biblioteche
La memoria del sapere
La parola biblioteca fa venire in mente, oggi come in passato, cose molto diverse: da un piccolo scaffale sufficiente a contenere le letture personali di uno studente, agli edifici imponenti che aspirano a raccogliere fra le loro mura tutto il sapere prodotto nei secoli da intere civiltà. La differenza fra una biblioteca e l'altra non dipende soltanto dalla quantità e dalla tipologia dei libri che contengono, ma anche dai servizi che offrono. In epoche
in cui ben poche persone sapevano leggere e scrivere, esistevano biblioteche destinate esclusivamente, o prevalentemente, alla conservazione dei libri. Oggi le biblioteche sono aperte a un pubblico sempre più numeroso e diversificato, mosso da esigenze di ricerca, di svago, di istruzione
La condizione essenziale per la nascita e lo sviluppo di biblioteche in una società è che esistano persone capaci di scrivere e soprattutto di leggere libri. Questa capacità, che si definisce 'alfabetismo' (alfabetizzazione), nel mondo antico era un fenomeno piuttosto limitato ed era il segno di un potere speciale, riservato a un ristretto numero di amministratori e sacerdoti.
La lettura, del resto, era un'attività impegnativa: su rotoli e codici le parole erano scritte in una successione continua, senza suddivisioni né segni di punteggiatura, e per decifrare il testo risultava più comodo sillabarlo ad alta voce (anche se esistevano persone capaci di leggere in silenzio o mormorando). Piuttosto che leggere da soli, gli antichi preferivano perciò ascoltare i testi recitati da un lettore di professione o anche dall'autore stesso di un'opera, in un auditorium pubblico o nelle case dei ricchi. La conoscenza della letteratura avveniva principalmente per via orale.
Le opere che si volevano conservare erano depositate presso un tempio o nella sede di un'istituzione pubblica o privata. Per esempio, nell'Atene del 5° secolo a.C. una copia dei testi delle grandi tragedie scritte per il teatro era custodita nell'archivio di Stato, mentre nelle scuole filosofiche si producevano e conservavano libri (sotto forma di rotoli di papiro e più tardi anche di pergamena) che potevano essere consultati e utilizzati soltanto dai maestri e dai loro seguaci. Le prime biblioteche che potremmo definire 'pubbliche' (ma in un senso molto ristretto) furono quelle di età ellenistica: tutti conoscono la mitica biblioteca di Alessandria, voluta (nel 3° secolo a.C.) dal re Tolomeo I d'Egitto con l'intenzione di raccogliere, in migliaia di volumi, il complesso del sapere umano. Non si deve credere però che queste biblioteche fossero aperte a chiunque, come quelle di oggi: solo gli 'addetti ai lavori', letterati e studiosi, erano autorizzati a frequentarle.
Gli scavi di un'altra celebre biblioteca ellenistica, quella di Pergamo (nell'attuale Turchia), hanno rivelato la presenza di una sala decorata su tre lati da statue di autori, nella quale si riunivano i dotti, mentre i rotoli erano accumulati in tre piccole stanze-magazzini. Anche il mondo romano si rivela ricco di biblioteche, sia pubbliche (specie in età imperiale) sia private. E non mancavano neppure ‒ come in tutte le epoche ‒ gli ignoranti che collezionavano grandi quantità di libri su scaffali alti fino al soffitto, limitandosi a sfoggiarli orgogliosamente, ma senza leggerne neppure una riga!
La decadenza dell'Impero Romano determinò, fra le molte conseguenze negative, anche una crisi insanabile della sua organizzazione culturale. Mentre a Roma e nelle province esistevano artigiani e scribi professionisti che fabbricavano libri nelle botteghe librarie e nelle case private, nei primi secoli del Medioevo il compito della produzione e della conservazione della cultura scritta fu ereditato dalle istituzioni religiose (abbazie e vescovati).
Quando si pensa alla biblioteca di un monastero, viene in mente l'immagine di un luogo ampio e solenne, arredato da lunghi banchi di legno su cui spiccano codici grandi, sfarzosamente decorati e ricoperti da legature preziose. Questa tipologia di biblioteca è realmente esistita, ma soltanto in epoche più tarde: la biblioteca monastica, al contrario, non era uno spazio aperto a chi voleva leggere o studiare. La sua funzione era un'altra: quella di custodire i libri, che nel Medioevo erano, come lo sono oggi, in forma di codice ed erano considerati parte del patrimonio prezioso del monastero, proprio come i terreni, gli edifici, il bestiame, gli arredi ecclesiastici. Il costo di un singolo libro era, infatti, elevatissimo e poteva addirittura raggiungere quello di una casa: basti pensare che la pergamena (che si ricavava dalla lavorazione di pelli di pecora, di capra o di vitello) era un materiale pregiato, e un volume di 400 pagine, di medie dimensioni, richiedeva il sacrificio di ben cento animali, vale a dire di un intero gregge.
I manoscritti che circolavano nei monasteri erano pochi e di qualità spesso modesta o addirittura scadente (fino al punto che la pergamena poteva essere deturpata da tracce di peli o da fori anche vistosi). I testi più comuni erano quelli necessari alle celebrazioni religiose, che di solito rimanevano esposti sull'altare e nel coro, oppure erano tenuti gelosamente sotto chiave in sacrestia. Altri libri contenevano letture per il nutrimento dello spirito (vite di santi o preghiere), che nei monasteri si distribuivano una volta all'anno, all'inizio della quaresima. C'erano inoltre libri per le letture quotidiane che si svolgevano all'ora dei pasti nel refettorio ed eventualmente libri per la scuola.
È assai raro che i manoscritti prodotti e conservati in un monastero siano rimasti lì fino ai giorni nostri: molto più spesso sono andati in larga parte perduti, e quelli rimasti si trovano sparsi nelle biblioteche del mondo intero. Quando non ci rimangono cataloghi o inventari antichi (la cui interpretazione non è affatto semplice), l'unica via per cercare di ricostruire la composizione di una biblioteca altomedievale consiste nell'esaminare direttamente i libri superstiti, alla ricerca di tracce della loro provenienza. Fra gli indizi più significativi ci sono le cosiddette 'note di possesso' tracciate sulle pagine iniziali e finali dei manoscritti, che dichiarano: "Questo libro è di proprietà del monastero …", e a volte invocano il castigo divino su chi si fosse azzardato a sottrarlo. Spesso, però, queste note sono state accuratamente cancellate proprio da chi aveva interesse a occultare le prove di un'appropriazione fraudolenta.
Tra la fine dell'11° e l'inizio del 12° secolo, per effetto di un insieme di trasformazioni complesse (economiche, politiche, sociali e culturali), la vita culturale smette di essere confinata all'interno dei monasteri e si diffonde nuovamente nelle città, in cui si afferma un nuovo ceto borghese composto da mercanti e artigiani.
In questo contesto nascono e si sviluppano, dal 12° secolo, le università medievali (come quelle di Bologna, Parigi, Oxford): è naturale che queste diventino luoghi fondamentali per il consumo, la produzione e la conservazione di testi e di libri. Molti dei professori e degli studenti delle università erano membri di ordini religiosi (domenicani e francescani) che si trasferivano nelle grandi città e avevano bisogno, per studiare, di libri e di biblioteche. Per ragioni di tempi e di costi, era impossibile trascrivere in poco tempo tanti libri nuovi e le biblioteche dovevano quindi ricorrere a sistemi diversi per formarsi e per arricchirsi. Per esempio, capitava spesso che i docenti, alla loro morte, lasciassero in eredità i propri libri al collegio universitario presso il quale avevano insegnato. Lo svantaggio è che poteva trattarsi di testi un po' invecchiati e per di più tutti i professori possedevano pressappoco gli stessi libri, cosicché la biblioteca si arricchiva di una massa di doppioni inutili e rischiava di rimanere priva delle opere più recenti.
Altri libri potevano essere acquistati nuovi o di seconda mano, o scambiati fra conventi appartenenti a uno stesso ordine; più raramente erano scritti dagli stessi frati, i quali, a differenza che in passato, preferivano impegnare il proprio tempo nella predicazione.
Sempre in questo periodo si assiste a un fenomeno nuovo: per guadagnarsi da vivere molti studenti, preti o notai, iniziano a ricopiare libri su commissione, in cambio di un compenso per la propria attività. Scrittura e libro smettono così di essere opera gratuita di pia penitenza e si trasformano in un vero e proprio lavoro retribuito, che produce ricchezza.
A differenza delle biblioteche monastiche, che erano piccole stanze chiuse destinate alla conservazione dei libri, le biblioteche dei collegi universitari mostrano una struttura molto simile a quella delle chiese gotiche, con due file parallele di banchi separate da un corridoio centrale. I libri di uso più frequente (di teologia, diritto, filosofia, medicina) erano conservati in orizzontale (diversamente da oggi) su un ripiano aperto, sotto ciascun banco, in modo che chi ne aveva bisogno poteva leggerli liberamente ‒ anche se, per impedire che fossero rubati (da studenti o professori!), erano assicurati con pesanti catene. Oltre alla biblioteca di consultazione, ogni sede aveva una seconda biblioteca 'segreta', chiusa a chiave in uno o più armadi, i cui volumi potevano essere prestati.
Ma quanti erano i libri posseduti da una biblioteca universitaria medievale? Ne esistevano, naturalmente, di grandi e di piccole, ma per avere un'idea possiamo fare l'esempio della biblioteca della famosa università parigina della Sorbona, che alla fine del 13° secolo possedeva circa mille volumi: una cifra che a noi moderni può sembrare modesta, ma per l'epoca era invece considerevole.
Nel tardo Medioevo, come anche ai giorni nostri, il libro non era solo uno strumento di studio: nelle corti signorili si leggevano Bibbie o libri di preghiere (libri d'ore), ma anche cronache, poemi cavallereschi, testi di narrativa o di tattica militare, sia in latino sia nelle diverse lingue volgari europee. I libri di corte erano spesso forniti di decorazioni e illustrazioni raffinate (miniature), realizzate talvolta da artisti rinomati.
Durante l'Umanesimo i grandi eruditi, che erano spesso amici e consiglieri dei signori dell'epoca, diedero un contributo importante alla trasformazione delle raccolte di corte in biblioteche veramente pubbliche, cioè accessibili a tutti, e non soltanto a una categoria specifica di utilizzatori, come dotti o studenti. Molti umanisti furono anche grandi bibliofili ‒ cioè amanti dei libri ‒ e proprietari di importanti collezioni, ricche di testi di autori latini e greci. Spesso manifestarono il desiderio che le loro biblioteche personali venissero aperte al pubblico dopo la loro morte e in qualche caso riuscirono anche a realizzare il loro sogno.
Gli esempi di biblioteche signorili o umanistiche aperte al pubblico sono numerosi. Vale la pena di ricordarne almeno due, che ancora oggi possono essere visitate: la Biblioteca di S. Marco a Firenze e la Biblioteca malatestiana di Cesena, la cui sala di lettura ha conservato fino ai giorni nostri l'aspetto che aveva nel 15° secolo.
Nel corso del Cinquecento, le grandi biblioteche si trasformano infine in vere e proprie biblioteche di Stato, come la Biblioteca Marciana di Venezia e la Biblioteca medicea laurenziana di Firenze, dovute l'una all'eredità di un umanista bizantino (il cardinale Bessarione), l'altra alla volontà dei Medici, signori della città. La biblioteca di Stato affianca alla funzione pratica di luogo di studio una funzione simbolica altrettanto importante: quella di monumento dell'arte libraria e del prestigio dello Stato stesso.
Dopo la fine del Medioevo e il tramonto definitivo del libro manoscritto inizia per la storia delle biblioteche una nuova fase, dalle vicende assai varie e complicate. È importante però tenere a mente che la maggior parte delle tipologie di biblioteca ancora oggi esistenti nasce dall'evoluzione di modelli del passato: per esempio, molte delle biblioteche che oggi chiamiamo 'nazionali' ‒ come la Bibliothèque nationale de France di Parigi, la British Library di Londra o la Biblioteca apostolica vaticana ‒ sono il prolungamento naturale di antiche biblioteche reali o principesche.
Non ci dobbiamo quindi stupire se al giorno d'oggi la parola biblioteca può essere adoperata per definire raccolte librarie molto diverse fra loro: per la quantità di volumi posseduti; per gli argomenti trattati; per gli spazi fisici in cui i libri sono conservati; infine, per il pubblico che le frequenta e per le norme che ne regolamentano l'uso. Non basta pertanto distinguere tra biblioteche private, la cui composizione dipende dagli interessi e dalle possibilità economiche dei proprietari, e biblioteche pubbliche, di proprietà dello Stato, di un Comune o di una Regione, che garantiscono a tutti l'accesso ed eventualmente anche il prestito temporaneo di singoli libri.
La situazione attuale è molto varia: l'apertura di una biblioteca al pubblico può essere vietata o limitata, persino quando si tratta di una biblioteca pubblica. Un caso estremo è rappresentato dalle raccolte private di libri rari e lussuosi, di proprietà di ricchi collezionisti, delle quali, in molti casi, non si conosce neppure l'esistenza. All'estremo opposto troviamo la biblioteca scolastica, o la biblioteca di quartiere, dove anche un bambino o un ragazzo può ottenere immediatamente una tessera d'ingresso e prendere libri in prestito. Nel mezzo stanno le migliaia di biblioteche 'di studio', dove può entrare soltanto chi è in possesso di determinati requisiti (ricercatore, membro di un'associazione o di un ente) o di uno specifico titolo di studio. Alcune di queste biblioteche conservano manoscritti e libri rari, il cui accesso è ovviamente limitato da norme molto severe. Così, il sostantivo 'biblioteca' può essere applicato a realtà profondamente diverse e corrispondere a un ampio ventaglio di funzioni.
Una tipologia particolare di biblioteca è la Biblioteca nazionale, vero e proprio concentrato della cultura scritta di un paese, con un forte significato simbolico, di rappresentazione e di prestigio. La Biblioteca nazionale ha fra l'altro la missione di conservare in un'unica sede tutti i libri pubblicati entro i confini di uno Stato, imponendo agli editori l'obbligo di depositare un esemplare di ogni nuovo libro da essi stampato sul territorio nazionale. In Italia, per ragioni storiche, esistono addirittura quattro biblioteche nazionali centrali: a Venezia, Firenze, Roma e Napoli.
Esiste invece una biblioteca che raccoglie la totalità della produzione libraria mondiale? La Library of Congress di Washington è quella che si avvicina di più a questo ideale, ma il problema è che bisogna essere a Washington per poter leggere i libri! Per chi ha bisogno di svolgere una ricerca su un determinato argomento, è già importante, comunque, sapere sia quali libri può trovare in una data biblioteca sia dove può trovare la copia più vicina di un libro che sta cercando. A questo scopo servono i cataloghi, cioè liste di titoli - a loro volta sotto forma di libro, oppure su schede, su CD-ROM e oggi anche su Internet - che forniscono la collocazione dei volumi in una singola biblioteca o nelle diverse biblioteche di un paese o di un continente (cataloghi cosiddetti 'collettivi'). I cataloghi accessibili via Internet costituiscono la vera rivoluzione degli ultimi anni per la loro grande comodità: chiunque infatti può consultarli da casa senza recarsi personalmente in biblioteca. Perché non andare più oltre, e leggere direttamente i libri on line? L'idea è seducente e l'operazione è tecnicamente possibile: alcuni esperimenti sono stati già avviati, ma i costi sono molto elevati.