BIBIENA
Famosa e numerosa famiglia bolognese di architetti e decoratori teatrali di cognome Galli. L'aggiunto "Bibbiena", poi "Bibiena", designa la loro provenienza dal Casentino.
Giovanni Maria, da Bibbiena, operoso sin verso il 1665, dipinse figure e paesaggi sul fare dell'Albani, nella cui bottega si trovava circa il 1642. Ebbe tra altri figli una femmina, Maria Oriana (1665-1749), mediocrissima pittrice, e Ferdinando e Francesco, dai quali muove la fama della famiglia.
Ferdinando (1657-1743) apprese la pittura dal Cignani, ma si sentì più attratto all'architettura. La sua fantasia lo portò di preferenza verso il teatro, ma costruì pure e decorò edifici sacri e civili, specialmente nel ducato di Parma, dove per ventotto anni rimase a servizio di quei duchi. Compose inoltre alcuni libri di teoria prospettica di cui la parte più notevole è quella relativa alle scene vedute in angolo, ultima maniera (diceva Giampietro Zanotti) da lui mirabilmente trovata, la quale consisteva nel mostrare la scena non sull'asse, ma impostando, in mezzo o circa, un angolo dell'edificio da cui divergevano o si avanzavano i due lati. La prima chiamata all'estero gli venne dalla corte austriaca; di là passò in altri paesi, senza però trascurare l'Italia, che lo applaudì per superbi scenarî, da Venezia a Torino, da Milano a Roma, da Firenze a Napoli.
Francesco (1659-1739), spirito franco e caritatevole, non fu meno grande del fratello nel decorare e nel costruire, né meno ricercato da principi stranieri. Predilesse Vienna e la Germania, ma andò anche in altri paesi. A Nancy resta un suo graziosissimo teatro. Fece in Verona il Filarmonico che, bruciatosi nel 1749, fu ricostruito sullo stesso disegno, e, come il teatro Falcone di Genova, conserva il singolare tipo trovato da Andrea Seghizzi, dei palchi gradualmente salienti e sporgenti a muovere dalla "bocca d'opera". Francesco diede all'arte un solo figlio: Giovanni Carlo (1700?-1760), vissuto a lungo e morto a Lisbona; Ferdinando, invece, ne diede ben quattro. Di essi, Giovanni Maria fiorì tra il 1739 e il 1769 in Praga; e Alessandro (1687-1768?), architetto generale e pittore della corte dell'Elettore Palatino, costrusse, fra l'altro, in Mannheim l'ala destra del castello e una chiesa assai originale, principalmente nella pianta. Ma i due figli, emuli della gloria paterna, furono Giuseppe e Antonio.
Giuseppe (1696-1757) fu chiamato dal padre a Barcellona quando era ancor giovinetto e di là condotto a Vienna, dove rimase a lungo. Vi sostituì anzi il padre quando questi, per l'indebolimento della vista, se ne fu tornato a Bologna. Dice il Zanotti "che niuno mai dalla natura tanto ebbe di quel talento che bisogna per la sua arte". Svelto nell'eseguire, ricco di fantasia, indefesso nel lavoro, operò per dieci.
Si registrano di lui "più di trenta nobili funerali", celebrati coi suoi disegni nella sola Vienna; ma altri ne elevò altrove. Per la incoronazione dell'imperatore Carlo VII, costruì in Praga un anfiteatro capace di ottomila persone, e per altre solennità lavorò a Dresda, a Monaco, a Praga, a Breslavia, a Graz, a Linz, dove nel 1723 introdusse per la prima volta nelle scene le decorazioni trasparenti. Preparò, inoltre, sacre rappresentazioni, feste nuziali, trionfi. Troppo lungo sarebbe seguirlo nell'irrequieta sua vita di viaggi e di lavoro. Ricordiamo però che a Bayreuth, insieme col figlio Carlo, eseguì l'architettura e la decorazione del teatro di corte che rimane ancora non lontano da quello ideato per le sue opere da Riccardo Wagner.
Antonio (1700-1774) fin da fanciullo fu portato a Roma dallo zio Francesco, che vi costruiva il teatro d'Aliberti o delle Dame. Indi, giovane ancora, si diede a girare e ad operare per mezza Europa, da Vienna a Pietroburgo, da Buda a Belgrado. Tornato in Italia, dipinge grandi scene a Milano, edifica teatri a Siena, Pistoia, Livorno, Pavia, Mantova; trasforma la Pergola di Firenze. Ma è per la sua Bologna ch'egli compie l'opera più bella, il Teatro comunale, contrastata sino all'ultim'ora dalla lotta violenta d'invidi competitori.
Infine, da Giuseppe nasce Carlo (1728-1780?), l'ultimo artista della famiglia. Giovine ancora entra al servizio del margravio di Bayreuth e dimostra subito un vivido talento decorativo in macchine alzate per nozze, e aiutando il padre per il teatro ricordato. Anch'egli passa di città in città, di corte in corte, lavorò specialmente a Brunswick e a Monaco. Quando in Germania si scatena la guerra, torna in Italia, o se ne va per la Francia, le Fiandre, l'Olanda, l'Inghilterra, e, pare, anche in Russia. La pace lo conduce a Berlino, ma già avanti con gli anni risente la nostalgia dell'Italia e vi torna.
I trattati architettonici-prospettici di F. G. B. sono i seguenti: L'architettura civile preparata su la geometria e ridotta alle prospettive, Parma 1711; Direzioni ai giovani studenti nel disegno dell'architettura civile, Bologna 1731 e 1745; Direzioni della prospettiva teorica corrispondente a quella dell'architettura, Bologna 1753.
V. tavv. CCXIX e CCXX.
Bibl.: O. Pollak, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, III, Lipsia 1909 (con bibl.); C. Ricci, I Bibiena, Milano 1915 (con bibl.); V. Mariani, Storia della scenografia italiana, Firenze 1930, pp. 57-61.