse offerto da questa seconda specie di biglietti, perché meglio dei personali s'adattano alle modificazioni degli stili e alle influenze della moda. Così, quando si misero in luce le pitture di Pompei, gli artisti ne approfittarono per incidere danze bacchiche, vestali e combattimenti simbolici che, su fondo rosso cupo, sono ancora oggi fra i tipi più curiosi del genere. E quando si diffuse la moda della letteratura inglese, si riprodussero in piccolo le stampe inglesi allora tanto apprezzate. Lo stesso avvenne quando lo stile ispirato a motivi cinesi fu guida ai nostri artisti per decorare le ceramiche, i mobili e i salotti. Un'altra forma curiosa assunta dai biglietti di visita fu questa: il nome veniva scritto sul rovescio bianco d'una carta da giuoco, che spesso era suddivisa in due e anche in quattro parti per cavarne altrettanti biglietti.
Durante il periodo che corre dal 1760 al cadere del secolo tutti i migliori bulini italiani si prestarono a incidere le graziose vignette, sì che possiamo affermare che nessun'altra nazione può presentare, in questo campo, materiale così ricco. Il Bartolozzi, i due Schiavonetti, il Cagnoni, il Piranesi, il Volpato, Raffaello Morghen, per nominare solo alcuni fra i più celebri, non sdegnarono incidere biglietti di visita.
Sopravvenuta nel 1796 l'invasione francese, il biglietto di visita perde l'antica sua eleganza. Gli stemmi vengono sostituiti dagli emblemi repubblicani e l'affermarsi di nuove consuetudini sociali, introdotte dalla Rivoluzione, segna la fine del biglietto illustrato, poiché così era imposto anche dal cerimoniale napoleonico, che negl'inviti e nelle partecipazioni della corte sostituiva ai biglietti incisi altri fogli stampati in tipografia senza alcuna decorazione.
Bibl.: Per i Libri amicorum, cfr. Stammbücher vom sechzehnten bis achtzehnten Jahrhundert, Monaco 1896; Archivio Storico Lombardo, s. 4ª, XXXIII (1906), p. 176; per i biglietti di visita, v. Daugnon, High-life. Usi e costumi della vita elegante, Napoli 1879 (con tav.); E. Modigliani, in Emporium, gennaio, agosto e novembre 1906; A. Bertarelli e H. Prior, Il biglietto di visita italiano, Bergamo 1911, con 676 figure.