BIBBIA
Il termine che designa comunemente questa collezione di libri ritenuti sacri dagli Ebrei e dai cristiani deriva dal sostantivo femminile latino biblia coniato, a sua volta, sul plurale βιβλία di βίβλιον, libro: cioè "i Libri" per antonomasia. La B. viene anche chiamata Sacra scrittura, o semplicemente Scrittura, e anche questo termine ha il suo equivalente nel greco ἡ γραϕή, αἱ γραϕαί. Il numero dei libri che compongono la B. varia presso le due religioni, poiché i cristiani vi includono quella raccolta di libri che viene chiamata Nuovo Testamento, rispetto all'antico corpus ebraico, e anche in quest'ultimo fanno rientrare alcuni libri non ritenuti sacri dagli Ebrei. Qui si tratta solamente della illustrazione dell'Antico Testamento, mentre, per quella del Nuovo, v. nuovo testamento.
Libri canonici. - Presso gli antichi Ebrei palestinesi, già nel II sec. a. C. (secondo quanto riferisce il traduttore greco nel prologo alla versione dell'Ecclesiastico) la collezione dei libri sacri era divisa in: A) La "Legge" (Tōrāh) o, con termine greco, il "Pentateuco", ossia i cinque libri attribuiti a Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; B) i "Profeti" (Nĕbī'īm), suddivisi in "Profeti anteriori": Giosuè, Giudici, Samuele, Re, e "Profeti posteriori": Isaia, Geremia, Ezechiele, e i dodici "Profeti minori": Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, raccolti in un solo libro; C) gli "Scritti" (Kětūbīm) sacri (in greco "Agiografi"), relativamente ai quali le discussioni tra i legisti-teologi palestinesi durarono sino al 90 d. C. ("sinodo di Iamnia"), quando fu stabilito il principio di considerare ispirati solamente i libri scritti direttamente in ebraico, e comunque non posteriori a Esdra (con il quale si riteneva che l'ispirazione fosse venuta a cessare) e quindi furono accolti nel canone i libri: Salmi, Proverbi, Giobbe (libri poetici), Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester (gruppo dei "Cinque rotoli", Měgillot, letti ciascuno nelle sinagoghe in speciali ricorrenze), Daniele (profezia), Esdra e Neemia e Cronache (storia). Ma gli Ebrei della diaspora dovevano accettare un canone più ampio; e un canone più ampio è attestato anche dai manoscritti scoperti presso il Mar Morto. Così la traduzione dei Settanta ammise anche altri libri, donde la distinzione tra "Canone palestinese" e "Canone alessandrino". Quest'ultimo fu accolto, attraverso la versione dei Settanta, dai cristiani (con riserve, però, di Melitone di Sardi, di Origene, di S. Atanasio, di S. Girolamo e di altri) e costituisce sostanzialmente il canone cattolico, in cui, dal sec. XVI, i libri non riconosciuti come canonici dagli Ebrei - e poi dai protestanti - sono indicati con il termine di "deuterocanonici". Nell'elenco che segue i deuterocanonici sono indicati con un asterisco: A) Libri storico-legali o Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; B) Libri storici: Gzosuè, Giudici, Rut, I e Il Samuele (ovvero I e II Re, o dei Regni); I e II Re (ovvero III e IV Re, o dei Regni), I e II Cronache (o Paralipomeni), I e II Esdra (o Esdra e Neemia), *Tobia, *Giuditta, Ester (con i *passi che si trovano soltanto in greco e che S. Girolamo collocò alla fine, cap. 10,4-16,24); *I e *II Maccabei; C) Libri sapienziali o didattici: Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, *Sapienza, *Ecclesiastico (o, dal nome dell'autore, Ben Sira o Siracide); D) Libri profetici: Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruc (con la *Lettera di Geremia, che costituisce il capitolo 6 nelle Bibbie latine ed un libro a parte, prima di Baruc, nelle greche), Ezechiele, Daniele (con il *Cantico dei tre fanciulli, *Susanna, *Bel e il dragone, che nelle Bibbie latine corrispondono ai capitoli 3, 24-90, 13; 14), Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.
Apocrifi e versioni. - Naturalmente, però, il canone era una scelta, e quindi non comprendeva quella letteratura, sorta presso gli Ebrei o presso i cristiani, che aveva ugualmente argomento biblico e che, oltre a presentare un evidente interesse per la storia della letteratura e della religione, può talora riguardare anche la storia dell'arte.
Non giova allo scopo di questo articolo insistere sui testi poetici e letterari confluiti nella B. stessa (si cita, come esempio, il "Libro delle battaglie di Yahweh" ricordato da Numeri, 21-24, ma molti altri casi si possono aggiungere), poiché comunque apparterrebbero a età troppo alta per potersi rinvenire traccia della loro illustrazione. Altre leggende fiorirono sulla base della stessa tradizione biblica, insieme alla quale furono trasmesse prima e dopo la fissazione del canone. Oltre agli apocrifi giunti attraverso la tradizione manoscritta, altri sono stati scoperti da fortunati ritrovamenti archeologici: ad esempio, il papiro XII del gruppo di Chester Beatty, del sec. IV o V, contiene un frammento della Apocalisse di Enoch, ricordata da una epistola canonica di Giuda e da un'omelia di Melitone di Sardi (sec. II) e che, come vedremo, ha alcune testimonianze nell'illustrazione biblica; i manoscritti del Mar Morto ci hanno restituito una parafrasi aramaica della Genesi, ecc.
Nel considerare le varianti del racconto biblico, occorre innanzi tutto tener conto delle traduzioni della Bibbia. Il testo attuale della B. ebraica risale alla edizione masoretica (massōrāh = tradizione) che si deve datare, largamente, tra il V e l'VIII sec. d. C. Presso i Samaritani il Pentateuco presenta un testo che in qualche punto contraddice la versione masoretica e concorda invece con la tradizione dei Settanta (v. oltre). Le altre più notevoli antiche versioni della B. ebraica sono: 1) quella dei Settanta (o dei Septuaginta o dei LXX), iniziata, secondo la tradizione, sotto Tolomeo Filadelfo (284-247 a. C.) su proposta di Demetrio Falereo, bibliotecario di Alessandria. Comprende il solo Pentateuco, benché il nome sia esteso anche alle altre parti della B. tradotte in greco in varî periodi dal III sec. a. C. all'età cristiana; 2) i Targūmīn, parafrasi della B. in vari dialetti aramaici per uso delle sinagoghe. Si ricordano il Targūm babilonese, o "di Onqělōs" e il Targūm di Gerusalemme. Ma anche se la loro origine è molto antica, i manoscritti che ci sono pervenuti sono posteriori al cristianesimo; 3) traduzioni greche di Aquila, Simmaco, Teodozione, del Il sec. d. C.; 4) versione siriaca, o Pěshiṭtā; anteriore al IV sec. d. C.; 5) la Vulgata, versione latina di S. Girolamo († 420).
Dalla B. greca derivano altre versioni, tra cui si ricordano la Vecchia Latina (Vetus Latina, Itala o Italica: tali nomi designano più di una versione latina anteriore alla Vulgata), anteriore al 258 d. C.; la versione siriaca di Filosseno (503 d. C.) e le versioni copte: sahidica, bohairica, akhmimica, fayyumica, memfitica, subakhmimica, di datazione non sicura (III sec. ?).
Dal punto di vista della storia dell'arte, queste versioni sono evidentemente interessanti per controllare l'accordo tra le illustrazioni e il testo della B. negli antichi monumenti. Ancora più interessanti in tal senso sarebbero state le produzioni letterarie di argomento biblico, di cui spesso conosciamo soltanto i titoli. Nel periodo tra il 220 e il 150 a. C. (insurrezione dei Maccabei) si ebbe una intensa produzione di opere che tendevano a presentare gli argomenti biblici sotto forma di libri profani. Eusebio di Cesarea cita titoli come: Intorno ai re che regnarono in Giudea, Intorno agli Ebrei, e scrittori come: Artapano, Cleodemo (o Malco), il Pseudo Eupolemo. Un Filone il Vecchio scrisse intorno al 200 a. C. una storia di Gerusalemme in esametri; nel II sec. a. C. un Ezechiele scrisse una tragedia in giambi sugli Ebrei nel deserto. Infine notevole importanza hanno i midrāshīm (al singolare midrāsh), esposizioni dell'esegesi biblica, in particolare quelli haggadici di carattere narrativo, in cui, come si vedrà, è stato visto il nucleo di alcune illustrazioni bibliche. I midràshim sono di difficile datazione e certamente raccolgono indicazioni anteriori alla loro redazione attuale. Cronologicamente si distinguono: i tannaitici, in gran parte esegetici, del sec. 1-111 d. C.; gli amoraici, in prevalenza narrativi, dei secoli III-V d. C.; i post-amoraici.
Raffigurazioni simboliche. - Le più antiche raffigurazioni ispirate all'Antico Testamento sono nelle catacombe cristiane di Roma (per le datazioni v. P. Styger, Röm. Märtyrgrüfte, Berlino 1935 e cfr. Catacombe). Il loro numero, secondo il computo, oggi antiquato, del Leclercq, supera notevolmente quello delle raffigurazioni di soggetto neo-testamentario: 250 esempi contro 150. L'elenco comprende: Adamo e Eva (v.) nell'Eden (16 esemplari, la maggior parte posteriori al 315), Noè nell'arca (33), sacrificio di Abramo (22), Mosè si slaccia il calzare (15), Mosè fa scaturire l'acqua dalle rocce (68), la caduta della manna (I, del IV sec.), Davide con la frombola (I, della fine del III sec.), ascensione di Elia (2), Giona gettato al mostro marino, rigettato sulla riva, sotto la cocurbitacea (58), i tre giovani si rifiutano di adorare la statua di Nabucodonosor (2, del V sec.), i tre giovani nella fornace (17), Susanna accusata dai due vecchi (5), Daniele tra i leoni (40), Tobia con il pesce (3), Giobbe sul letamaio (11). Sono in tutto 15 tipi, che si ripetono quasi costanti.
A differenza delle pitture catacombali, i sarcofagi, per la natura stessa di questo tipo di monumento, non presentano la stessa coerenza nella scelta e nella trattazione dei temi biblici, e la uniformità che vi si riscontra può essere ricondotta in molti casi più alla ripetizione di schemi nelle officine che non a criteri deliberatamente adottati. Quando al repertorio pagano dei sarcofagi si sovrappongono motivi cristiani, questi sono in gran parte derivati dalla pittura catacombale; soltanto più tardi gli scultori dei sarcofagi si dimostreranno possessori di repertorî indipendenti. Lo sviluppo della tematica dei sarcofagi pre-costantiniani è stato particolarmente trattato dal Gerke (Die christl. Sark., specialmente pp. 201-206). Generalmente i temi biblici sono trattati rapidamente e per sommi capi (in maniera talmente sintetica che a volte lo stesso personaggio è raffigurato nell'atto di compiere contemporaneamente due azioni che corrispondono a periodi differenti della sua storia); soltanto in rari casi un soggetto è trattato più diffusamente: ad esempio la storia di Giona è trattata in tre episodi nei tipi derivati dalla pittura catacombale e in due in quelli autonomi. Eccezionali sono un sarcofago nel Museo Naz. Romano, in cui l'episodio di Susanna è narrato in tre scene, con andamento da destra verso sinistra, e un altro rinvenuto recentemente sotto S. Sebastiano, a Roma, con storie di Lot, nelle quali il De Bruyne ha proposto di riconoscere la derivazione da miniature. Dei sarcofagi costantiniani e post-costantiniani si tratta nelle voci Sarcofagi e Paleocristiana, arte.
Benché la scelta nel vasto repertorio offerto dalla B. sia, nelle catacombe cristiane, limitata a quei passi che potevano essere interpretati come preannunzio del cristianesimo, tuttavia la uniformità delle raffigurazioni, la loro superiorità numerica e, quasi sempre, la loro maggiore antichità rispetto alle raffigurazioni storiche a carattere schiettamente cristiano, hanno fatto supporre che la pittura cristiana di argomento biblico possa trarre origine, se non tutta, almeno in parte, da immagini ebraiche.
A tale proposito è stato osservato che l'opposizione alle raffigurazioni di soggetti sacri non fu meno viva, in un primo tempo, presso i cristiani che non presso gli Ebrei. Esiste una vasta letteratura in proposito (v. bibliografia) e il fatto che le più antiche pitture delle catacombe siano soltanto decorative (le quattro più antiche vòlte dipinte non hanno alcun simbolo cristiano) è una conferma di questa tendenza.
È stato quindi supposto che, in alcuni casi, il superamento della resistenza alla produzione di immagini bibliche presso i cristiani inducesse a prendere a modello le creazioni di quei circoli ebraici che avevano compiuto lo stesso processo. Sono infatti note raffigurazioni di soggetto biblico, trattate con intenti simbolici, e non narrativi, nelle sinagoghe di Bēt Alfa, Gerasa, Na'aran e forse di Hamman Lif (Naro), in Africa.
Benché si tratti di monumenti piuttosto tardi, si deve ritenere che essi siano eco di un tipo di rappresentazione assai più antica. Infatti, nella sinagoga di Dura Europos (v.) è accertata una prima fase della decorazione che non ha gli intenti narrativi del resto delle pitture più tarde (v. oltre) della stessa sinagoga, ma isola alcuni episodi della B. con intenti simbolici. Tale tipo di rappresentazione dovette dunque essere stimato più normale ed essere più diffuso di quello narrativo. Ad esempio, in ambiente ebraico, oltre ad almeno due raffigurazioni del sacrificio di Isacco in pitture monumentali (sull'altare di Dura e nel mosaico pavimentale della sinagoga di Gerasa), se ne può citare una su una gemma di notevole antichità (Coll. Torrey; v. C. Kraeling, Dura Europos, The Synagogue, tav. XL, 4). Quasi lo stesso tipo di altare (v.) di tali raffigurazioni ritorna nelle scene del sacrificio di Isacco in una pisside eburnea dei Musei di Berlino (V sec. d. C.), cioè in un monumento cristiano, e infine la composizione di quest'avorio è ripresa quasi alla lettera in una miniatura del sec. X dell'Evangeliario di Ečmiadzin, ora a Erivan. Esempio di continuità nell'arte cristiana di un tema iconografico le cui origini vanno ricercate probabilmente in ambiente ebraico.
In generale si può ritenere che ogni volta in cui scene bibliche appaiono separate, e non inserite in un contesto, esse siano rappresentate con intenti simbolici.
L'arte cristiana infine accentuò il simbolismo di tali raffigurazioni ponendo a lato delle singole scene dell'Antico Testamento scene del Nuovo.
Un'organica contrapposizione di episodi dei due Testamenti ci è ricordata dai trimetri attribuiti a Elpidio Rustico, medico di Teodorico, ma doveva essere allora il risultato di un'elaborazione iniziatasi anteriormente, di cui sono testimonianza monumentale i mosaici di Centcelles (v.) e, forse, di S. Costanza (v. Roma); gli affreschi (o mosaici?) che a Cimitile (v. Nola) illustravano l'Antico Testamento (dal Pentateuco ai Re) e il Nuovo in due differenti basiliche tra loro collegate ci sono descritti da Paolino di Nola († 431) che li aveva fatti eseguire (cfr. s. v. nuovo testamento; ivi anche per la porta lignea di S. Sabina a Roma, del 430 circa, con scene dei due Testamenti).
Un ipogeo catacombale del IV sec. scoperto recentemente (circa 1955) sulla via Latina, a Roma, presenta non soltanto scene tratte dai due Testamenti, ma anche altre di contenuto chiaramente pagano. Il grande interesse di questa catacomba è dato però dalla assoluta novità di moltissimi episodi rappresentati e dal modo insolito di raffigurare anche quelli già noti (per particolari su questo ipogeo si veda la voce Roma). La complessità di alcune scene, ricche di particolari, è in contrasto con il rendimento schematico usuale nel repertorio catacombale, tanto da suggerire l'ipotesi che talune pitture siano derivate da qualche grande ciclo pittorico decorazione parietale o illustrazione di libri. Circa l'origine culturale delle scene dell'Antico Testamento, è interessante la constatazione (del P. A. Ferrua) che alcuni episodi posson essere spiegati soltanto come illustrazione di midrāshīm.
Allo stesso gruppo di problemi dell'ipogeo romano appartiene la lipsanoteca, o cassetta-reliquario, eburnea di Brescia datata al IV sec. d. C. (315 circa, secondo il Delbrück). Su una superficie di pochi cmq, essa raccoglie ben 21 scene dell'Antico Testamento e 12 del Nuovo. Gli intenti simbolici della scelta sono evidenti, anzi pare che l'ordinamento generale delle scene segua un criterio liturgico (così in altri cicli cristiani, come vedremo). Molti episodi sono del tutto nuovi per l'iconografia biblica, in particolare si ha una rarissima illustrazione di I Re, 13 (due scene). Inoltre nei vari gruppi di episodi in cui la decorazione può essere suddivisa in base all'appartenenza all'uno o all'altro libro della B., sussistono alcune differenze compositive che fanno pensare a un prototipo non unitario, in cui motivi ellenistici contrastano con altri ieratici, orientali. É stato supposto che i vari gruppi di scene fossero tratti da illustrazioni della Bibbia. L'orientamento delle scene è, in alcuni casi, da destra verso sinistra, per cui si è supposto un prototipo aramaico o siriaco. Comunque in tal caso la presenza delle storie di Daniele e di Giona farebbe escludere la versione masoretica e poiché altri elementi sono in contrasto con i Settanta, anche una derivazione dal cànone alessandrino non sarebbe ammissibile: si deve pensare o a un cànone diverso oppure all'illustrazione di testi più o meno leggendari sorti, sul terreno biblico, in ambienti ebraici fortemente ellenizzati.
Rappresentazioni narrative. - L'esistenza di illustrazioni della B. di carattere narrativo ci è attestata dal monumento dell'antica pittura ebraica più importante che ci sia pervenuto: le pitture murali della sinagoga di Dura Europos, datate prima del 256 d. C.
Vi sono trattati ben 59 episodi della B., divisi in 28 riquadri. La scelta non dà una visione completa del Vecchio Testamento, sia pure antologica, ma si limita ad alcuni libri specifici (esclude, ad esempio, il Levitico, il Deuteronomio, Giosuè, Giudici) di cui segue il racconto punto per punto, con una tecnica assolutamente narrativa. Un simile ciclo non può non suscitare il problema generale del rapporto tra questi monumenti dell'arte tardoantica e paleocristiana e i cicli pittorici e i bassorilievi narrativi dell'antico Oriente; ma il Kraeling ha raccolto buone prove per dimostrare la derivazione di queste pitture da manoscritti miniati nel I sec. d. C. (cfr. la voce illustrazione per maggiori particolari). Le conclusioni di questo studioso sono in favore di illustrazioni non della B. vera e propria, ma di qualche scritto di Ebrei ellenizzanti.
La scoperta delle pitture murali della sinagoga di Dura Europos ha aperto molti problemi storici, stilistici, iconografici. Poiché Dura Europos sorgeva all'estrema periferia del mondo ellenistico è stato escluso che l'illustrazione della B. sia un'invenzione locale, e ciò ha indotto alla ipotesi di prototipi. Questi possono essere ricercati in due direzioni fondamentali: l'ambiente giudaico palestinese e il giudaismo babilonese. Soprattutto il Leveen ha insistito sulla derivazione palestinese, ma il Kraeling osserva che soltanto nel III sec. d. C. il Rabbino Yōḥānān permise presso gli Ebrei palestinesi la pittura parietale, e che quindi non vi sarebbe stato un lasso di tempo sufficiente perché tale pratica si irradiasse sino a Dura. In quanto alle terre sassanidi sull'Eufrate, lo stupore e l'ammirazione manifestati dai dipivarim provenienti da quelle zone, che visitarono la sinagoga e vi lasciarono numerosi graffiti, non fanno pensare che nei loro paesi d'origine l'uso di decorare le sinagoghe con pitture narrative fosse tanto esteso. Considerazioni stilistiche e storiche farebbero invece propendere verso centri come Edessa o Nisibis, nella Commagene. La neutralità del R. Yōḥānān si spiegherebbe, allora, come accettazione nell'ambiente palestinese di una pratica già diffusa tra gli Ebrei della diaspora in contatto con la civiltà ellenistica. Le catacombe ebraiche di Bēt She‛arīm, in Palestina, estesissime, con centinaia di sepolture ed alcuni sarcofagi con miti pagani, non presentano alcuna raffigurazione tratta dalla Bibbia.
Uno dei maggiori monumenti dell'arte cristiana del V sec., il ciclo musivo lungo la navata della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma (v. Roma), è anche documento importantissimo della antica illustrazione narrativa della Bibbia.
Consta attualmente di 27 riquadri (altri tre ci sono noti da copie), alcuni dei quali contengono più di un episodio. Abbiamo 15 episodi tratti dalla Genesi (3 con la storia di Abramo, gli altri con quella di Giacobbe), 10 (+6 distrutti) tratti dall'Esodo, 2 dai Numeri, 2 dal Deuteronomio (tutti dedicati alla storia di Mosè), 12 da Giosuè. La scelta degli episodî sembra del tutto inorganica (lo Schefold vi ha voluto ravvisare, però, intenzioni simboliche): pur tenendo conto delle lacune, risulta indubbio che avvenimenti importanti, o di evidente interpretazione cristiana, sono stati omessi, mentre i singoli episodi prescelti sono seguiti con abbondanza di particolari, con un gusto narrativo assolutamente insolito in un ciclo monumentale e che talora rende difficile l'interpretazione stessa dell'episodio rappresentato, che non sempre ha un riscontro preciso nella B. canonica. I criteri della scelta sono cioè assai simili a quelli riscontrati nel ciclo di Dura Europos, benché certamente i mosaici di S. Maria Maggiore seguano un'iconografia diversa da quella della sinagoga siriaca (cfr., ad esempio, il Passaggio del Mar Rosso) e, dal punto di vista stilistico, siano pieni di riferimenti alla cultura figurativa ellenistica e paragonabili ad opere d'arte occidentali di questo periodo. La derivazione di questi mosaici da miniature, forse di testi non canonici, è molto probabile.
Nei pochi casi in cui i cicli dell'Antico Testamento su ricordati: di Dura Europos, dell'ipogeo della via Latina, della lipsanoteca di Brescia, di Santa Maria Maggiore presentano illustrazioni degli stessi episodî, e quindi possono essere tra loro confrontati, essi rivelano, sembra, la propria reciproca indipendenza. Si può interpretare questa constatazione in due modi opposti: 1) separando Dura Europos dai monumenti cristiani del IV-V sec. e quindi ammettendo che questi ultimi siano creazioni originali e tra loro indipendenti; 2) supponendo l'esistenza di diverse antiche tradizioni di illustrazioni bibliche.
Le obiezioni ad 1) sono: a) gli indizî di una redazione ebraica nei cicli cristiani (per Santa Maria Maggiore il problema non è stato ancora posto, ma cfr. s. v. Roma); b) alcuni tratti stilistici più antichi di cui si coglie un'eco in ognuno dei cicli considerati. La seconda ipotesi sembrerebbe quindi più convincente, anche se meno costruttiva; ma prima di addentrarci in essa dobbiamo considerare un altro punto a favore della prima.
Non ci è pervenuta alcuna illustrazione biblica ebraica relativamente antica e gli elementi antichi riscontrati in talune Haggādōt medievali sono argomento di discussione e, comunque, potrebbero essere di influenza cristiana. La più antica B. illustrata che ci sia pervenuta è invece, anch'essa, del IV sec. Si tratta di un frammento (quattro fogli) di una versione latina pregeronimiana (Itala) di I Samuele (10, 12; 15, 27) e di I Re (58), la cosiddetta Itala di Quedlinburg nella Bibl. Naz. di Berlino. Al di sotto delle miniature sono ora visibili, per la caduta del colore, indicazioni che erano state apposte per il miniatore prima dell'esecuzione delle pitture. La presenza di tali prescrizioni ha fatto appunto ritenere che l'illustrazione di questa B. non fosse copia di una precedente, ma creazione originale, per la quale era stato quindi necessario indicare sommariamente all'artista i soggetti. Ma ulteriori osservazioni hanno accertato: a) che le prescrizioni dell'editore e le miniature stesse non aderiscono perfettamente al testo che illustrano; b) che lo stesso miniatore talvolta tradisce il pensiero dell'editore. Si pone perciò anche in questo caso il problema se il redattore non attingesse per le prescrizioni alle illustrazioni di un testo che il miniatore latino non sapeva leggere (eventualmente greco), le cui divergenze con la B. canonica farebbero pensare, ancora una volta, non alla B. vera e propria ma a un "apocrifo". L'illustrazione dell'Itala di Quedlinburg sarebbe dunque non una copia diretta, ma una sorta di "arrangiamento" di un testo illustrato. Lo stesso caso di indicazioni scritte preposte alle miniature si ripeterà nel VII sec. nel Pentateuco di Tours, o Ashburnham, che è certamente derivato da una serie di miniature molto più antiche.
Cicli di illustrazioni della Bibbia. - Tra i cicli ebraici e cristiani fin qui considerati e la ricchissima tradizione della illustrazione dei manoscritti della B., che per noi si inizia nel V sec., non è stato possibile, sinora, individuare alcun rapporto iconografico preciso. Benché, come abbiamo visto, al di là di alcuni dei cicli di cui abbiamo trattato si debbano supporre archetipi nelle miniature, soltanto per età più tarda avremo la documentazione sicura del passaggio di raffigurazioni dalla miniatura alla pittura murale e alle altri arti.
Come è stato già detto, non ci sono pervenute antiche B. ebraiche illustrate (l'esemplare più antico, del IX sec. d. C., a Leningrado, II, Firk. 17); discussa è la derivazione diretta da fonti ebraiche di due illustrazioni in un codice dell'VIII sec. della Biblioteca Laurenziana di Firenze (Amiat., I). L'ipotesi di un' illustrazione della B. presso gli Ebrei sembrerebbe, secondo alcuni autori, trovare conferma in I Maccabei, 3, 48, ma il Kräling giustamente osserva che le prescrizioni sulla edizione dei rotoli della Legge rendono sommamente improbabile che la Tōrāh stessa fosse mai illustrata, mentre sono pensabili illustrazioni di poemi biblici - da cui, come si è visto, secondo questo studioso potrebbero derivare i cicli di Dura Europos - a imitazione delle illustrazioni di poemi classici presso i Gentili. Questa ipotesi appare più convincente delle precedenti e sottolinea l'importanza dell'illustrazione degli apocrifi in tale ricerca.
La Genesi di Cotton (British Museum, Cotton Otho B IV) è la più antica versione illustrata dei Settanta a noi nota.
Viene datata alla fine del V sec.-inizî del VI e localizzata ad Alessandria. La "densità" delle illustrazioni nel codice, cioè la loro quantità in rapporto al testo, prima dei danni subiti dal ms. per un incendio nel 1737, era altissima; si calcolano 330 miniature su 315 fogli. La sola storia di Noè era illustrata da 11 miniature. Un numero considerevole di monumenti (non solo miniature, ma anche avorî e mosaici) in cui è l'eco della stessa tradizione testimoniata dalla Genesi di Cotton, mentre aiuta a ricostruire le miniature perdute e le danneggiate, può forse dare qualche indizio sull'archetipo (elenco in K. Weitzmann, 1955; cui aggiungi Vienna, Bibl. Naz., 2576; cfr. O. Pächt, in Journal of the Warburg Inst., 1943).
A una tradizione del tutto diversa appartiene la Genesi di Vienna (Bibl. Naz., cod. theol., gr. 31), localizzata ad Antiochia e datata circa il VI secolo.
Constava di 96 fogli e conteneva 152 miniature, molte delle quali riunivano più episodî; oggi ne restano 24 fogli, ciascuno contenente una ampia zona miniata sul margine inferiore. Il codice è attribuito ad Antiochia (?) e datato nel VI secolo. La derivazione delle miniature da un rotulo più antico è comunemente accettata, benché l'aspetto del prototipo sia discusso. Il testo della Genesi sembra ridotto, forse in vista dell'illustrazione.
In rapporto con questa seconda tradizione sembrano essere, per certi aspetti, e, naturalmente, per la sola parte della Genesi, gli Ottateuci, raccolte del Pentateuco e dei libri di Giosuè, Giudici e Ruth, di cui l'esemplare più antico risale all'XI sec. (Firenze, Bibl. Laurenziana, cod. Plut., v, 38). La somiglianza di una delle storie di Giuseppe con un rilievo rinvenuto nel Martyrium di Antiochia - ed ora a Princeton -, del V sec., conferma l'antichità di questa serie e la sua connessione con Antiochia. In rapporto con lo stesso ciclo sono alcune illustrazioni aggiunte alla Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste (sec. VI; la copia più antica, nella Biblioteca Vaticana, è del sec. IX). Ma gli Ottateuci non sono un libro, bensì un compendio, in cui talvolta i singoli libri, o gruppi di libri, seguono una propria iconografia. Particolarmente interessante è in tale contesto il problema dell'illustrazione del libro di Giosuè (v. illustrazione). Oltre al tipo iconografico, varia anche il procedimento illustrativo, per cui a circa 150 miniature del solo libro della Genesi, ne corrispondono soltanto 250 circa per tutti gli altri libri della Bibbia. Ciò può non significare che in origine la Genesi fosse più densamente illustrata degli altri libri, ma che nella selezione, indispensabile a una edizione di più libri illustrati raccolti insieme in un solo codice, vi fosse stata la tendenza ad abbondare in principio.
Altre illustrazioni della B. ci sono testimoniate in testi greci diversi dalla traduzione dei Settanta.
In primo luogo debbono essere considerate le illustrazioni che accompagnano due apocrifi: il libro di G. Choumnos Περὶ τῆς Γενήσεως e il sermone su Giuseppe di Efrem Siro, cui è solitamente unito, nella tradizione manoscritta, il romanzo di Giuseppe e Asenath.
Il primo è una composizione relativamente recente (XV sec. ?). È un racconto che, partendo da alcuni dati offerti dalla tradizione biblica, li svolge in vicende fantastiche o romanzesche in cui la critica individua le tracce di favole più antiche (storie di Seth, di Enoch, ecc.); nelle due copie illustrate a noi note è raccolta una serie ricchissima di illustrazioni, in cui la tecnica narrativa, il ricorso frequente alla narrazione "continua", alcuni caratteri stilistici inducono a vedere le tracce di un prototipo antico. Le illustrazioni seguono gli andamenti fantasiosi del testo, aderendo, da quanto le copie lasciano capire, al carattere sostanzialmente popolaresco del racconto, che anzi in qualche caso forse completano. Un'idea della "densità" delle illustrazioni può esserci data, ad esempio, dal confronto con il numero di illustrazioni della storia di Noè nella tradizione della Genesi Cotton: mentre là se ne contano 11, numero che non ha paragone in nessun altro ciclo, qui se ne contano ben 15. Avremmo quindi un indizio importante di antiche illustrazioni dell' (degli) apocrifo (-i) cui il Choumnos attingeva. Manca per ora uno studio che faccia luce su questo argomento.
Hanno maggiore peso, grazie agli studî di J. e O. Pächt (da questi due studiosi è annunciata la pubblicazione critica del Choumnos), gli elementi offerti dal secondo libro. Nella copia migliore (Coll. D. McC. McKell, Chillicothe, Ohio) 63 miniature illustrano il sermone di Efrem Siro e 17 il romanzo "Giuseppe e Asenath". Efrem Siro visse dal 306 (-7) al 372; il suo sermone, quasi un romanzo intessuto sulla storia di Giuseppe, ci è noto in una versione siriaca e in una greca; quest'ultima, alquanto diversa dalla prima - e anzi da taluno attribuita ad un autore greco del IV secolo - è quella con cui le illustrazioni concordano. Più antico sembra invece il romanzo di Giuseppe e Asenath, forse un libro pre-rabbinico, opera di propaganda ellenistico-ebraica risalente al I sec. a. C.; anche in questo caso le illustrazioni concordano con il testo e si debbono ritenere concepite appositamente per esso. Il modello immediato delle illustrazioni della copia McKell data al VI secolo e deve essere della stessa origine della Genesi di Vienna, secondo quanto si deduce dall'analisi stilistica. Tuttavia i due cicli, delle illustrazioni di Efrem e del romanzo, possono essere ancora anteriori al VI secolo, così come anteriore a questo secolo è il prototipo della Genesi di Vienna. Il fatto singolare che questo insieme di illustrazioni della vita di Giuseppe abbia contemporaneamente affinità iconografiche con la Genesi Cotton e stilistiche con quella di Vienna fa sorgere molti problemi sul rapporto tra illustrazione dei libri canonici e illustrazione degli apocrifi. Ma il nostro manoscritto non ha soltanto punti di contatto (peraltro contraddittori) con i due codici citati, ma anche con altre redazioni, come le illustrazioni delle Omelie di Giacomo Nazianzeno (IX sec.: oltre a un esteso ciclo della storia di Giuseppe, questo manoscritto contiene numerose altre illustrazioni bibliche), i rilievi di un cofanetto eburneo, a Sens, del sec. XI-XII, ma ispirato a fonti pre-iconoclastiche, ecc. Sono forse indizî di una notevole antichità del prototipo e probabili testimonianze di un periodo in cui le varie tradizioni non erano del tutto ben stabilite e motivi di varia origine confluivano nelle redazioni canoniche.
Il carattere romanzesco della storia di Giuseppe, o, come sembra ormai di poter affermare, l'esistenza addirittura di un "romanzo di Giuseppe", favorì la creazione di cicli assai estesi di illustrazioni della vita di questo eroe biblico. Ad esempio, un tessuto egiziano (?) dei VI secolo, a Sens, ci conserva i frammenti di un ciclo di Giuseppe ancora diverso, in alcuni particolari, da quelli considerati, e che doveva avere una notevole abbondanza di scene; gli avori della cattedra di Massimiano a Ravenna forse ci presentano il ciclo di Giuseppe nella stessa tradizione della Genesi Cotton, ma secondo una versione che deve essere anteriore a questo codice. Le storie di Giuseppe sono qui poste in parallelo con la vita di Gesù, e anche questo confronto, attestato dalla letteratura, dovette contribuire alla diffusione del ciclo di Giuseppe presso i cristiani. In Occidente la parafrasi anglosassone del Pentateuco e di Giosuè di Aelfric (British Museum, Cotton Ms. Claudius B. IV) contiene ben 60 miniature che trattano della storia di Giuseppe. È un codice dell'XI sec., le cui illustrazioni, numerosissime per ciascun libro della B. parafrasato, derivano indubbiamente da un antico prototipo orientale. Il Tikkanen vi riscontrò alcune connessioni iconografiche con la tradizione della Genesi Cotton, ma i punti in cui la illustrazione di Aelfric se ne allontana sono tanti che, pur tenendo conto delle innovazioni medievali, si deve pensare a un prototipo notevolmente diverso dalla Genesi Cotton.
Di grande interesse è un'altra parafrasi anglosassone della B., quella dovuta a Caedmon e conservata in un manoscritto dell'XI sec. (Oxford, Bodleian Library, Ms. Iunius II). Anche questo ciclo ne presuppone uno molto antico ed è notevole per lo straordinario sviluppo che vi hanno temi apocrifi (la caduta degli angeli, l'ascensione di Enoch). Si può prevedere dallo studio comparato di questi cicli di illustrazioni di apocrifi un notevole contributo alla definizione di tutto il problema delle origini della illustrazione della Bibbia.
Disgraziatamente, la nostra conoscenza delle illustrazioni della Pěsḥittā cioè della traduzione siriaca dell'Antico Testamento, è limitata ad un solo codice, sia pure di eccezionale livello artistico: il Syr. 341 della Bibliothèque Nationale di Parigi. La seconda guerra mondiale ha infatti distrutto l'altro codice sinora noto, anteriore all'VIII secolo e ricco di 28 illustrazioni, che si trovava nella biblioteca episcopale di Sert, nel Kurdistan, e che non era mai stato fotografato.
Il Syr. 341 è oggi in uno stato frammentario. Raccoglieva, su tre colonne, entrambi i Testamenti; attualmente consta di poco più di 246 fogli, e ha 23 miniature dell'Antico Testamento e 2 del Nuovo. Da quanto rimane si deduce che tutti i libri contenuti dovevano avere una illustrazione, ad eccezione, sembra, di Giudici, Paralipomeni, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Lamento di Geremia, Lettera di Baruch, Susanna, Bel e il dragone, Giuditta. Ogni libro era preceduto da una miniatura: sino a Giosuè di soggetto storico, secondo l'argomento del libro; in seguito con il ritratto dell'autore. Il codice si data generalmente al VII secolo, ma anche in questo caso si deve supporre un prototipo assai più antico: le miniature di tipo narrativo tradiscono caratteri del tutto ellenistici, le figure stanti dei profeti ricordano gli antichi ritratti degli autori, testimoniati, in un caso, anche nelle illustrazioni dei Settanta (Bibl. Vaticana, Chis. R. VIII, 54); la stesura dello scritto su tre colonne può essere indizio della copia diretta da un rotulo, anche se non sicuro (v. Codice), infine è certamente assai antico l'uso di porre una miniatura all'inizio di ciascun libro (v. illustrazione).
Ancor più dell'arte siriaca l'arte copta rifuggiva dalla rappresentazione di carattere narrativo o realistico, si comprende perciò la rarità di raffigurazioni della B. di tale tipo nell'ambito di quest'arte.
Malgrado tali limitazioni, è proprio in una cappella di Bawit che ci è conservato il più vasto ciclo di David: 13 riquadri (di cui quattro sono perduti) seguivano la storia del profeta dall'incontro di Samuele con Isaia (I Sam., 5-10), sino all'incontro di David con Abimelec (I Sam., 21; non conosciamo, però, il contenuto del tredicesimo riquadro). La prima impressione è di una serie narrativa, e anche abbastanza ricca di particolari, se il solo episodio dello scontro tra David e Golia è narrato in ben tre scene; tuttavia vi sono alcuni elementi in contrasto con questa interpretazione, poichè la successione delle raffigurazioni non è cronologica (il 4° episodio dovrebbe seguire il 7°, l'8° dovrebbe succedere al 12°) e i riquadri sono alternati ad altri con motivi di meandri in un ordinamento che ricorda più la decorazione di un soffitto che quella di una parete. È quindi probabile che la serie non sia una invenzione del pittore copto, ma che egli l'abbia desunta da una fonte diversa (miniature ?) piegandola ai propri intenti essenzialmente decorativi. Questa prevalenza di intrecci e di meandri (pagine "a tappeto", ecc.) la ritroviamo nella decorazione dei libri sacri copti, anch'essi così lontani da intenti illustrativi. È perciò eccezionale la testimonianza di un frammento della B. (da Giobbe, 40, 8, a Proverbi, 3, 19), nella Bibl. Naz. di Napoli, che ci presenta una raffigurazione di Giobbe, incoronato in mezzo alla sua famiglia, che concorda con la descrizione data da un apocrifo. Il codice è in dialetto copto sahidico e si data al sec. V. Specialmente in Egitto la storia di Giuseppe dovette essere particolarmente popolare, e, come abbiamo visto, la ritroviamo su tessuti (a quello citato è da aggiungerne un altro nella Galleria Puškin di Mosca (v. P. Fabre, in Mél. Éc. Fr. Rome, 1921-22, p. 1935).
Notevoli difficoltà presenta la definizione iconografica di uno dei più affascinanti codici occidentali, il Pentateuco di Tours o Ashburnham. Consta di 142 grandi fogli (mm 370/322) di cui 15, oltre al frontespizio, sono occupati da miniature "a piena pagina". Ogni miniatura contiene diversi episodi, disposti dall'alto in basso su uno sfondo diviso in zone orizzontali colorate violentemente, forse traduzione, dell'artista del sec. VII, di un'antica rappresentazione di uno sfondo unito graduato da zone di colore atmosferico. L'effetto è paragonabile a quello di rilievi trionfali sul tipo dell'arco di Settimio Severo, e che potesse già trovarsi in un codice paleocristiano preso a modello può dedursi, indirettamente, dal fatto che lo stesso ordinamento ritorna in alcune miniature del codice di Aelfric, citato (ad esempio, storia di Caino), che è del tutto indipendente dalla tradizione del Pentateuco di Tours. Eppure le immagini non sono tolte di peso da un modello e molto è dovuto all'inventiva dell'artista non soltanto nella realizzazione stilistica, ma anche, come le scritte che traspaiono sotto il colore confermano, nella scelta e nella distribuzione degli episodi. Che l'artista attingesse a un ciclo assai più ricco è tra l'altro dimostrato dagli echi che di alcune composizioni di questo codice ritroviamo nella miniatura spagnola più tarda, quando il manoscritto non si trovava più in Spagna, dove probabilmente era stato scritto, e dal fatto che alcune delle sue miniature ne integrano altre di altri cicli (cfr. ad esempio Adamo presso l'aratro in uno degli Ottateuci greci e Adamo che ara nel nostro codice, ecc.). Tuttavia non vi è nessuno dei cicli sin qua noti cui il Pentateuco risponda fedelmente e perciò dobbiamo supporre al di là di esso una serie assai ricca di illustrazioni della B. altrimenti ignote.
In Occidente, il ciclo pittorico che ebbe maggiore popolarità nel basso Medioevo fu quello di San Paolo fuori le Mura.
Gli studî del Garber ci consentono di ricostruirlo sulla base di copie dirette secentesche e delle testimonianze offerte da pitture, mosaici e miniature medioevali. La serie, tutta rimaneggiata tranne 10 scene, constava di 41 riquadri in cui erano raffigurati episodi biblici (29 della Genesi, 12 dell'Esodo), più pochi altri perduti. La scelta dei soggetti appare ispirata a criteri assai diversi da quelli che abbiamo riscontrato a Santa Maria Maggiore: nessun episodio importante è omesso e gli episodi prescelti sono trattati con molta chiarezza, limitandosi all'essenziale. Si ha l'impressione di un ciclo programmatico, cui sono assolutamente alieni quella curiosa aria non ufficiale e quello spiccato gusto narrativo che abbiamo notato nei mosaici di Santa Maria Maggiore. Il ciclo può risalire al V secolo e per i criteri direttivi può essere paragonato ad un altro contemporaneo, quello dovuto a Leone Magno, che però, come vedremo, si ispira a principî teologici precisi. Naturalmente il ciclo di San Paolo attinse al repertorio dell'illustrazione biblica, ma fu essenzialmente una creazione nuova. Altri antichi cicli di illustrazioni della B. latina ci sono conservati, come già abbiamo avuto occasione di vedere e come vedremo ancora più avanti, nei codici miniati carolingi. Un codice di Sedulio ad Anversa (Museo Plantin Moretùs, M 17, 4) del IX sec. ci offre una preziosa testimonianza di illustrazioni bibliche forse anteriori allo stesso Sedulio (V sec.). Poiché almeno una delle illustrazioni ha riscontro in altri codici carolingi della scuola cosiddetta di Ada, si può affacciare l'ipotesi che il manoscritto di Anversa conservi il ricordo di una antica B. posseduta dallo scrittorio da cui provengono i codici di questa scuola.
In generale, però, vale ammettere che le tendenze dell'arte occidentale si manifestarono con tale vivacità e furono tanto originali, da rendere oggi assai difficile la distinzione tra creazioni nuove e testimonianze di invenzioni antiche. L'arte bizantina, invece, assai per tempo cessò di creare composizioni nuove e si può ritenere con qualche fondamento che ogni qual volta in essa troviamo sviluppati ampli cicli narrativi essi sottintendano un fonte antica.
Un esempio tipico ce ne è dato da un codice del IX sec. (Sacra Parallela) di Giovanni Damasceno (Parigi, Bibl. Nat., gr. 923) in cui le numerose citazioni storiche dell'autore sono illustrate con figure tratte da Bibbie illustrate. Abbiamo così circa 500 illustrazioni: oltre a quelle dei testi già ricordati, anche alcune dei Paralipomeni (la sola testimonianza di un'illustrazione non occidentale di questo libro), del II libro dei Re (idem), ecc. Ciò che rende il ciclo particolarmente interessante è la sua probabile origine palestinese. La più ricca illustrazione dei libri di Samuele e Re è nel codice Vat. gr. 333 del XII sec.: 100 miniature per I Samuele; circa 40 per il II; 5 per I Re; una, la non inconsueta Ascensione di Elia, per II Re. Si noti la stessa diminuzione del numero delle miniature procedendo verso la fine del codice già riscontrata negli Ottateuci.
Una B. del X sec., ormai frammentaria (Bibl. Vaticana, Reg. gr. I), ci presenta la sola raffigurazione a noi nota in un manoscritto greco del libro di Giuditta. Riunisce in un solo quadro più episodî, con procedimento che contrasta con altre illustrazioni dello stesso codice, e, anche per somiglianze con un affresco in S. Maria Antiqua a Roma, si deve ritenere la sua prima invenzione almeno anteriore al periodo iconoclasta.
Infine abbiamo qui l'unica illustrazione a noi nota, in un manoscritto greco, di uno dei libri dei Maccabei. Tali osservazioni rendono probabile che anche in questo caso si abbiano due frammenti di cicli perduti. La grande maggioranza delle illustrazioni di questo codice - che doveva far parte di una collezione di tre: il primo contenente la Genesi e il salterio, il secondo il rimanente dell'Antico Testamento, il terzo il Nuovo - corrisponde a quella del salterio greco di Parigi (Bibl. Nat., gr. 139). Si tratta in entrambi i casi di salteri del tipo cosiddetto (dal Tikkanen) "aristocratico", in cui il contenuto dei Salmi è illustrato da singole grandi miniature. Alcune di queste si riferiscono alla vita di David, e sono di tale grandiosità da apparire più "celebrative" che narrative e fanno pensare piuttosto a megalografie. Assai spesso l'illustrazione dei Salmi è una sorta di commento allegorico (v. allegoria) al testo, per cui il supposto riferimento della parola del profeta a questo o a quell'avvenimento è occasione per inserire nel salterio illustrazioni tratte dai libri storici della B. (specialmente Esodo, Re e, in un caso, Ester, di cui ancora abbiamo, nel Reg. gr. I, l'unico esempio di illustrazione). In tale modo il codice diviene quasi un "tesoro" di illustrazione biblica. Il carattere di commento visivo al testo è soprattutto sensibile in un tipo di salteri detti "monastici" (Tikkanen). Sono di formato piuttosto piccolo e figurine schizzate con vivacità, scenette realistiche di soggetto biblico cui si uniscono altre di argomento politico o dottrinario (specialmente contro gli iconoclasti) sono distribuite lungo i margini in apparente disordine; in realtà secondo la posizione nelle pagine delle parole del testo di cui esse sono l'illustrazione e il commento. Naturalmente la loro "attualità" rende assai difficile l'individuazione di elementi iconografici antichi; antica sembra la trattazione aneddotica e realistica degli episodi della B., e antico è il tipo stesso di illustrazione (v.) marginale. Ma una vera e propria organica illustrazione dei Salmi si deve all'Occidente. L'esempio più insigne è il Salterio di Utrecht (Bibl. Univ., Script. Eccl., 484) del IX sec., che, malgrado la grande originalità dell'artista medievale, lascia trasparire la propria origine antica. Le illustrazioni si riferiscono al cosiddetto Psalterium Hebraicum (detto anche duplex o triplex), in cui tre differenti versioni sono scritte una accanto all'altra in colonna. Il codice, e così le altre copie a noi note, tra cui quella del British Museum, che arricchisce il repertorio di altre illustrazioni, ha punti di contatto, per l'iconografia, con un salterio carolingio della Biblioteca di Stoccarda (Bibl. fol. 23) che sembra derivare da un modello eseguito nel VI sec. nello scrittorio di Vivario sotto il patronato di Cassiodoro. Ma la sua origine, per ragioni stilistiche e per gli espliciti intendimenti allegorici (per cui ogni salmo è interpretato nelle illustrazioni come una aspra battaglia tra le forze opposte del cielo e degli inferi), che fanno intravvedere un rapporto con la visione drammatica, ad esempio, di Prudenzio nella sua Psychomachia, deve essere datata intorno alla prima metà del V secolo. Mentre resta problematica l'esatta interpretazione, ai nostri fini, del Dittochaeon di Prudenzio (v.), è accertata tra il 440 e il 461 la creazione, per iniziativa di papa Leone Magno, di una illustrazione della B. in cui i fatti dell'Antico e del Nuovo Testamento sono rappresentati in funzione antimanichea. L'esemplare, perduto, è testimoniato da tre codici del sec. IX connessi in vario modo con lo scrittorio di Tours (Parigi, Bibl. Nat., Lat. I; British Museum, Add. 10546; Roma, 5. Paolo fuori le mura). Sorprende nella illustrazione della Genesi l'adesione agli schemi della Genesi Cotton, ma soprattutto il ritorno all'illustrazione della B. con intenti simbolici sembra concludere il cerchio al punto da cui si era partiti, mentre, in realtà, è una prima, notevole affermazione dei principi che prevarranno nel Medioevo.
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Dizionarî e enciclopedie: F. Vigouroux, Dictionnaire de la Bible, Parigi 1895-1912 con il supplemento iniziato nel 1926 da L. Pirot (Parigi); T. K. Cheyne-J. Sutherland Black, Encyclopaedia Biblica, Londra-New York 1899-1903; J. Hastings, Dictionary of the Bible, Edimburgo 1910; K. Galling, Biblisches Reallexikon, Tubinga 1937; E. Kaet, Biblisches Reallexikon2, Paderborn 1938. V. inoltre Reallexikon f. Antike u. Christentum, di Th. Klauser, I, Stoccarda 1950, s. v. Altes Testament (J. L. Koole). Nell'Enciclopedia Cattolica, s. v. B., di G. Ricciotti, trovi elenco dei principali periodici, dizionarî, collezioni, edizioni, ecc. sino al 1940 (pubblicata nel 1949).
Midrāshīm, leggende ebraiche, ecc.: M. Grünbaum, Neue Beiträge zur semitischen Sagen-Kunde, Leida 1893; L. Ginzberg, The Legends of the Jews, Filadelfia 1909-1914; O. Stählin, in W. Christ, Geschichte d. griechischen Literature, II, i, 6a ed. 1920, pp. 588-591 (sulla letteratura ebraica in lingua greca); L. Blau, in Soncino-Blätter, I, 1925-26, pp. 16-28; D. Sidersky, Les origines juives des légendes musulmanes dans le Coran et dans les vies des prophètes, Parigi 1933; H. Speyer, Die biblischen Erzählungen im Qorans. Diss., Francoforte s. M. 1935; E. Kautzsch, Die Apokryphen u. Pseudo-epigraphen des Alten Testament2, Tubinga 1900; R. H. Charles, Apocrypha a. Pseudoepigafa of the Old Testament, Oxford 1913; N. Avigad-Y. Yadin, A Genesis Apochryphon, Gerusalemme 1956 (apocrifo del Mar Morto); M. Schwab, Le Talmud de Jérusalem, Parigi 1878 ss.; The Babylonian Talmud, transl. into English, Soncino Press 1935-1952; A. Wünsche, Midrasch rabb. Bibliotheca rabbinica, eine Samml. alter Midraschim, Lipsia 1881 ss.; Talmud babilonese, a cura di L. Goldschmidt, Berlino-Lipsia 1899 ss.; S. Krauss, Talmudische Archaeologie, Lipsia 1910-1912; H. L. Strack, Einleitung in Talmud u. Midrasch, Monaco 1921; H. L. Strack-P. Billerbeck, Kommentar zum N. T. aus Talmud u. Mirasch, Monaco 1922-1928; J. M. Japhet, Haggadah für Pesach, Francoforte s. M. 1891; W. Bacher, Die Agada der babylonischen Amoräer, Strasburgo i. E. 1878; W. Bacher, Die Agada der Palästinensischen Amoräer, I, Strasburgo i. E. 1892; D. H. Müller-J. v. Schlosser, Die Haggada von Serajevo, Vienna 1898 (lo Schlosser vi tratta la parte figurativa); G. Beer-O. Holtzmann, Die Mischna, II, 3, Giessen 1912. Sulla tradizione manoscritta: F. G. Kenyon, Our Bible a. the Ancient Manuscripts, Londra 1939. Sulla Vulgata: S. Berger, Histoire de la Vulgate, Parigi 1893 (importante per la classificazione dei mss.); A. Amelli, Cassiodoro e la Volgata, Grottaferrata 1917. Nel 1933 è stata fondata a Roma l'Abbazia S. Girolamo per la revisione della Volgata, che dispone della biblioteca più attrezzata (anche microfilms di codici, ecc.) v.: P. Salmon, La révision de la Vulgata. État des travaux, difficultés et résultas, Roma 1937. I diversi atteggiamenti degli Ebrei circa l'illustrazione della B. sono discussi in tutta la bibl. sull'arte ebraica contenuta in questo articolo. V. in particolare: D. Kaufmann, in Revue des Études Juives, XIV, 1887, pp. 33-48; 217-225; Geffeken, Der Antike Bilderstreit, in Archiv f. Religionswiss., XIX, 1919, p. 286 ss.; J. Goodenough, in Jewish Quarterly Review, n. s., XXXIII, 1942-43, pp. 403-417, e soprattutto il libro del Leeven citato più avanti, fondamentale. L'opera del Kraeling su Dura Europos discute le interpretazioni precedenti e contiene importanti osservazioni nuove. Sull'atteggiamento degli antichi cristiani verso l'illustrazione della B.: E. Le Blant, Les Chrétiens dans la société païenne aux premiers âges de l'Église, passim; E. Hennecke, Altchristliche Malerei u. altchristliche Literatur, Lipsia 1896; K. Michel, Gebet u. Bild in frühchristlicher Zeit, Lipsia 1902; P. L. Ciceri, in Rivista di fil. classica, XLII, 1914, p. 570 ss.; H. Koch, Die altchristliche Bilderfrage nach den literrischen Quellen, in Forschungen z. Relig. u. Literat. des A. u. N. Tetsaments, hrsgg. v. W. Bousset u. H. Gunkel, n. s., 10, Gottinga 1917; W. Elliger, Die Stellung der Alten Christen zu den Bildern in den ersten vier Jahrhunderten (Studien über christliche Denkmäler, n. s., 1930-1934).
Illustrazioni della B. - Opere generali: O. Wulff, Altchristl. u. byzant. Kunst, I, Vienna 1914, p. 68 ss.; R. Kömstedt, Vormittelalterliche Malerei, s. d.; K.Künstle, Ikonographie der christl. Kunst, Friburgo in Br. 1928; W. Elliger, Zur Entstehung u. früher Entwicklung d. altchristl. Bildkunst, in Studien über christl. Denkmäler, n. s., XXIII, 1934; F. Landsberger, Hystory of Jewish Art, Cincinnati 1946; E. Cohn Wiener, Die jüdische Kunst, Berlino 1929; R. Wischnitzer Bernstein, Gestalten u. Symbole der judischen Kunst, 1935; J. B. Frey, in Dictionn. de la Bible, s. v. Images; C. R. Morey, Early Christian Art, Princeton 1942, pp. 58-77; J. Leveen, The Hebrew Bible in Art, Londra 1944 (fondamentale, ma purtroppo rarissimo; cfr. l'utile riassunto del Leroy, in Revue d'hist. des Relig., IV, 1950, p. 160 ss.); R. R. Goodenough, Jewish Symbols in the Greek-Roman Period, New York 1953 ss.; C. Roth, Jewish Antecedents of Chr. Art, in Journal of the Warburg a. Courtauld Institutes, 1953; E. Kitzinger, Early Medieval Art in the British Museum2, Londra 1955. Strumento di ricerca insostituibile è il Princeton Index of Christian Art, che raccoglie sistematicamente la documentazione fotografica di tutte le opere d'arte cristiana pubblicate. Ne esistono 4 copie: a Princeton, a Dumbarton Oaks (presso l'università di Harvard), a New York (Metropolitan Museum), a Roma (Bibl. Apostolica Vaticana). Per notizie su questa importante collezione, v.: H. Woodruff, The Index of Christian Art at Princeton University, Princeton 1952. Per i monumenti considerati in questo articolo v. in particolare, oltre alle opere già indicate: C. H. Kraeling, Gerasa, New Haven 1938; O. Sukenik, Ancient Synaggue of Beth Alpha, Gerusalemme 1932; F. M. Bieel, The Mosaics of Hamman Lif, in Art. Bull., XVIII, 1936, p. 541 ss. (specialmente p. 551). Su Dura Europos (cfr. anche la bibl. s. v.); E. Du Mesnil du Buisson, Les peint. de la syn. de D. E., in Revue Biblique, XLIII, 1934, p. 105 ss.; M. Rostovtzeff, Dura a. the Problem of Parthian Art (Yale Classical Studies, V), New Haven 1935, p. 254 ss.; id., Dura-Europos on the Middle Euphrates a. its Art, Oxford 1938; M. Aubert, in Gazette des Beaux Arts, LXXX (XX) 1938, pp. 1-24; E. Du Mesnil du Buisson, Les peintures de la synagogue de Doura Europos, Roma 1939; C. H. Kraeling, The Synagogue (Excavations of Dura. Final Report), New Haven 1956 (con tutta la bibl. precedente e la più completa discussione sulle origini dell'arte ebraica di D. E.); R. Delbrück, Probleme der Lipsanothek in Brescia, Bonn 1952 (ivi la bibl. precedente). Sulla pittura delle catacombe: E. Hennecke, Altchr. Mal. u. altchr. Literatur. Untersuch. über d. bibl. Cyclus in röm. Katakomben, Lipsia 1856, già citato; J. Wilpert, Die Malereien der Katakomben Roms, Friburgo i. Br. 1903; ma cfr. bibl. s. v. catacombe; A. Ferrua, in La Civiltà Cattolica, CVII, 1956, vol. II, p. 118 ss. (sul Nuovo Ipogeo della via Latina); C. Cecchelli, I mosaici di Santa Maria Maggiore, Roma 1955 (con la bibl. precedente); J. Garber, Wirkungen d. frühchristl. Gemäldezykl. d. alt. Peters-u. Paulus Basiliken in Rom, Berlino 1918; M. Clédat, Les fouilles de Baouit, Parigi 1907. Tessuto di Sens: E. Chartraire- M. Prou, Note sur un tissu byzantin à personnages et inscriptions du trésor de la cathédrale de Sens, in Mémoires de la Société des Antiq. de France, LVIII, 1897, pp. 258-270; E. Chartraire, Le trésor de la cathédrale de Sens, Parigi 1931, p. 45. Tessuto della ex Collezione Golineshef: J. Strzygowski, Orient oder Rom, p. 113, fig. 44. Sui sarcofagi: G. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi, Roma 1929 ss.; F. Gerke, Die christliche Sarkophagplastik der vorconstantinischen Zeit, Berlino 1940; E. Stommel, Beiträge z. Ikonographie der konstant. Sarkoph., Bonn 1954. Sarcofago di Lot: L. De Bruyne, in Riv. Arch. Christ., XXVII, 1951, p. 91 ss.; id., in Atti VIII Congr. Intern. di Studi bizantini, II, Roma 1953, pp. 105-110. Sarcofago di Susanna: Museo Naz. Romano, n. 108676: S. Aurigemma, Le terme di Diocl. e il Mus. Naz. Rom., Roma 1950, p. 22. Rappresentazioni del sacrificio di Isacco: A. M. Smith, in Am. Journ. Arch., XXVI, 1922, p. 159 ss. Cattedra di Ravenna: M. Schapiro, in Gaz. B. Arte, VI, 40, 1952, p. 27 s.
Manoscritti. - V. anche s. v. illustrazione e cfr. la bibl. sul testo della B. e degli apocrifi. Sui libri presso gli antichi Ebrei v.: D. Kaufman, in Müller-Schlosser, Die Haggadah, Vienna 1898; J. Abrahams, in Jew. Quart. Rev., 1902, p. 341; L. Blau, Studien zum althebräischen Buchwesen, Strasburgo i. E. 1902; R. Vieilliard, Codices et volumina dans le bibliothèques juives et chrétiennes, in Riv. Arch. Crist., 1940, 1-2, p. 143 ss. Sulla funzione del codice (v. s. v.) tra i cristiani è fondamentale lo studio di C. H. Roberts, The Codex, in Proc. of the British Acad., XL, 1955, p. 169 ss. Si tengano soprattutto presenti le osservazioin di K. Weitzmann, Illustrations in Roll and Codex, Princeton 1947. Molto utile il manuale di A. Boeckler-A. Schmid, Die Buchmalerei, Stoccarda 1950. Esame d'insieme dei problemi dell'illustrazione dei Settanta: K. Weitzmann, Die Septuaginta-Illustrationen, in Münchner Jahrbuch f. Kunstgesch., III-IV, 1952-53, pp. 96-120; Itala di Quedlinburg. Berlino, Staatliche Bibliothek, Cod. theol. lat. fol. 485: H. Degering - A. Boeckler, Die Quedlinburger Itala-Fragmente, Berlino 132; Genesi Cotton. British Museum, Cotton Claudius G. IV: J. J. Tikkanen, Die Genesis-Mosaiken v. S. Marco in Venedig u. ihr Verhältnis zu den Miniaturen der Cottonbibel, in Acta Societatis Scientiarum Fennicae, XVII, 1899; K. Weitzmann, Problems of the Cotton Genesis Fragments, in Late Antique a. Medieval Studies in Honor of A. M. Friend jr., Princeton 1955, p. 112 (ivi bibl. precedente); Genesi di Vienna theol. gr. 31: H. Gerstinger, Die Wiener Genesis, Vienna s. d. Su iniziativa dell'università di Princeton, sotto la direzione di E. T. De Wald, A. M. Friend Jr. e K. Weitzmann è in corso (1958) la pubblicazione del corpus delle illustrazioni della versione greca dei Settanta (The Illustrations in the Mss of the Septuaginta). Il piano prevede sei volumi: I, Ottateuco; II, Libri storici; III, Salmi e odi; IV, Giobbe e Libri Sapienziali: V, Profeti; VI, Storia delle illustrazioni del V. T. Sono sinora usciti i volumi III, Parte I: Vaticanus Graecus 752, Princeton 1942, entrambi di E. T. De Wald. Il volume successivo sarà quello degli Ottateuci. Sacra Parallela di Giovanni Damasceno (Parigi, Bibl. Nat., gr. 923); K. Weitzmann, Byz. Buchmal., Berlino 1935, p. 80; Münch. Jahrbuch., cit., p. 105 ss. Omelie di Gregorio di Nazianze, Parigi, Bibliothèque Nationale, gr. 501: H. Omont, Fac similés des mss. etc. de la Bibl. Nat. de Paris, Parigi 1901; Pentateuco Ashburnham, Parigi, Bibl. Nat., Nouv. Acq. Lat. 2334: O. v. Gebhardt, The Miniatures of the Ashburnham Pentateuch, Londra 1883; A. Springer, Die Gensisbilder in d. Kunst d. frühen Mittelalt., mit besonderer Rücksicht auf den Ashb. Pent., Lipsia 1884; W. Neuss, Die Apokalypse des hl. Johannes in der altspanischen und altchristlichen Bibel-Illustration, Münster in Westphalia 1951; H. Schlunk, Observaciones en torno al problema de la miniatura visigoda, in Archivo Español de Arte, XVII, 1945, pp. 241-265; J. C. Sloane, The Torah Shrine in the Ashb. Pent., in Jew. Quart. Rev., n. s., XXXV, pp. 1-12. Reginense greco i e Pal. Lat. 381 della Bibl. Vaticana: Miniat. della Bibbia Vat. Reg. gr. I e del salt. Vat. Pal. gr. 381 (Coll. paleogr. Vat., i), Milano 1905. Uno studio critico di questi due codici nella pubblicazione di H. Buchthal del gr. 31 della Bibl. Nat. di Parigi: The Paris Psalter, Londra 1938. Evangeliario di Ecmiadzin: J. Strzygowski, Das Etschmiadzin Evangeliarbuch, Vienna 1891; F. Macler, L'évangile arménien, Parigi 1920; K. Weitzmann, Die arm. Buchmal., Bamberga 1933, p. 8; S. De Nersessian, in Art Bull., XV, 1933, p. 1933. Sul tipo dell'altare nella miniatura di Isacco cfr. la diversa veduta di C. R. Morey, in Art. Bull., XI, 1929, p. 8, nota 5 e cfr. A. M. Smith sopracitato. Parafrasi anglosassoni della B.: Caedmon (Oxford, Bodleian Library, M. S. Junius 11): I. Gollancz, The Caedmon Manuscript of Anglo-Saxon Biblical Poetry, Londra 1927; Aelfric (British Museum, Cotton Ms. Claudius B. IV); E. G. Millar, English Illuminated Mss. from the Xth to the XIIIth Century, Bruxelles 1926, p. 90, tav. 28; F. Wormald, English Drawings of the 10th and 11th Centuries, Londra 1952; M. Rickert, Painting in Britain. The Middle Ages, Harmondsworth 1954 (in questi ultimi due libri sono considerati sia Caedmon che Aelfric); Napoli, Bibl. Naz., ms. I, B. 18; H. Buchthal-O. Kurz, Handlist cit., n. 203; O. Kurz, An Alleged Portrait of Heraclius, in Byzantion, 1942, p. 162 ss.; Codice Amiatino (Firenze, Bibl. Laurenziana, M. Rickert, op. cit. (con la preced. bibl.); F. Masai, in Il Monachesimo nell'alto medioevo, ecc., Spoleto 1957, p. 150 ss. Efrem Siro (Coll. Mc Kell, Chillicothe, Ohio): J.-O. Pächt, An Unknown Cycle of Illustrations on the Life of Joseph, in Cahiers Archéol., VII, 1954, p. 35 ss.; G. Choumons (Monte Sinai, monastero di S. Caterina, gr. 1187): Clark, Checklist of Microfilms of mss. etc. in the Library of Congress, Washington 19; (British Museum, Add., 4472), ed. Marshal, Oxford 19; "Bibbia Leonina": W. Koehler, Die karolingischen Miniaturen. I. Die Schule von Tours, Berlino 1923. Sulle fonti dei mss. del gruppo di "Ada": F. Leitschub, Gesch, d. karol. Mal. Ihr. Bildkrkeis u. seine Quellen, 1894; A. Böckler, in Abhandlungen d. Bayer. Akad. f. Wissensch., Ph. kl., 1955; Sedulio di Anversa: H. Swarzenski, in Art Bull., XXIV, 1942. Sui salterî latini: A. Springer, Die Psalterillustr. im frühen Mittelalter, in Mitteil. d. Inst. f. Österreich. Geschichts-Forschung, X, Innsbruch 1889; J. J. Tikkanen, Die Psalterillustration im Mittelalter, Helsinki 1895; A. Goldschmidt, Die ältesten Psalterillustrationen, in Rep. f. Kunstwiss., XIII, 1900. Utile per un orientamento generale la voce Psautier, di H. Leclercq, in Dict. arch. chrét., XIV, 2, 1948, cc. 1950-1967; E. T. De Wald, The Stuttgart Psalter, Princeton 1930; H. Gräven, Die Vorlage des Utrechtpsalters, in Rep. f. Kunstwiss., XXI, 1898; E. T. De Wald,The Illustrations of the Utrecht Psalter, Princeton 1933; D. Panofsky, The Textual Basis of the Utrecht Psalter Illustrations, in Art Bulletin, XXV, 1943, pp. 50-58; F. Wormald, The Utrecht Psalter, Utrecht 1953.