ARAGONESE, BIBLIOTECA
. In Napoli una biblioteca di corte era stata già iniziata nel 1280, con incrementi notevoli specialmente negli anni dal 1310 al 1341, ma di essa ben poco rimane per l'infelice sorte che nel 1421 ebbero i libri della Biblioteca angioina. La Biblioteca aragonese ebbe origine nei primi anni della dimora di Alfonso in Italia (1442); essa fu continuamente arricchita fino alla morte di Ferdinando I d'Aragona (1494) e divenne presto una delle più celebri del suo tempo.
L'amore di re Alfonso per i libri, attestato dagli storici contemporanei, gli fece scegliere per impresa un libro aperto, e gli umanisti che frequentavano la sua corte si adoperarono in ogni modo per procurargli copie di classici in sontuosi esemplari mirabilmente trascritti e ornati. Questa meravigliosa raccolta fu dispersa alla fine del sec. XV, parte presa da Carlo VIII nel 1495, parte venduta a Luigi XII da Isabella, vedova di Federigo d'Aragona, parte trasportata in Ispagna dal duca di Calabria. Quel che rimane si trova oggi diviso in due gruppi principali, dei quali il più ricco (348 codici) è nella Biblioteca nazionale di Parigi, l'altro (233 codici) nella Biblioteca unimrsitaria di Valencia. Alcuni altri si trovano sparsi nelle diverse biblioteche d'Europa, in maggior numero a Vienna, e in poche collezioni private. Essi si riconoscono subito per lo stemma aragonese, che si vede sempre miniato nella prima pagina e per le diverse imprese adottate da re Alfonso e da Ferdinando I: il libro aperto, la sedia con le fiamme sul sedile, l'ermellino col motto probanda o decorum: un fascio di spighe, un monte con diamanti, il vaso con cinque gigli, un rosone d'oro col motto ante siempre Aragona, imprese che si vedono anche dipinte o scolpite in diverse parti dell'edificio di Castelnuovn in Napoli. Pochi di questi codici hanno ancora le legature originali; sciupate probabilmente dai viaggi, dal tempo e dai tarli, esse furono tutte rifatte nel sec. XVIII: così il desiderio dimeglio proteggere quelle stupende testimonianze dell'arte del libro in Italia nel Rinascimento fece perdere esempî bellissimi di legature principesche, certamente le più ricche del sec. XV. Quella qui riprodotta, che ricopre un Tito Livio fatto per re Alfonso nel 1446, è assai danneggiata, ma ci può far giudicare della sua bellezza e far rimpiangere quelle distrutte.
Le sottoscrizioni apposte in fine dei codici e il ricordo dei pagamenti fatti - accuratamente indicati nelle cedole di tesoreria, che ancora si conservano nell'Archivio di stato in Napoli - c'informano largamente sull'incremento della biblioteca e sui nomi dei calligrafi e miniatori: fra i primi Jacopo Curlo, Virgilio Ursuleo, Ugo Comminelli, Giovan Marco Cinico, Venceslao Crispo, Ippolito Lunense, Giovan Rinaldo Mennio, Antonio Sinibaldi, Gherardo di Giovanni del Ciriagio; fra i secondi Alfonso di Cordova, Cola e Nardo Repicano, Gioacchino di Giovanni, Matteo Felice.
La biblioteca, come raccontano Vespasiano da Bisticci e Marin Sanudo, era disposta in una grande sala in vista del mare; i volumi erano in bell'ordine collocati negli scaffali; alcuni più grandi erano su tavolini coperti di tappeti, con rilegature scintillanti "di seda e d'oro con li zoli d'argento indorati". Le segnature, apposte in cima o in fondo di ciascun codice, recavano l'indicazione della classe a cui appartenevano, e spesso il nome Rex. Ci sono anche noti i nomi di alcuni bibliotecarî: Luigi Zestases e Gaspare Peyro, nominati da Alfonso I, Baldassarre Scariglia, Giovanni Albino e Francesco Pucci, patrizio e canonico fiorentino, dal 1491 al 1501. Scomparso l'inventario della biblioteca, per il quale il re aveva fatto comprare dal bibliotecario Scariglia nel 1453 un apposito registro, e l'altro des livres tan en parchemin que en papier, qui estoient ait chasteau d'Amboise, en nombre unze cens quarante, apportez de Napples, rimane, importante documento per la storia di questa insigne raccolta, l'elenco dei libri dati in pegno da re Ferdinando I il 19 gennaio 1481 a Battista Pandolfini, banchiere fiorentino, per riceverne 15.000 ducati occorrenti per la guerra contro i Turchi.
La Biblioteca aragonese conteneva molte opere lettearie italiane. Oltre agli umanisti, quasi tutti rappresentati, v'era Il Milione di Marco Polo, La Fiorita di Armannino Giudice, la Divina Commedia e la Vita Nova, il Decameron, la Teseide, il Filocolo e altre opere latine del Boccaccio e del Petrarca, le Rine di quest'ultimo, il Fior di virtù, il Mischino di Duracio, il Cantare della Spagna, lo Specchio di Croce, traduzioni di libri sacri, cronache locali e una Fabulu di Psiche di Alfonso Tuscano. Il resto erano libri sacri e di cultura medievale.
Bibl.: L. Delisle, Le cabinet des manuscrits de la Bibl. Impériale, Parigi 1868, I, pp. 217-260; G. Mazzatinti, La Biblioteca dei Re d'Aragona in Napoli, Rocca S. Casciano 1897, e la recensione di E. Pèrcopo, in Rassegna critica d. Letter. Italiana, II, pp. 120-130, Napoli 1987; H. Omont, La Bibliothèque d'Angliberto Del Balzo, in Bibl. de l'École des Chartes, Parigi 1901, pp. 241-250; T. De Marinis, Per la storia della Biblioteca dei Re d'Aragona in Napoli, Firenze 1909; H. Omont, Inventaire de la Bibliothèque de Ferdinand I d'Aragona roi de Naples (1481), in Bibl. de l'École des Chartes, Parigi 1909, pp. 456-470; M. Gutiérrez Del Caño, Catálogo de los Manuscritos existentes en la biblioteca Universitaria de Valencia, Valencia 1914, voll. 3.