BIBLIOGRAFIA TESTUALE
L'espressione b. t. è la tra duzione letterale dell'inglese textual bibliography, con cui si desi gna solitamente, anche se impropriamente, "la critica testuale ap plicata ai problemi... dell'edizione di testi stampati" (P. Gaskell). Sarebbe più esatto, e più consono alla situazione italiana, considerare la b. t. come riferentesi all'interfaccia fra due discipline diverse, lo studio analitico del libro stampato (v. bibliologia, in questa Appendice) e la critica testuale.
L'analisi sistematica del libro stampato in quanto prodotto materiale, per poter ricostruire il più compiutamente possibile la storia della sua produzione, è nata presso gli incunabolisti tedeschi dell'Ottocento e ha presto trovato un terreno fertile e adatto in Gran Bretagna, fra gli incunabolisti della British Library (allora biblioteca del British Museum), che si accingevano a preparare un catalogo dettagliato delle edizioni quattrocentesche conservate nella loro biblioteca. Le particolarità della storia della produzione di un libro stampato si rivelano non solo nella considerazione dei suoi elementi tipografici propriamente detti (formato, caratteri tipografici, elementi figurativi, carta, impaginazione), ma anche, e soprattutto, nella presenza, molto comune nelle edizioni antiche, di varianti all'interno dell'edizione, causate da cambiamenti nelle forme tipografiche introdotti durante la stampa. Quest'ultima particolarità aveva implicazioni testuali che non poterono non interessare anche i filologi inglesi, alle prese con i problemi della trasmissione dei testi stampati, soprattutto quelli delle opere drammatiche di Shakespeare. La textual bibliography nacque e si sviluppò nei primi quarant'anni di questo secolo a opera di studiosi inglesi quali R. B. McKerrow e W. W. Greg, entrambi filologi che si occupavano dei problemi testuali della letteratura drammatica inglese cinque-seicentesca; essa è stata poi estesa, a opera soprattutto di studiosi americani, fra cui primeggiano F. Bowers e il suo allievo G. Th. Tanselle, ad altri periodi della stampa manuale, e anche ai problemi di trasmissione (che non sono meno complessi e meno preoccupanti) posti dalla stampa meccanica e da quella elettronica degli ultimi anni. Oltre alla collazione multipla, necessaria per determinare l'eventuale presenza, nelle edizioni esaminate, di varianti interne che potevano avere un peso importante per la recensio, la textual bibliography ha incoraggiato in modo particolare lo studio dettagliato dei caratteri tipografici usati nella stampa di un libro, tale da permettere, per es., l'identificazione di determinate serie di caratteri e, quindi, l'eventuale partecipazione in diverse parti di un'edizione di più compositori, ognuno con le sue abitudini e le sue preferenze grafiche.
In Italia c'è una lunga tradizione, che risale almeno alla prima metà del Settecento, di studi sulla stampa antica, ma essa ha privilegiato soprattutto gli aspetti artistici, culturali ed economici del libro stampato, non quelli tecnici. Ciò non ha impedito che si trovassero in Italia, contemporaneamente allo sviluppo della textual bibliography di lingua inglese, ma del tutto indipendentemente, due esempi insigni di b. t. ante litteram: l'edizione dell'Orlando Furioso di Ariosto allestita nel 1928 da S. Debenedetti, e il lavoro fatto negli anni Trenta da M. Barbi e F. Ghisalberti sul testo critico dei Promessi Sposi di Manzoni, entrambi basati sulla collazione multipla. Ciò dimostra che almeno il presupposto più importante della b. t. − la presenza di varianti interne in edizioni di tutti i periodi − vale non solo per l'editoria inglese, ma anche per quella italiana; il fatto che l'esempio di Debenedetti e di Barbi in questo campo, benché largamente ammirato, non sia stato generalmente seguito si spiega con la poca preparazione della maggioranza dei filologi italiani nel campo dell'analisi bibliografica. Un altro ostacolo, di ordine pratico, all'adozione di un approccio bibliografico tecnicamente agguerrito da parte dei filologi italiani nella preparazione di edizioni critiche di testi stampati è stato la scarsità, fino a tempi recentissimi, di strumenti bibliografici adeguati per identificare e documentare la ricchissima produzione libraria italiana di tutti i secoli, ma soprattutto di quelli antichi.
Il modo di essere di un determinato libro a stampa, quale viene rivelato dalla documentazione superstite, che comprende, fra l'altro, il materiale ricavabile dall'analisi degli esemplari superstiti, può avere una certa influenza sulle operazioni del filologo che si occupa della costituzione del testo ivi contenuto. Mentre per tutti i periodi della stampa, ma soprattutto per il Quattrocento e il Cinquecento, si possono trovare casi in cui il testimone o i testimoni stampati costituiscono una parte soltanto della storia della trasmissione di un testo (dove l'altra parte, che può essere anche quella più importante, consiste invece in testimonianze manoscritte) o anche casi in cui le testimonianze a stampa, o le prime testimonianze a stampa, discendono indipendentemente da copie diverse di un originale perduto, la situazione caratteristica della trasmissione a stampa è quella di una serie di testimonianze collegate tra loro da un rapporto genetico. Un esempio di tale situazione si ha con le tre edizioni ferraresi (1516, 1521, 1532) dell'Orlando Furioso, per le quali anche il manoscritto autografo dell'episodio di Olimpia (ora conservato tra i Frammenti autografi del poeta alla Biblioteca Ariostea di Ferrara), andato in tipografia insieme con quello delle altre aggiunte fatte dall'Ariosto per l'edizione del 1532, rientra in questa serie genetica di testimonianze. In un rapporto di questo tipo, non c'è posto per il concetto di archetipo; tanto più che, per le operazioni necessarie a stabilire il momento in cui, per la mancanza di nuovi interventi d'autore, la catena di edizioni si muta in una catena morta, assumono rilevanza le varianti cosiddette indifferenti. A queste diversità fra la filologia dei testi a stampa e quella lachmanniana o neo-lachmanniana se ne deve aggiungere un'altra più generale, che investe tutte le tradizioni in cui figurano edizioni stampate: il fatto cioè che l'eventuale presenza di varianti testuali in un'edizione a stampa sconvolge la costruzione convenzionale degli stemmi, dal momento che un'edizione con varianti interne ha una doppia faccia. Se considerata nei suoi rapporti verso l'alto, con le testimonianze più antiche della tradizione, l'edizione viene rappresentata non dal testo di uno o di un altro esemplare, ma da quello che converge nell'edizione considerata come insieme degli esemplari (in quella cioè che si designa come l'esemplare ideale dell'edizione), testo che bisogna quindi ricostruire tenendo conto di tutte le varianti interne; mentre nei suoi rapporti verso il basso, come trasmettitrice del testo a testimonianze più tarde, essa verrà quasi sempre rappresentata dal testo di un unico esemplare, con tutte le imperfezioni che ciò può comportare.
La trasmissione a stampa assume rilievo anche per l'atteggiamento che deve assumere il filologo verso l'aspetto linguistico delle edizioni prese in esame. Oltre al fatto che problemi tecnici (cassa inquinata, errori di computo nell'impaginazione del materiale mandato in tipografia, ecc.) possono minacciare la purezza e perfino l'integrità del testo, lo studioso deve fare i conti con il fatto che spesso la veste linguistica originaria di un testo cambia (si corrompe) da edizione a edizione, malgrado l'eventuale presenza di varianti d'autore in edizioni seriori.
Bibl.: F. Bowers, Principles of bibliographical description, New York 1962; P. Gaskell, A new introduction to bibliography, Oxford 1972; Lessico Intellettuale Europeo, Trasmissione dei testi a stampa nel periodo moderno, a c. di G. Crapulli, vol. i, Roma 1985; vol. ii, ivi 1987; Filologia dei testi a stampa, a cura di P. Stoppelli, Bologna 1987; C. Fahy, Studi di bibliografia testuale, Padova 1988.