bifolco
Forma volgare del latino bubulcus; compare solo in Pd II 18 Que' gloriosi che passaro al Colco / non s'ammiraron come voi farete / quando Iasón vider fatto bifolco. Dal confronto con l'uso di bubulcus apprendiamo che il vocabolo vale, fin dall'italiano medievale, tanto " colui che è guardiano dei buoi ", e quindi " mandriano ", quanto " colui che lavora i campi con i buoi ", e quindi " ara con l'aratro trainato dai buoi ". In questo caso sarà bene interpretarlo nel secondo di questi due significati.
La difficoltà in ogni modo non nasce dal vocabolo di per sé, bensì dall'intero passo, controverso fin dall'epoca dei commenti più antichi. In esso al Tommaseo sembra di intravedere un paragone fra il solco dell'acqua che ritorna equale (v. 15) e i solchi che Giasone fu costretto a tracciare per seminarvi i denti del drago, durante la famosa impresa alla conquista del vello d'oro. Il Sapegno nota, invece, che l'incertezza consiste nell'interrogativo se il rapporto sia istituito fra l'impresa di D. e l'intera impresa degli Argonauti (Benvenuto) o fra la volontà dantesca di cantare alti argomenti e l'episodio di Giasone divenuto aratore (Buti e altri, anche moderni); il problema, che porta il Momigliano a concludere, non senza perplessità, che " il particolare intruso è trascinato dalla rima difficile ", sembra invece trovare una soluzione nel commento del Mattalia, il quale, sulle orme del Sanesi, vede un confronto non tanto con il fatto che Giasone sia diventato b., ma con " quanto egli riuscì a fare in tal veste ". Cfr. anche BOBOLCA.