BIFFOLI
Famiglia di banchieri e mercanti fiorentini, attivi a Napoli nei secc. XVI e XVII.
Angelo, figlio di Niccolò di Angelo di ser Niccolò Biffoli, nacque in Firenze il 22 febbr. 1504 di famiglia beneficiata. Trasferitosi, non prima del 1524, in Napoli, vi esercitò per circa un trentennio la mercatura.
Nel 1533 otteneva da Carlo V privilegio di immunità da qualsiasi confisca o sequestro nell'esercizio della sua attività di mercante di grano, insieme con un altro fiorentino, Francesco Nuti, naturalizzato nel Regno di Napoli. Il B. non abbandonò la cittadinanza fiorentina, sebbene risiedesse regolarmente in Napoli: è anzi assai probabile che abbia presieduto alla riorganizzazione della "natione fiorentina" in Napoli, culminata nell'approvazione, da parte del duca Cosimo nel 1550, dei nuovi "statuti et ordini": nel 1546, infatti, nella sua qualità di console dei Fiorentini, aveva provveduto a raccogliere, per chiederne la conferma, i testi dei privilegi loro concessi per il commercio nel Regno, a partire dai tempi di Ferrante I. Fiduciario degli Strozzi, il B. ne curava le rendite dei benefici ecclesiastici del Regno, e, in genere, ci appare sempre in contatto con Fiorentini nelle transazioni di cui si hanno notizie: nel settembre del 1548, con Alessandro Capponi e Filippo Guadagni, imbarcava a Barletta 500 carri di grano su una nave condotta da un ragusano; nel sett. 1550 faceva trasportare, ancora sopra una nave ragusana, 112 carri di grano da Barletta a Napoli; nel giugno 1551, per tramite di Francesco Vecchietti e di Giovanni Ricasoli, acquistava a Cosenza una partita di balle di seta.
Particolarmente legato al tesoriere del Regno, Alonso Sánchez, il B. fu implicato nelle accuse rivolte al Sánchez relativamente ad una società fra i due per fare incetta d'olio, poi rivenduto a Venezia e in terra d'Otranto, e relativamente ad una speculazione finanziaria messa in atto nel 1557, quando il tesoriere mise a profitto la notizia, conosciuta in anticipo, in virtù della sua carica, d'una prossima svalutazione del 20% della moneta.
Intorno al 1560, assai ricco (aveva recentemente aggiunto case e terre ai possedimenti ereditari della famiglia in S. Maria al Fornello) e soprattutto dotato di larga esperienza in campo commerciale e finanziario, il B. rientrò definitivamente in Firenze. Nel 1562 fu chiamato dal duca Cosimo alla carica di depositario generale, che tenne fino alla morte: fu proprio in questi anni, sotto la sua guida, che la depositeria granducale cominciò ad assumere la sua moderna funzione e struttura di tesoreria generale dello Stato.
Nel 1563 Cosimo elesse il B. al Senato dei Quarantotto, considerando, secondo quanto suggerisce l'Ammirato, "l'antica nobiltà della famiglia, la vita laudevolmente menata, le ricchezze bene acquistate, la qualità di quella singolar persona". Morì il 21 sett. 1573.
Nel suo testamento, del 24 luglio 1573, il B. lasciava eredi universali i figli del fratello Tommaso, Niccolò ed Agnolo, quest'ultimo esaltato negli annali della marineria granducale per la valorosa partecipazione alla battaglia di Lepanto.
Al figlio Francesco, invece, il B., nel citato testamento, lasciava soltanto per "sua legitima" la modesta somma di 10 scudi. Nato a Napoli, figlio naturale di Angelo e di "una tale sua donna chiamata Margherita", Francesco ne godeva la cittadinanza, e non risultano né suoi soggiorni in Firenze, né troppo stretti legami con la capitale toscana, se non di natura commerciale: a proposito dei quali è da ricordare, anche perché non dovette esservi estraneo l'interessamento paterno, il fatto che Francesco rifornisse di tele le galee granducali.
L'iniziale attività di Francesco, proseguita sulle orme del padre, fu quella di mercante. Oltre che di tele fu esportatore di grano, in società col fiorentino Raffaele Vecchietti (si ricordano le ingenti forniture di grano e orzo, inviate nel 1579 a Cartagena per l'armata spagnola, ed un invio a Cadice, nel 1582, di trentamila tomoli di grano, in società col genovese Pietro de' Franchi), e di seta, della quale, quando ne fu arrendatore il fiorentino Vincenzo Morelli, fu governatore generale per tutto il Regno. Non diversamente, inoltre, dalla maggior parte degli operatori economici del tempo, fu interessato anche nell'acquisto di entrate fiscali.
Intorno al 1580 la posizione economica e finanziaria di Francesco doveva essere assai forte; pagando pleggeria di 150.000 ducati egli ottenne di prendere il posto del già vacillante banco di Calamazza e Pontecorvo, una delle quattro compagnie che avevano ottenuto recentemente una privativa bancaria per venti anni, con divieto di istituzione di qualsiasi altro banco" Con bando del 18 sett. 1581 diveniva pubblico banchiere e depositario del ricavato d'una nuova tassa sull'olio e sul sapone.
Il "Magnifico" Francesco veniva legando sempre più le sue attività alle vicende finanziarie del Regno: "nel luglio 1582 data la penuria grande di denaro liquido che travagliava la tesoreria generale, gli stessi banchi e in genere l'intero Regno, stipulava un contratto per importare in questo 400.000 ducati di reali castigliani che, rifusi dalla Zecca in moneta napoletana, potevano fare abbassare dell'otto per cento il tasso delle entrate fiscali, che ormai si vendevano a interesse più alto" (Silvestri). Ma la revoca della privativa bancaria e, a quanto sembra, la mancata riscossione di ingenti crediti, determinarono in brevissimo tempo il suo tracollo: la notizia del fallimento del suo banco correva per l'Europa attraverso gli "avvisi" e le lettere di mercanti nel febbraio del 1583. L'artificiosità della situazione finanziaria del banco è documentabile attraverso alcuni libri del 1583-84 che ci sono conservati, ed attraverso il processo che fu intentato a Francesco da don Luigi di Toledo, che fin dal 1573 era stato in rapporti commerciali con lui e che ne aveva per larga parte finanziato il banco.
Di Francesco, che, dopo il fallimento, ebbe prima dal viceré una serie di salvacondotti, onde risparmiargli l'arresto su istanza di creditori e garanti, e che fu poi costretto alla fuga, non si hanno successivamente notizie dirette. Il processo a suo carico continuò per molti anni: sembra che il suo banco si trovasse ancora in liquidazione intorno al 1605.
A questa data Francesco era certamente morto, e ne curava gli interessi un Benedetto, forse suo figlio, o più probabilmente suo cugino e figlio di Tommaso di Niccolò, che ci appare nel 1589 come ammnistratore, per conto dei creditori, delle rendite private di Francesco, fra le quali era la sua grande casa, sulla "pedemontana" di S. Martino, divenuta poi il monastero femminile della Trinità.
Benedetto continuò ad esercitare la mercatura in Napoli, nonostante la decadenza dei traffici dei Fiorentini: egli stesso, in qualità di console dei Fiorentini in Napoli, premesso che "in quella città si fanno pochissimi negotii" supplicava il granduca, nel 1620, perché concedesse una riduzione della "tassa imposta a detto Consolato, che fu in tempi che a Napoli si negotiava assai e che il Consolato poteva reggere tal peso".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze,Carte Dei, IX, 42; Carte dell'Ancisa, GG, 354; KK, 358; Carte Pucci, III,s.v. Biffoli; Mariani, IV, c. 819; Decima Granducale, 2258, c. 170; Mediceo del Principato, 4146, I, II, III; 6414, XIII; Carte Strozziane, s. I, nn. XXIII, 8; CXXXVII, 243; s. III, n. XCVI, 117 e 135; J. E. Martinez Ferrando,Privilegios otorgados por el emperador Carlos V en el reino de Napoles, Barcelona 1943, p. 183; G. Coniglio, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo V…, Napoli 1951, pp. 125, 133, 140 s., 214; S. Ammirato,Istorie fiorentine... con l'aggiunta di S. Ammirato il Giovane, VI, Firenze 1849, p. 389; A. Ademollo-L. Passerini,Marietta de' Ricci ovvero Firenze al tempo dell'assedio, Firenze 1845, II, p. 536; R. Filangieri,I Banchi di Napoli dalle origini alla costituzione del Banco delle Due Sicilie (1539-1808), Napoli 1940, pp. 23, 25, 27; C. Belloni,Diz. stor. dei banchieri italiani, Firenze 1951, p. 41; A. Silvestri,Sui banchieri pubblici napoletani dall'avvento di Filippo II al trono alla costituzione del monopolio, in Banco di Napoli,Boll. dell'arch. stor., III(1951), pp. 7-9; H. Lapeyre,Une famille de marchands: les Ruiz, Paris 1955, p. 435; J. Delumeau,Vie économique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVI siècle, II, Paris 1959, pp. 898 s.; C. Marciani,Lettres de change aux foires de Lanciano au XVIe siècle, Paris 1962,passim.