Bibbia: la diffusione
La diffusione della Bibbia in Italia risente della situazione religiosa e culturale del Paese, situazione che si è formata nel corso dei secoli, radicata in un passato lontano che, pur con i notevoli cambiamenti avvenuti nella società e nella Chiesa in questi centocinquanta anni, estende i suoi effetti fino a oggi.
Con le disposizioni del concilio di Trento, alla metà del Cinquecento, cui corrisponde la mancata ricezione delle istanze della Riforma protestante, la Bibbia di fatto scompare dalle case degli italiani per circa quattro secoli1. Da allora le due traduzioni principali che avevano cominciato a circolare (Malermi 1471 e Brucioli 1532) sono considerate fuorilegge, utilizzabili solo con particolari permessi, e la versione latina Vulgata è proposta come l’unica versione accettabile.
Da allora e per due secoli nessuna Bibbia in volgare è stata pubblicata in Italia. L’assenza della Bibbia nella vita dei cattolici italiani è stata determinata da secoli di ortodossia sospettosa, che aveva posto il freno e la condanna alla sacra Scrittura in volgare, con una precisa e calcolata subordinazione del testo biblico al catechismo. È il catechismo che, dal concilio di Trento, domina i secoli successivi, e solo dentro questa impostazione avrà luogo il contatto del popolo con il libro sacro. La Bibbia è fatta conoscere con riassunti, provvidenzialistici, moralistici, comunque parziali della storia sacra, a partire dal Compendio historico del Vecchio e Nuovo Testamento cavato dalla Sacra Bibbia (Venezia 1587) di Bartolomeo Dionigi, più volte ristampato, ma poi finito all’Indice nel 1678, alle varie successive, tra le quali, per diffusione popolare e criteri di composizione, spicca la Storia sacra di don Bosco (Torino 1847). La vita di Cristo, in ambito italiano, è ridotta quasi esclusivamente ad acritica contemplazione mistica, ascetica e devota dei suoi ‘misteri’, da Bartolomeo de’ Ricci (Considerationi sopra tutta la vita di N.S. Giesu Christo, Roma 1610), fino a Giovanni Battista Zecchini (Compendio della vita di N.S. Gesù Cristo e di Maria Santissima, Venezia 1848). La Bibbia, insomma, è fatta conoscere in minima parte e solo con un’imponente mediazione del clero, pur con alcune eccezioni che mirano a un cristianesimo nutrito di Bibbia; come, con accenti diversi, Antonio Rosmini (m. nel 1855), che trova nell’approccio scientifico alla Bibbia letta e meditata una delle fonti primarie del suo pensiero, e Giovanni Bosco (m. nel 1888), convinto del valore morale e educativo delle Scritture, fonte di vita spirituale e appello alla santità.
In seguito alle disposizioni di Papa Benedetto XIV, che espresse l’auspicio di una traduzione della Bibbia in italiano (1757), monsignor Antonio Martini, arcivescovo di Firenze dal 1781, si accinge a una traduzione della Vulgata, pubblicata in diversi volumi (Torino 1769-1781 in 8° e Firenze 1782-1792 in 16°), con edificanti note teologiche, storiche e pastorali, infarcita di citazioni patristiche, che sarà utilizzata, benché la sua diffusione sarebbe stata condannata da Pio VII (1820), nel corso dell’Ottocento e fino agli inizi del Novecento. Ben nota è l’edizione in folio in due volumi (Treves, Milano 1869-1870), illustrata dal Doré, più volte ristampata.
I pochi protestanti italiani fanno riferimento alla versione dai testi originali di Giovanni Diodati (m. nel 1649), professore all’Accademia di Calvino, pubblicata a Ginevra in prima edizione nel 1607 (rev. 1641), con ricco apparato di note, e più volte revisionata; sempre importata dall’estero non è mai stampata in Italia prima dell’Unità.
La Società biblica britannica e forestiera (Sbbf) pubblicò più volte il Nuovo Testamento del Martini, senza note: già nel 1817, a Torino 1.000 copie e a Napoli 5.000 copie; nel 1849 a Firenze (stampate da Giovanni Benelli) altre 3.000 copie, poi requisite per ordine del Granduca, finirono in parte bruciate, in parte vendute sottobanco.
La Sbbf pubblica essenzialmente la Diodati e la diffonde nelle piccole quantità concesse dai tempi, dapprima addirittura con il beneplacito del vescovo di Messina (1812), ma presto, alla Restaurazione, la diffusione è vietata. In segreto dunque le Bibbie cominciarono a penetrare in Italia da Londra e dai dominions inglesi di Malta e di Gibilterra, da Basilea in Svizzera, finché non ne furono stampate ‘porzioni’ a Torino, a Napoli e poi soprattutto a Livorno, splendida base dell’attività della Sbbf. Da qui le Bibbie venivano trasportate, specie via mare, nei consolati inglesi a Nizza, Genova, Messina e fino a Trieste. L’azione delle società bibliche, di origine inglese, è vista con sospetto e considerata da Metternich uno dei fattori di «disordine» nell’Europa della Restaurazione; per il cardinal Consalvi, la voglia di moltiplicare le traduzioni della Bibbia altro non era che «un impegno diabolico». Le società bibliche vengono dunque condannate apertamente in una serie di encicliche e lettere papali della prima metà dell’Ottocento daPio VII (1816), a Pio VIII che nella Traditi humilitati (1829) si esprime contro «quelle Società che pubblicano nuove traduzioni dei libri santi», a Leone XII (Ubi primum, 1824)2. Gregorio XVI nell’enciclica Inter praecipuas machinationes (1844) scriveva
«condanniamo nuovamente con autorità apostolica tutte le Società bibliche […] si fanno rei di gravissima colpa innanzi a Dio e alla Chiesa tutti coloro che ardiscono iscriversi a qualcuna di queste Società o collaborare con esse o favorirle. Confermiamo inoltre e rinnoviamo con autorità apostolica le già antecedenti prescrizioni circa lo stampare, divulgare, leggere o tenere i libri delle sacre Scritture tradotti in volgare»;
coloro che le diffondono «benché si professino alieni dall’eccitare sedizioni civili, pur confessano che dal rendere comune ad ognuno del popolo l’arbitrio di interpretare le Scritture e dal diffondere così fra gli italiani quella che essi chiamano totale libertà di coscienza, ne verrà spontaneamente anche la libertà politica dell’Italia». La conoscenza diretta delle Sacre Scritture portava a ripudiare il magistero della Chiesa, e Pio IX rincarò la dose affermando nella Qui pluribus (1846) che le «astutissime Società Bibliche, rinnovando l’antica arte degli eretici, traducono le Sacre Scritture nelle lingue volgari, contro le più sante regole della Chiesa […] distribuendole a tutti affinché tutti, respinta la divina tradizione […] e l’autorità della Chiesa cattolica, interpretino a loro arbitrio le parole di Dio», condannandone nuovamente l’attività (damnatas esse volumus).
La repressione successiva all’incandescente 1849 segna un decennio forse ancora più duro di prima per la diffusione della Bibbia e per i protestanti. Un episodio poco noto riguarda il Nuovo Testamento Diodati pubblicato a Roma durante la Repubblica romana quale segno di libertà religiosa e civile da un pastore francese (Theodore Paul) su finanziamento scozzese, al quale non era estranea la Sbbf. Dopo mille peripezie (per esempio, un tipografo «che andava matto per la Repubblica metteva sempre repubblicani invece di pubblicani»), furono stampate 4.000 copie, l’edizione fu presentata a Mazzini, che sentiva nel Vangelo «un mormorio di fratellanza universale», e fu iniziata la distribuzione. Alla restaurazione pontificia le 3.600 copie ancora in deposito presso il console americano Nicholas Browne furono subito sequestrate e bruciate in un cortile interno del Vaticano. Libertà politica e fede evangelica, che nella Repubblica erano fiorite insieme, insieme furono represse. Poco noti sono anche i soprusi cui furono sottoposti alcuni lettori e diffusori della Bibbia Diodati, che fecero epoca rimbalzando dalla corte di Leopoldo II a Firenze e dal parlamento subalpino a Torino all’opinione pubblica internazionale: da Francesco e Rosa Madiai, fiorentini arrestati nel 1851 e condannati al carcere duro a Volterra e Lucca poi liberati nel 1853 sotto la pressione dell’opinione pubblica internazionale ma espulsi dal Granducato, al medico Daniele Mazzinghi di Volterra, arrestato a La Spezia (1853), difeso in parlamento dall’avv. Brofferio, deputato dell’estrema sinistra, ma comunque espulso dal Regno di Sardegna, alla famiglia Cereghino, di Favale vicino Chiavari, composta da suonatori ambulanti, arrestati e gettati in un carcere: uno di loro, costretto con la palla di piombo al piede, morirà per le fatiche. E si tratta solo della punta dell’iceberg. Negli anni immediatamente precedenti all’Unità, la Bibbia, considerata foriera di rivendicazioni di libertà religiosa e di diritti costituzionali, è al bando, vietata per legge e ricercata dalla polizia fin nelle case dei privati per essere sequestrata. Può quindi circolare solo nella clandestinità.
Con la proclamazione dell’Unità d’Italia e l’estensione dello Statuto albertino a tutto lo Stato, la situazione, da un punto di vista giuridico, viene modificata, rimanendo però un fatto di costume la repressione dei venditori di Bibbie, che avevano cominciato a girare per ogni angolo d’Italia, dalle Alpi alla Sicilia e alla Sardegna, dalle grandi città ai paesi dell’Appennino, alle isole minori. E negli anni successivi all’Unità si registrano ancora processi contro la diffusione della Bibbia. Il Sillabo del 1864 che condannava come errori le istanze del mondo moderno e il concilio Vaticano I (1870), che affermava «non è lecito a nessuno interpretare la Sacre Scrittura contro il senso indicato da santa madre chiesa» lanciando l’anatema contro chi non includeva nel canone biblico i libri apocrifi/deuterocanonici, inaspriscono la tensione tra laici e clericali. Il 20 settembre 1870 l’esercito italiano entrava in Roma sconfiggendo aPorta Pia l’ultima resistenza pontificia. Quel giorno, atteso, fu salutato dal protestantesimo italiano e da quello internazionale come il giorno del Giudizio annunciato dall’Apocalisse e, simbolicamente, alcuni colportori della Sbbf (Frandini, Francesco Modon, Luigi Ciari, Enrico Luraschi, Salvadori e altri) entrarono nella città con un carretto pieno di Bibbie: «l’artiglieria del Signore» come ebbe a commentare un giornale evangelico3. La prima edizione della Sbbf nella città fu allora un libretto che conteneva solo il Vangelo di Luca e le Lettere di Pietro (Roma 1871). La fondazione nel 1872 di una Società biblica italiana a Roma sostenuta daAlessandro Gavazzi, cui parteciparono personalità di spicco come Terenzio Mamiani, portò alla pubblicazione della Diodati a Roma, ma dopo il primo momento di entusiasmo la Società non ebbe il successo che si poteva sperare e conobbe breve durata. Tuttavia con la caduta del potere temporale non vi fu un’ondata di riforma evangelica: la Bibbia poteva essere venduta senza restrizioni e una certa libertà religiosa era garantita, ma l’Italia rimaneva cattolica e l’influenza del clero, che non perdeva né il suo prestigio né il suo ascendente sulla popolazione, persisteva. La popolazione di Roma, mai stupita di nulla né entusiasta di niente, divenne presto indifferente anche alla Bibbia. Se qualcuno reagiva a secoli di potere clericale, lo faceva abbandonando del tutto la fede cristiana: le masse identificavano cattolicesimo e cristianesimo. Uscire dal cattolicesimo significava nella grande maggioranza dei casi allontanarsi dalla fede cristiana, per poi magari rimanere legati agli atti liturgici: la proposta evangelica di una Chiesa riformata non venne capita. La forza della tradizione religiosa, l’abitudine al rito, secoli di potere temporale e di ignoranza avevano affievolito il senso critico: gli italiani non erano pronti ad accogliere una fede sostanziata dalla sola Bibbia.
La situazione cominciò a modificarsi con papa Leone XIII, che con l’enciclica Providentissimus Deus (1893) promuoveva gli studi biblici in campo cattolico, invitando gli esegeti cattolici a farsi una forte competenza scientifica così da misurarsi col mondo moderno, segnando un’inversione di marcia nel campo dello studio e della diffusione della Bibbia, ma anche rifiutando complessivamente le esigenze di rinnovamento, sconfessando chi voleva limitare l’inerranza della Scrittura alle sole verità religiose, ricordando tra gli avversari coloro che «asserivano essere la Scrittura l’unica fonte della rivelazione e il supremo arbitro della fede», e poi, rinnovando la proibizione di «tutte le versioni bibliche nelle lingue volgari preparate da acattolici e soprattutto quelle diffuse tramite le Società bibliche più di una volta condannate dai romani pontefici» (Costituzione Apostolica Officiorum ac munerum, 1897). Nei documenti ufficiali, dunque, da una parte permaneva la proibizione, dall’altra si assisteva a una certa, ancorché teorica, apertura alla Bibbia4.
Sulla scia delle precedenti disposizioni, Leone XIII all’inizio del secolo dà vita alla Pontificia commissione biblica (1902), un organo di controllo di quanto viene pubblicato in campo biblico e di promozione per gli studi dell’argomento, indicando una chiara linea di marcia ai docenti. Una iniziativa sorge proprio in Vaticano, quando un gruppo di ecclesiastici fonda la Pia Società San Girolamo (1902) per rendere accessibile la lettura della Bibbia in italiano. Il volumetto con Vangeli e Atti a cura di Giuseppe Clementi, padre Giovanni Gnocchi e padre Giovanni Semeria, avrà cinque edizioni per un totale di 150.000 copie. «L’Osservatore romano» del 16 maggio 1902 pubblicò un bell’articolo: «La lettura del vangelo svela il segreto delle disuguaglianze sociali […] è tempo di renderne popolare la lettura […] in ogni famiglia cattolica penetri il libro divino e col libro la brama di saperne il contenuto»; «L’Avvenire d’Italia» scriveva nel 1905 che «Le edizioni popolari del vangelo cominciano a correre fra le mani del popolo […] ma prima che noi siamo arrivati a distribuire tante copie quante sono le Bibbie che distribuisce la Società biblica inglese ci vorrà ancora molto tempo». Ma, dopo un tentativo di collaborazione con la Sbbf per produrre una Bibbia intera, la San Girolamo fu vista con sospetto, le alte sfere ecclesiastiche negarono il loro appoggio al progetto, e nel 1906 era già finita.
La situazione fu aggravata dalla crisi del modernismo. Pio X, cogliendo il punto centrale del mutamento dei tempi nel mutamento della nozione stessa di «verità» (che per il modernismo era in evoluzione, come in evoluzione dovevano essere i dogmi, tanto che la coscienza diventava il centro di tutto), condannava la capacità di autodeterminazione e stigmatizzava nella Pascendi (1907) la modernità come «sintesi di tutte le eresie». I due massimi esponenti del pensiero laico del tempo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile, la elogiarono, mentre invece furono Bonaiuti, che applicava il metodo storico-critico all’interpretazione dei testi biblici e propugnava l’autonomia degli studi religiosi dalle direttive del magistero, e Romolo Murri, che si batteva per un rinnovamento sociale sganciato dalla gerarchia, a coglierne in pieno la portata repressiva e a rispondere con una certa energia. Due esponenti di un fenomeno di portata europea, sviluppato fra clero e laici, che provocò la crisi più importante del cattolicesimo dopo la Riforma protestante e che cercò di organizzarsi per resistere e sopravvivere, ma fu sopraffatto, con uno strascico di «drammatiche lacerazioni e sofferti nicodemismi». Più tardi, la stessa situazione riaffiorerà con la nouvelle théologie, che si proponeva di rinnovare la tradizione biblica e patristica, ma finirà anch’essa colpita da Pio XII con la Humani generis (1950).
Intanto, insieme a iniziative che fioriscono all’estero, come l’École Biblique de Jérusalem (1890) per volontà di un grande pioniere degli studi biblici in campo cattolico, Marie-Joseph Lagrange, i cui scritti vengono comunque radiati dalla formazione dei chierici (1912), e lo Studium Biblicum Franciscanum (1901), che avranno riflessi anche in Italia, viene fondato il Pontificio Istituto Biblico (1909), affidato ai Gesuiti, di rilievo internazionale, con sede a Roma, e quindi di particolare interesse per il nostro paese. Ha formato varie generazioni di biblisti, in leale sintonia con il magistero ecclesiastico e ha dato il via alla ricerca e anche all’apostolato biblico. Diretto da personalità di primo piano come Agostino Bea, Max Zerwick, Carlo Maria Martini, pubblica riviste di alto valore scientifico, come «Biblica».
Due encicliche papali hanno poi interesse specifico per la Bibbia: la Spiritus Paraclitus (1920) con la quale Benedetto XV interpreta, con attenzione pastorale, il valore della Bibbia nella Chiesa, fonte di nutrimento per la vita spirituale e base fondamentale della teologia, e la Divino Afflante Spiritu (1943) di Pio XII, di carattere apologetico, che difende l’esegesi cattolica e apre alla critica testuale «come la Parola sostanziale di Dio si è fatta simile agli uomini in tutti i punti eccetto il peccato, così le parole di Dio, espresse in linguaggio umano, si sono fatte simili al linguaggio umano in tutti i punti, eccetto l’errore»: è un principio ermeneutico espresso al più alto livello e di grande importanza. È stato detto, in questo senso, che l’enciclica «riconcilia l’autorità della Chiesa con i ricercatori».
Da tutti questi pronunciamenti nasce, nel dopoguerra, un’impresa che sensibilizza, in Italia, il mondo cattolico alla Bibbia: l’Associazione biblica italiana (Abi, 1948), definita addirittura «provvidenziale» da Carlo Ghidelli. L’Abi ha saputo coinvolgere diverse categorie di persone (studiosi, clero, laici, insegnanti), assicurando una maggiore apertura e coordinando il lavoro biblico scientifico italiano. È «un’associazione privata di fedeli a carattere nazionale, riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI)» che «si propone di promuovere la conoscenza della Sacra Scrittura attraverso la ricerca scientifica e la divulgazione della Parola di Dio, secondo le direttive della Chiesa espresse soprattutto dal Concilio Vaticano II» (statuto del 1999). Dal 1955 promuove il movimento Leggere la Bibbia, che prelude al concilio Vaticano II. Pubblica due riviste specializzate: «Rivista Biblica» (dal 1953), che raccoglie le ricerche scientifiche di biblisti italiani, e «Parole di Vita» (dal 1956), di carattere pastorale, con articoli di tipo più divulgativo. L’Abi indice le Settimane bibliche nazionali (iniziate nel 1930), di cui pubblica gli atti. Dal 1984 è diventata membro della Federazione biblica cattolica.
Nonostante alcuni importanti pronunciamenti, l’avvio di promozione biblica e di alcune edizioni cattoliche di rilievo, all’inizio della seconda metà del Novecento la popolazione era impreparata ad affrontare l’argomento religioso in maniera critica e la Bibbia rimane un libro poco noto, quasi assente dalle case degli italiani: chi la legge è ancora guardato con sospetto. La Bibbia, in minima parte, si poteva conoscere a messa, ma, dal concilio di Trento fino alle disposizioni del concilio Vaticano II, per quattro secoli, ne veniva letta solo una minima parte, in un ciclo annuale, in latino. La mancanza di conoscenza biblica ha favorito la crescita di un sottobosco nel quale prolifera una religiosità popolare (spesso assecondata dalla gerarchia), talora sincretista e paganeggiante, agevolata dall’identità rurale, dalla vocazione agricola, dall’ignoranza della popolazione.
Con Giovanni XXIII e il concilio Vaticano II si assiste, come è noto, a un’innovazione profonda della Chiesa cattolica. La Pacem in terris (1963) e la Dignitatis humanae (1965) accoglievano i diritti dell’uomo e consentivano la libertà religiosa: era effettivamente un superamento del passato. Nell’attuare però questi decreti, sono intervenuti diversi problemi a partire dalla loro valenza giuridica all’interno della Chiesa, tanto più che l’interpretazione non fu uniforme e generale come per il concilio di Trento. Paolo VI ne ha dato un’interpretazione restrittiva: l’autonomia dell’uomo è delimitata (Gaudium et spes, 1965), c’è un giudizio morale, un controllo sugli indirizzi della vita personale, sociale e civile che spetta alla competenza dell’autorità ecclesiastica (Humanae vitae, 1968). Con Giovanni Paolo II (1978-2005) ci si è accorti che i testi conciliari, ai quali si doveva rimanere ancorati, non costituivano affatto una rottura, ma andavano interpretati nella tradizione, con rinvii a concezioni controriformistiche che ridefinivano l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo moderno, dei cui principi (di origine cristiana e quindi cattolica) la stessa Chiesa diventava la più sicura garante, perché depositaria della rivelazione. E Benedetto XVI vede identità tra Chiesa-fede-razionalità (Dominus Jesus, 2000): il rapporto tra Chiesa e modernità non è risolto.
Ma il concilio Vaticano II segna, per il nostro argomento, una vera cesura con il passato e un evento fondamentale per la diffusione e lo studio della Bibbia nella Chiesa cattolica. La sua costituzione dogmatica Dei Verbum (1965), che continua a collegare la Scrittura alla tradizione, afferma che la Chiesa «ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore», che «è necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura» e che, finalmente, «si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, di preferenza a partire dai testi originali dei sacri libri. Se, per una ragione di opportunità e col consenso dell’autorità della Chiesa, queste saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i cristiani» (Dei Verbum, VI, 22). La Chiesa cattolica apriva dunque le porte alle traduzioni della Bibbia dai testi originali nelle lingue nazionali, e quindi in italiano, e alla reale collaborazione con i protestanti. Anche se per gli evangelici il rapporto tra Sacre Scritture e Chiesa era compreso diversamente da come lo intendeva il mondo cattolico, queste affermazioni indicano quanto la Chiesa cattolica allora abbia radicalmente invertito le sue opinioni precedenti. Poco dopo, infatti, nel 1968, vennero firmati tra l’allora Segretariato pontificio per l’unità dei cristiani e l’Alleanza biblica universale (Abu) i Guiding Principles for Interconfessional Cooperation in Translating the Bible, documento che venne revisionato come Guidelines for Interconfessional Cooperation in Translating the Bible nel 1987: si stabilivano le linee generali di traduzione, i testi originali ebraico e greco cui attingere, la collocazione dei libri deuterocanonici (tra l’Antico e il Nuovo Testamento con apposita introduzione); inoltre si specificava il criterio precedente, «senza note, né commenti», sostenuto dalla Sbbf, come «senza note, né commenti dottrinali». È il più importante accordo della storia tra cristiani di diverse confessioni per la traduzione della Bibbia; nella sua prefazione si avverte che «il chiaro scopo di questo lavoro interconfessionale è quello di produrre edizioni della Sacra Scrittura che forniscano, a tutti coloro che parlano una stessa lingua, un testo comune. Ciò renderà possibile, spesso per la prima volta, una testimonianza comune alla Parola di Dio nel mondo di oggi».
In Italia i pronunciamenti della Dei Verbum vengono progressivamente accolti e messi in pratica, cominciando a modificare la situazione precedente nella misura in cui estendevano la loro influenza su tutte le diocesi5. Si diede dunque il via alla traduzione della Cei e alla Traduzione interconfessionale in lingua corrente (Tilc): fu un passo decisivo per la diffusione della Bibbia. Veniva quindi istituita, per iniziativa di Paolo VI e del cardinal Agostino Bea, la Federazione biblica cattolica (1969) per coordinare l’apostolato biblico delle Conferenze episcopali nazionali. La Cei entrava a farvi parte, rappresentata dall’Abi, grazie all’opera di convincimento del vescovo Ablondi (1988). Contemporaneamente (1989) l’Ufficio catechistico nazionale della Cei creava un settore per l’Apostolato biblico, molto attivo, che orienta e sostiene l’attività a favore della Bibbia. Fioriscono iniziative bibliche nel nostro paese, come Biblia (1984), «associazione laica di cultura biblica, che si propone di colmare un vuoto culturale, dovuto in Italia a molteplici ragioni che non hanno favorito la lettura della Bibbia»6.
La Pontificia commissione biblica pubblicava un importante documento, notevole e complesso, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993) che ricapitola tutti «i diversi aspetti della situazione attuale in materia di interpretazione biblica», «precisando l’orientamento che meglio corrisponde alla missione dell’esegesi nella chiesa cattolica», indicando la legittimità degli approcci esegetici moderni allo studio della Bibbia, accogliendo anche i dati raggiunti dalla ricerca altrui, e quindi legittimando il metodo storico-critico e valorizzando vari metodi o approcci esegetici alla Bibbia, senza atteggiamenti forzatamente apologetici o volutamente polemici, ma con sincero ascolto, con valutazione critica e serena della collaborazione fraterna7. Il documento promuoveva inoltre l’uso della Bibbia nella liturgia, nella famiglia e nella lectio divina, la celebrazione della parola di Dio, rilanciata, quest’ultima, ufficialmente, da Giovanni Paolo II (Novo millennio ineunte, 2000) e da Benedetto XVI8.
A seguito del concilio, il cattolicesimo ha incoraggiato la svolta ecumenica, e l’intreccio tra Bibbia e ecumenismo è sempre più stretto (Discorso di Giovanni Paolo II sull’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 1993), ha sostenuto le traduzioni ecumeniche di Bibbie (Enciclica Ut unum sint, 1995) e la Cei ha valutato positivamente la «felice collaborazione» con la SbI per la pubblicazione della Tilc (così La Bibbia nella vita della Chiesa, 1995, Nota spirituale proposta dall’Apostolato biblico).
Mentre nella prima metà del Novecento la Bibbia era rimasta un oggetto raro, non ignoto, ma quasi sospetto, dopo il concilio, la versione della Cei, la Nuovissima versione e la Tilc, fatta in comune con i protestanti, segnano importanti punti di arrivo. Eppure la Bibbia nella fede e nella cultura dei cattolici italiani rimane ancora marginale, stretta in una morsa di contraddizioni drammatiche, tra scarsa esegesi e mancanza di autorevolezza. Si può però affermare che il cambiamento che ha trovato nella Dei Verbum il suo fulcro ha portato la Chiesa cattolica a invertire – anche in Italia – la tendenza precedente, che risaliva al concilio di Trento, e a tradurre la Bibbia, a diffonderla, ad apprezzare il lavoro delle Società bibliche e a collaborare con esse.
Negli stati preunitari l’alfabetizzazione fu appannaggio di una minoranza che non necessariamente coincideva con la ricchezza o con la detenzione del potere politico, anche se spesso la carta geografica dell’analfabetismo corrisponde a quella della povertà. L’alfabetizzare non si esaurisce nell’insegnare a leggere e a scrivere, è l’inizio di un lavoro di coscientizzazione per diventare persone autonome.
Nel 1861 la percentuale di analfabeti dichiarati era del 78% (con punte di oltre il 90% in Sardegna, Calabria e Sicilia) contro il 75% in Spagna, il 45-47% di Francia, Belgio e Olanda, il 31% dell’Inghilterra, il 20% di Germania, Austria e Svizzera, il 10% dei paesi scandinavi. Siccome, però, le statistiche non distinguevano coloro che erano in grado, in qualche modo, di leggere, ma non di scrivere se non difficoltosamente la propria firma, le stime più attendibili fanno salire la percentuale media italiana ben oltre al 90%.
La lotta all’analfabetismo è affrontata dai primi governi italiani, che si limitano a estendere a tutto lo Stato la legge Casati del 1859. Essa prevede quattro anni di scuola elementare gratuita, ma non ne prevede l’obbligatorietà, per cui molte famiglie evitano di mandare i propri figli a scuola. La gestione del problema dell’analfabetismo fu ostacolata anche dall’indifferenza delle autorità religiose, oltre che di quelle politiche. Nel 1868 «La Civiltà cattolica», la rivista dei Gesuiti, si oppose decisamente al progetto di estendere la lingua italiana ai «branchi di zotici contadinelli» che popolavano le campagne del paese soprattutto del Sud. L’analfabetismo calò al 62% nel 1881, ma, nonostante già Gioberti avesse notato nel 1831 «Non sarà mai che gli italiani adoprino, se prima non si avvezzano a pensare», il ministro della Pubblica Istruzione, Guido Baccelli, ancora nel 1894 nel fare il programma della sua riforma della scuola, scriveva che «bisogna istruire il popolo quanto basta» e «mettere da parte l’antidogmatismo, l’educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere». Nel 1900 la percentuale degli analfabeti in Italia era al 56%, in Spagna al 51%, in Francia, Belgio e Olanda al 19-17%, Nord Europa tra il 3 e l’1%. La situazione nel Nord Europa è ben diversa, la tradizione dei paesi protestanti marcia in tutt’altra direzione: lì un elemento religioso primario è proprio il saper leggere, cantare, contare (Tullio De Mauro).
In concomitanza con la riforma della Scuola italiana prevista da Giovanni Gentile, il paese presentava, nel 1922, la seguente situazione (dati arrotondati): l’analfabetismo era del 50% nel Meridione, del 30% nel Centro e del 13% al Nord, con una media nazionale del 35% (con punta del 62% in Calabria). Nel 1950 la percentuale degli analfabeti era scesa al 13% (ma in Sardegna sfiorava ancora il 69%), mentre la Spagna era al 16, Francia e paesi del Nord Europa tra il 4 e l’1%. Nel 1961, cento anni dopo l’Unità, la percentuale raggiungeva ancora l’8,5%, poi gradualmente, negli anni successivi, l’Italia si avvicinò alla media europea.
La situazione italiana odierna è complessa. Nel 2008, su 57 milioni di italiani, circa il 40% è privo di titoli di studio o possiede al massimo la licenza elementare, e un totale di 36 milioni sono da considerarsi analfabeti, semianalfabeti o analfabeti di ritorno. Di questi, gli analfabeti totali sarebbero sei milioni. Queste statistiche, e la situazione è stazionaria, collocano l’Italia come fanalino di coda tra i trenta paesi più istruiti. Su questa base Tullio De Mauro, già ministro della Pubblica Istruzione, divide gli italiani (2006) in tre gruppi: 1/3 ha difficoltà di lettura, scrittura e calcolo; 1/3 supera appena questa difficoltà; 1/3 è pienamente alfabetizzato9.
È evidente che questa situazione, nel corso di 150 anni, ha avuto pesanti ripercussioni sulla lettura dei libri, e quindi della Bibbia, che sono stati molto meno diffusi che in altri paesi d’Europa. Ancora nel 2000 circa un terzo delle famiglie italiane dichiarava di non avere neanche un libro in casa.
Riguardo alla diffusione della Bibbia bisogna inoltre tenere presente alcuni dati tecnici e logistici. Innanzitutto i formati. Le Bibbie intere (con deuterocanonici o meno), che un tempo potevano circolare solo con l’imprimatur, possono presentarsi in vari volumi, come è accaduto ad alcune edizioni della Martini, del Vaccari, della Nuovissima Versione in campo cattolico, e alla Luzzi in campo protestante. In questo caso è evidente che la diffusione è contenuta per motivazioni di prezzo e forse di spazio: sono Bibbie che trovano posto solo negli istituti o nelle case di persone abbienti. Le Bibbie in un volume hanno invece maggiore diffusione, specialmente se sono facilmente trasportabili e maneggevoli. Con l’andar del tempo, l’antica Bibbia «di famiglia» era stata sostituita dalla Bibbia «personale», di cui ciascuno ha la propria copia. Questo fenomeno, riflesso di una nuova consapevolezza, inizia, in ambito protestante, col Risveglio di inizio Ottocento e, in ambito cattolico, dopo il concilio Vaticano II. La stessa Bibbia è pubblicata in diverse edizioni, da quelle rilegate in pelle che durano tutta una vita, apprezzate in ambito protestante, a quelle con la copertina rigida utilizzate nelle chiese, che non possono, per esempio, essere diffuse nelle carceri, a quelle in brossura per la larga diffusione.
Il Nuovo Testamento, economicamente più accessibile (rilegato insieme con i Salmi è tipico dell’ambiente protestante), ha maggiore mercato, anche perché la Chiesa cattolica ha avuto, almeno nei primi cento anni dall’Unità, scarso interesse per l’Antico Testamento e quindi per la diffusione della Bibbia intera. Riscuotono successo i singoli libri biblici, diffusi, a milioni, in libretti a bassissimo prezzo, spesso finanziati e dati in omaggio: i più stampati e diffusi sono stati il libro dei Salmi e il Vangelo secondo Giovanni.
Bibbie e Vangeli venivano venduti in libreria. Nei primi cinquant’anni erano reperibili, tranne rare eccezioni, praticamente soltanto nei depositi della Sbbf. A ridosso dell’Unità i maggiori si trovavano a Torino, Nizza e Livorno, nel 1881 i sette principali erano a Firenze, Genova, Milano, Livorno, Ancona (chiuso nel 1886), Roma e Napoli, dai quali dipendevano vari depositi secondari. Dal 1907 tutto fu concentrato a Roma. Le librerie nelle quali era disponibile una Bibbia erano poche in campo cattolico e in campo protestante c’era solo la Claudiana, per cui non era facile comprare una Bibbia. In Italia, praticamente fino a oggi, c’è sempre stata una differenza tra libreria religiosa (nella quale si può trovare la Bibbia) e libreria ‘laica’.
Nei primi cento anni le Bibbie protestanti, oltre che dai depositi, venivano diffuse da venditori ambulanti detti ‘colportori’. È questa una figura tipica della Società biblica (e del protestantesimo): personaggi di semplici costumi e di semplice fede, i colportori erano generalmente membri di una chiesa evangelica che si mettevano al servizio della diffusione della Bibbia, dei Vangeli e di piccoli trattati religiosi con un lavoro capillare che li portava a girare per le città e per le campagne fino ai posti più sperduti, provvisti di un sacco pieno di libri, oppure addirittura di un carretto tirato da un cavallo, o da un grosso cane. Diffondevano la Bibbia, considerata a lungo un libro «protestante», che rimandava ai tempi delle polemiche, e per questo erano malvisti dal clero e dalla popolazione bigotta. Talvolta venivano insultati, perfino incarcerati e, nei casi più eclatanti, la reazione alla loro presenza provocò tafferugli e incidenti, come quello di Barletta, dove nel 1866 persero la vita sei persone. La maggioranza era composta da volontari che ricavavano una percentuale dalle vendite, altri invece ricevevano un piccolo sussidio dalla Società biblica. Il loro numero salì progressivamente fino agli anni Sessanta, quando diminuirono per poi scomparire: ormai, dopo il concilio Vaticano II, la Bibbia si poteva trovare facilmente.
In questo contesto, per il posto particolare e specifico che occupa e ha occupato nella diffusione della Bibbia in Italia, merita una menzione speciale la Sbbf10. Fondata a Londra nel 1804, con lo scopo di tradurre, stampare e diffondere la Bibbia, senza note né commenti, è figlia del Risveglio moderato, del razionalismo e della mentalità scientifica del Settecento. Nasce in ambiente protestante con intendimenti ecumenici. Trova terreno fertile sul continente e quindi anche in Italia, dove i suoi agenti sono all’opera fin dai primi dell’Ottocento e dove aprirà una propria agenzia autonoma a Roma nel 1870. Diffondere la Bibbia non solo al clero, ma anche tra la gente del popolo, fu considerato un gesto rivoluzionario che toglieva l’esclusiva del sacro al clero. L’esclusione di note e commenti favorì la possibilità di una presa di coscienza e la formazione di un’opinione personale, autonoma, che poteva preludere al confronto e alla rottura con i dettami e con la condotta della Chiesa. Presto condannata, come si è visto, dai pontefici romani, la Sbbf si trovò a poter lavorare esclusivamente in ambiente protestante e si può ben dire che durante il Risorgimento la diffusione della Bibbia, l’attività della Sbbf e l’opera evangelizzatrice delle Chiese protestanti andarono di pari passo. Nel 1904, in occasione del centenario della Sbbf, il sinodo valdese definì la Società come «il più grande e il più glorioso monumento della provvidenza di Dio nel secolo scorso». La Sbbf, nel suo diffondere la Bibbia con costanza e tenacia in un mondo spesso ostile, nel suo proporre un contatto diretto con il testo sacro e quindi un libero esame, ha contribuito ad alfabetizzare masse senza nome con un lavoro capillare quotidiano. Il suo fine ultimo fu quello di distribuire la Bibbia a tutti, senza alcun commento, senza i libri apocrifi e senza l’interpretazione della Chiesa: presentare il testo e non l’interpretazione, lasciata alla libertà dei singoli lettori o delle varie confessioni. Proprio per questo fu osteggiata dalla Chiesa cattolica, che fino alla fine dell’Ottocento cercò sia di ostacolare l’opera costante e metodica dei colportori, sia di continuare a distruggere e emarginare le Bibbie prive di imprimatur. Dopo un momento di apertura e di speranze all’inizio del Novecento in concomitanza con l’opera della Pia Società San Girolamo, con l’avvento del fascismo la situazione tornò difficile in quanto «un buon italiano doveva essere un buon cattolico». Inoltre, secondo il nuovo codice di diritto canonico del 1917, gli autori e gli stampatori di Bibbie prive di imprimatur incappavano nella scomunica ipso facto. Durante la Prima guerra mondiale molti colportori operarono fra i soldati e i prigionieri, in appoggio ai cappellani protestanti, distribuendo decine di migliaia di copie del Nuovo Testamento appositamente stampate.
Durante il fascismo, nel 1927 il questore di Torino disponeva la revoca della licenza di commercio ai colportori della Sbbf che il prefetto giustificò perché «si è voluto impedire il perpetuarsi di una propaganda che la Sbbf sotto specioso pretesto della vendita ambulante del Vangelo intende certamente fare a danno del cattolicesimo, riconosciuto come religione di Stato, in contrasto pertanto al sentimento religioso della popolazione». Il provvedimento, in seguito alle proteste della Sbbf, venne poi ritirato. Nel 1929 i patti Lateranensi stabilivano il ruolo preminente del Vaticano e del cattolicesimo, modificando la situazione delle altre Chiese; la polemica religiosa fu stroncata: criticare la Chiesa cattolica è ora vilipendio alla religione di Stato, punito con norme apposite e ben applicate, il proselitismo fu vietato, la festività nazionale del 20 settembre abolita, l’ora di religione cattolica inserita nell’ordinamento scolastico. Benché la Sbbf si mostrasse apolitica, i suoi collegamenti con il mondo inglese erano ben noti a tutti e subì, soprattutto nel decennio 1934-1944, un’incisiva repressione da parte delle autorità governative, che arrivarono a chiuderne le attività nel 1936, cui seguì un calo del 60% nella diffusione della Bibbia. Nel 1936, quindi, il direttore Guido Miegge (1936-1967) giunse a una convenzione con il governo: la versione Riveduta fu obbligata a presentare nel frontespizio la dicitura che il revisore Luzzi era professore alla Facoltà valdese di teologia, perché fosse chiara subito la provenienza italiana e protestante. La situazione si inasprì nel 1939, le Bibbie furono fatte stampare in Svizzera, ma la Libreria Sacre Scritture della Sbbf, registrata come «ente morale straniero di culto acattolico», continuò la sua presenza e l’attività in Italia durante la guerra pur in mezzo a grandi difficoltà. Nel dopoguerra l’attività riprese a rilento: le Bibbie dovettero essere stampate in Inghilterra e le importazioni furono bloccate per circa un anno nel 1947-1948; seguì un nuovo rilancio e nel 1957 ben quattrocento colportori vendettero 200.000 Bibbie. Nel 1948 la Costituzione della repubblica sancì la libertà di culto ma recepì anche i patti Lateranensi e quindi la preminenza della religione cattolica sulle altre. La Sbbf ha continuato il suo lavoro editoriale sia con le versioni Diodati tradizionali, con la Riveduta del Luzzi, con la Nuova Riveduta, che rimangono favorite nel mondo protestante, sia, nel clima ecumenico successivo agli accordi sulla traduzione interconfessionale, con nuove traduzioni bibliche in collaborazione con la Chiesa cattolica italiana, sia mediando in Italia i testi originali e quelli nelle lingue straniere.
Dal 1968 la Sbbf pubblica un bollettino per amici e sostenitori della sua missione. Tra di essi si è quindi costituita legalmente, nel 1983 a Roma, la SbI, come «associazione cristiana indipendente, non legata ad alcuna confessione religiosa, senza scopo di lucro, avente per oggetto la massima diffusione delle Sacre Scritture da realizzarsi mediante le attività atte alla promozione di quest’opera». La SbI, che ha assunto la direzione del bollettino «La Parola», promuove la diffusione della Bibbia in Italia e nel mondo organizzando mostre e conferenze, preparando programmi per i paesi più poveri, raccogliendo i fondi necessari, esortando le Chiese cristiane a impegnarsi nella missione biblica, pubblicando sussidi informativi in occasioni speciali. La SbI è aperta a tutti coloro che ne condividono le finalità ed è amministrata da un Consiglio eletto dai soci, nel quale per statuto tutte le confessioni cristiane possono essere rappresentate: sono stati o sono membri del Consiglio, tra gli altri, i valdesi Renzo Bertalot, Bruno Corsani, Paolo Ricca, Gianni Long e Daniele Garrone, i vescovi Alberto Ablondi, Giuseppe Chiaretti, Vincenzo Savio, Carlo Ghidelli, Vincenzo Paglia.
Nel 1946 intanto si fondava l’Alleanza biblica universale/Abu (United Bible Societies - UBS) cui entrava a far parte la Sbbf, con tutte le sue agenzie, come membro fondatore, e successivamente anche la SbI. L’Abu, che, attraverso accordi di collaborazione nazionali e internazionali con cattolici, protestanti e ortodossi, stimola le diverse confessioni cristiane a svolgere insieme la traduzione e la diffusione della Bibbia, è diffusa dappertutto, coordinando il lavoro di 150 Società bibliche nazionali in duecento paesi del mondo (2010). L’Abu ha pubblicato l’intera Bibbia in 459 lingue del mondo, il solo Nuovo Testamento in 1.213, e almeno un libro biblico in 2.508 (dati 2009), con una diffusione media di 500 milioni di copie all’anno (comprese le «porzioni») e sostiene seicento progetti11.
L’antica versione del calvinista Diodati, pubblicata per la prima volta a Ginevra nel 1607 e in seconda edizione «migliorata e accresciuta» sempre a Ginevra nel 1641, ha avuto una vita lunga e avventurosa e continua, nelle sue varie revisioni, a essere letta fino a oggi12. Rappresenta un legame significativo e importante in Italia tra la Riforma del secolo XVI, l’evangelismo ottocentesco e il variegato panorama del protestantesimo odierno. L’autorevolezza storicamente consolidata della Bibbia Diodati nella vita della cultura e della fede del nostro paese non è eguagliata da alcuna altra traduzione biblica: è un classico, un libro importante nella vita della cultura (e della coscienza) italiana: da Vittorio Alfieri a Antonio Rosmini, Francesco De Sanctis eGabriele D’Annunzio, da Italo Calvino a Piero Jahier, dal protestantesimo colto all’evangelismo popolare. La sua storia è stata clandestina per oltre due secoli e mezzo, segnata da sequestri, pregiudizi, roghi, processi, ma ha conosciuto anche importanti revisioni, e poi aperta e ampia diffusione. Viene pubblicata dal 1808 dalla Sbbf, senza note né commenti, e dal 1822-1823, su pressione dei presbiteriani scozzesi e per disposizione dell’agenzia Sbbf di Malta, non contiene più i libri apocrifi/deuterocanonici, prima pubblicati in appendice.
Durante il Risorgimento la Bibbia del Diodati assume un significato simbolico eversivo nei confronti della religione di Stato e come tale viene considerata dalle autorità pubbliche. Era un libro rivoluzionario: basti pensare per esempio che Garibaldi non solo leggeva il Vangelo, ma anche custodiva un piccolo deposito di Bibbie a Caprera. La lotta politica era anche lotta religiosa e in una società dove la Bibbia ufficiale era la Vulgata, accessibile solo a coloro che conoscevano il latino, il possesso di una Diodati era diventato chiaro segno di un’affermazione di fede evangelica, del Sola Scriptura, fungendo da cartina di tornasole: leggere un libro condannato dal clero significa affermare di essere uomini liberi e là dove la Diodati viene letta si può individuare un nucleo protestante. Le perquisizioni di polizia si susseguono, parecchi vengono scoperti a leggere la Diodati, seguono denunce, sequestri, arresti, processi: alcuni sono condannati all’esilio, altri al carcere. In una società in cui la Bibbia era in latino, fu temuta la lettura della Diodati: il libero esame della Sacra Scrittura rivendicava un contatto diretto con la parola di Dio, escludendo la mediazione del clero e faceva paura. Cristo poteva essere conosciuto direttamente dai Vangeli tradotti in italiano e leggendo la Bibbia, in effetti, alcuni scoprirono che si poteva essere cristiani senza essere cattolici e divennero protestanti, a migliaia. La stessa Riforma protestante sarà vista come un atto di liberazione del pensiero moderno da Mazzini che, notando il contrasto tra la Germania di Lutero e quella di Metternich, scrive: «conosco io pure, io straniero un’Alemagna ch’io rispettando saluto: è quella che con la Riforma ci disse: “esame”» (Lettera ai nazionalisti tedeschi, 1861).
Negli anni immediatamente precedenti all’Unità, varie revisioni della Diodati vengono pubblicate a Londra curate da esuli, personaggi di spicco dell’evangelismo italiano: Teodorico Pietrocola Rossetti (1850), Salvatore Ferretti (1854), Piero Guicciardini (1855), Luigi Desanctis (1856). La prima edizione del Nuovo Testamento Diodati pubblicata in Italia da italiani sarà fatta a Torino nel 1860 dalla Claudiana, casa editrice protestante: tremila copie. E il sinodo valdese si farà promotore della prima pubblicazione «italiana» dell’intera Bibbia che, curata dal pastore Giovanni Pietro Revel, presidente del Comitato valdese di evangelizzazione, sarà finanziata dall’American Bible Society e uscirà a Firenze nel 1868 (duecentocinquanta anni dopo la prima edizione!). La sua diffusione diviene inarrestabile: è evidente che la Sbbf raggiungeva un pubblico molto più vasto di quello delle Chiese evangeliche al quale era legata, le cifre parlano chiaro: l’aumento vertiginoso della diffusione della Bibbia negli anni del Risorgimento fu favorito da un clima politico e spirituale: l’idea di possedere un libro condannato dal clero attraeva molti. Chi comprava una Bibbia non lo faceva solo per convertirsi all’Evangelo e vivere da cristiano, ma anche perché in questo modo affermava di essere un uomo libero; nel 1854-1858 furono vendute 25.000 Bibbie, in seguito alla Seconda guerra d’indipendenza oltre 30.000 e nel 1867, dopo la Terza guerra d’indipendenza, 50.000. La Diodati diviene presto disponibile in tutti i formati e tutte le vesti tipografiche, dal solo evangelo di Giovanni (Londra 1864), alla grossa Bibbia da pulpito (Roma 1875). Valdesi e scozzesi continuano a revisionarla per conto delle Società bibliche: R.W. Stewart e B. Pons (Firenze 1878), Th. Bruce, A. Meille e A. Revel (Roma 1885). Un ultimo ritocco linguistico è dato da A. Meille e G. Luzzi (Roma 1894): questa edizione, pubblicata per la prima volta dalla Claudiana, è stata stampata dalla Sbbf fino al giorno d’oggi.
Agli inizi del Novecento la Sbbf affida a un comitato la revisione della Diodati, non solo per aggiornarne la lingua, come era stato fatto fino a quel momento, ma per correggere la traduzione in alcuni punti e riconfrontare il testo con gli antichi manoscritti dei testi originali ignoti fino allora e da poco riscoperti (codici e papiri): ciò che non era trovato conforme ai testi ebraici e greci andava emendato. Il comitato fu presieduto da Giovanni Luzzi, professore alla Facoltà valdese di teologia. Dopo il Nuovo Testamento, uscì l’intera versione Riveduta, pubblicata dalla Sbbf a Roma nel 1924, che dava nuova vita all’antica traduzione, e ne ha promosso la diffusione e la conoscenza nell’Italia del Novecento. Alla fine del secolo un nuovo comitato, cui partecipano congiuntamente la Società biblica di Ginevra e la Sbbf, ne elabora un’ulteriore revisione, dando origine alla Nuova Riveduta (1994-1995). Della versione Diodati, Riveduta e Nuova Riveduta in duecento anni sono state vendute oltre un milione e mezzo di copie di Bibbie più due milioni di Nuovi Testamenti, oltre a circa venti milioni di porzioni minori.
Negli stessi anni viene pubblicata una Nuova Diodati (1991), revisionata linguisticamente ma senza tener conto dei testi antichi riscoperti, né delle loro edizioni critiche, né quindi dell’operazione delLuzzi.
Nel 1911, intanto, il pastore e teologo valdese Giovanni Luzzi (1856-1948), svizzero-toscano, pubblica Il Nuovo Testamento del N.S. Gesù Cristo edito dalla casa editrice «Fides et Amor», fondata dallo stesso Luzzi, cui segue la monumentale Bibbia tradotta dai testi originali e annotata in dodici volumi (Fides et Amor, Firenze 1921-1930), l’impresa di un uomo che da solo ardì tradurre dai testi originali e commentare l’intera Bibbia13. La traduzione era lavoro scientifico e opera comprensibile a tutti: nel volume introduttivo, nelle introduzioni e nei commenti si rielaboravano le ricerche condotte dalla scuola esegetica di Tübingen, senza però aderire sempre alle conclusioni alle quali essa era giunta: egli desiderava utilizzare la ricerca storico-critica per far luce sul centro del messaggio biblico ed era aperto alla collaborazione ecumenica. Il Nuovo Testamento e Salmi (1930) ebbe successo, mentre la Bibbia intera, pur pregevole, non ebbe grande diffusione forse anche per questioni economiche. Luzzi sperava di ottenere l’imprimatur della Chiesa cattolica, ma la sua versione sarà oggetto, invece, di un monito specifico del Sant’Uffizio del 2 aprile 1925, che cercò di vietarne la circolazione perché «infetta dei soliti pregiudizi protestantici e razionalistici» e perché «tende evidentemente ad insinuare la massima eretica che le diverse comunioni cristiane, benché separate da loro e dalla Sede Apostolica, devono considerarsi di pari diritto come altrettanti rami dell’unica vera chiesa di N.S. Gesù Cristo». Tale monito colpì duramente la casa editrice cattolica Sansoni con la quale erano già stati pubblicati alcuni volumi, che temeva una perdita finanziaria e di prestigio nel portare avanti il progetto; per cui la collaborazione fu interrotta. Il lavoro fu continuato con la «Fides et Amor» che poté procedere con la pubblicazione grazie all’aiuto economico di Mrs. Stewart Kennedy, americana benefattrice della Chiesa valdese.
Solo centocinquanta anni dopo l’edizione del Martini, iniziarono, in ambito cattolico, nuove traduzioni della Bibbia tratte dalla Vulgata latina14. La stessa edizione del Martini fu revisionata da Sales e pubblicata da R. Berutti nel 1931. Intanto una nuova traduzione fu curata nel 1929 per le edizioni Fiorentina da A. Mercati, G. Mezzacasa, G. Ricciotti ed altri, che aveva l’intento esplicito di voler rimediare alla diffusione solo protestante della Bibbia; l’edizione fu ristampata da Salani in vari volumi nel 1939-1940 e infine in uno solo, curato dal Ricciotti nel 1955.
Altra traduzione fu quella delle Edizioni Paoline promossa dal fondatore don Giacomo Alberione che auspicava, nelle edizioni della Bibbia, il carattere pastorale e un commento destinato a toccare la mente, la volontà e il cuore dei destinatari: tutti elementi delineati già dal Vangelo del 1924, uscito in sei edizioni per un totale di 200.000 copie. La traduzione completa, «la Bibbia delle famiglie», la prima commentata dalle Paoline, fu curata da Eusebio Tintori, che scriveva nella prefazione del 1926 «Incaricato dalla Pia Società San Paolo di tradurre e annotare tutta la Bibbia, giunto quasi in fondo al lavoro, ho creduto bene di preparare il popolo alla lettura benefica di tutta la Bibbia con una specie di teologia storica, dogmatica, morale della Sacra Scrittura». La Bibbia intera in due volumi apparve nel 1928-1930 (45.000 copie), poi snellita in un volume, in formato medio (9 edizioni fino al 1958) e grande (8 edizioni fino al 1959). Questa Bibbia verrà poi revisionata sul testo greco (Castoldi, Nardoni, Pasquero, Robaldo) e diverrà, promossa anche da Papa Giovanni XXIII, la ‘Bibbia a mille lire’ (ed. Paoline 1961), che costituì agli inizi degli anni Sessanta un vero boom editoriale e fu diffusa fino al 1979 in una proporzione prima impensabile, con cinque formati e 24 edizioni: un milione di copie.
Le traduzioni dai testi originali (ebraico e greco) iniziarono in campo cattolico nella seconda metà del XX secolo. La prima versione dagli originali in italiano fatta in campo cattolico dall’invenzione della stampa fu quella del gesuitaAlberto Vaccari del Pontificio istituto biblico, pubblicata dalle edizioni Salani in dieci volumi nel 1943-1958 e infine ridotta in un volume unico nel 1957-1958. Vi sono, poi, la bella versione di Fulvio Nardoni (ed. Fiorentina 1960), uscita in ben cinque edizioni, fino alla ristampa dei Salmi fatta da Einaudi nel 2000; quella coordinata da Salvatore Garofalo, professore di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Urbaniana e primo presidente dell’Abi, corredata da amplissime note storico-esegetiche e uscita in diversi volumi e poi in unico volume, editio minor (ed. Marietti 1960); quella diretta da Bonaventura Mariani O.F.M. (ed. Garzanti 1964) delle Università pontificie di Propaganda Fide e Lateranense. Una versione nuova e storicamente fondamentale fu curata da tre grandi personalità, Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano, per la Utet (1964): incontrò favorevole accoglienza da parte del pubblico e giudizio positivo da parte degli specialisti del settore della critica testuale per la fedeltà all’originale.
Nel 1965, la Cei avviò una traduzione ufficiale della Bibbia per venire incontro alle esigenze dell’uso liturgico e che rispondesse a criteri di esattezza nel rendere il testo originale, precisione teologica, modernità, buona lingua italiana, eufonia. Pur condotta sui testi originali, la nuova versione doveva tener conto della Vulgata (sotto revisione da parte di una speciale Commissione pontificia presieduta dal cardinale Bea) e prese come traduzione di riferimento la traduzione di Galbiati, Penna e Rossano (Utet 1964). Il comitato di traduzione, presieduto dal cardinale E. Florit, arcivescovo di Firenze, lavorò per quattro anni, altri due furono necessari per la revisione, e nel 1971 la versione (editio princeps) fu approvata dalla Cei (presidente cardinale A. Poma) e quindi pubblicata, con presentazione della Segreteria generale. Alcuni miglioramenti furono apportati nell’edizione del 1974 (editio minor). Questa traduzione è l’unica ammessa nelle celebrazioni liturgiche; secondo le intenzioni originarie non è intesa direttamente per l’uso scolastico primario e per la lettura privata (i primi passi sono affidati ad altre traduzioni), si propone come un traguardo ulteriore. Dell’edizione Cei-Uelci nel periodo 1971-2002 sono state pubblicate 2.400.000 copie.
In seguito alla revisione del testo della Vulgata, con la Nova Vulgata fu necessario un aggiornamento della versione, cogliendo anche l’occasione per alcune correzioni, e per revisionare introduzioni e note. Approvata dalla Cei nel 2007, è stata pubblicata nel 2008, con presentazione del Segretario generale G. Betori.
Fatto eccezionale, il testo Cei è stato utilizzato anche per altre due versioni da studio. Le versioni francesi Bible de Jérusalem, pubblicata dall’École Biblique de Jérusalem (1973, rev. 1998), e la Traduction Oecuménique de la Bible / TOB, pubblicata dalle Edizioni Du Cerf (1975, rev. 1987), nell’edizione italiana riportano il testo della Cei e soltanto le introduzioni e le note sono tradotte dagli originali francesi; sono la Bibbia di Gerusalemme (ed. Dehoniane, Bologna, 1974, rev. 2009), molto diffusa in ambiente parrocchiale, e la Bibbia TOB (Elledici, Leumann, Torino, in tre volumi nel 1976-1979, poi ridotti a uno nel 1992, rev. 2009).
Tratte dalla Cei sono anche la Bibbia a cura dei Gesuiti, con ricco apparato, note, disegni, fotografie (Civiltà Cattolica, 1978), la Bibbia per la formazione cristiana, ripresa dall’edizione spagnola, a cura di L. Chiarinelli, A. Filippi e altri (EDB 1993), e la Bibbia Piemme (1995), con commento sistematico al testo, curata da Luciano Pacomio, Flavio Della Vecchia e Antonio Pitta.
Le edizioni Paoline hanno pubblicato la Nuovissima Versione della Bibbia (‘la Bibbia delle Paoline’), dai testi originali, in diversi volumetti dal 1967 al 1980 (ciascuno per ogni libro biblico), coordinata dal paolino don Antonio Girlanda, con ampie e numerose note a cura di Fedele Pasquero, con la collaborazione di 29 biblisti italiani, rivisti per l’Antico Testamento da S. Virgulin e G. Bernini, e per il Nuovo Testamento da C.M. Martini. Nel 1983 il testo venne presentato in un unico volume, con nuove introduzioni e note, mentre nel 1984 tutti i volumetti, riveduti e ampliati, vennero raccolti in tre grossi volumi. Questa Bibbia ha avuto grande accoglienza e larga diffusione (versione in quattro volumi con note integrali nel 1991).
È sempre da questa Bibbia che nel 1998 è nata la Bibbia Emmaus, ormai ben affermata, arricchita di nuove introduzioni, note e sussidi, grazie al team editoriale di G. Ravasi, P. Rossano e A. Girlanda. In edizione ridotta prende il nome di Bibbia Tabor (1999). Con altro tipo di note la Bibbia Ebron (2000).
Una nuova Società biblica italiana, convinta che la disponibilità di una versione collettivamente intrapresa avrebbe contribuito all’intensificazione dei rapporti fra ebrei e cristiani e fra cristiani delle varie denominazioni, si fece promotrice, nel 1959, di una versione in lingua viva e scorrevole, a realizzare la quale furono invitati studiosi di varia provenienza religiosa e laica, che prese il nome di Bibbia Concordata. Molti specialisti accettarono e si posero al lavoro, dopo averne convenuti i criteri comuni e decisa la scelta dei testi critici degli originali ebraici, aramaici e greci. Benché la traduzione di ogni libro da parte di un singolo biblista venisse sottoposta al controllo di colleghi di tutte le altre denominazioni religiose, si tratta di una raccolta di traduzioni diverse: è interreligiosa nel senso che accosta contributi di studiosi di religioni diverse, ciascuno dei quali è responsabile del libro biblico che gli fu affidato dalla redazione. Tra i traduttori e collaboratori ricordiamo: S. Cipriani, F. Montagnini, B. Prete, L. Moraldi, G. Gamberini, A. Ravenna, A. Soggin, P. Kizeridis.
La Concordata viene munita dell’approvazione della competente autorità cattolica (Salvatore Baldassarri, arcivescovo di Ravenna) nonché di documenti di consenso di personalità ortodosse (Atenagora), ebraiche (Elio Toaff) e protestanti (Max Thurian). Fu pubblicata nel 1968 ed ebbe cinque edizioni; l’ultima, del 1982 (Mondadori), affermava, nella prefazione, di essere «la prima Bibbia, nella storia, destinata a tutte le confessioni e a tutti gli uomini di buona volontà». Prepara la via all’idea che la Bibbia può essere tradotta insieme da credenti che provengono da confessioni cristiane diverse, e quindi a una futura opera nella quale la collaborazione si spingerà fino a una traduzione davvero comune.
In seguito ai citati accordi tra l’Abu e la Chiesa cattolica, viene dato l’avvio nel 1972, in Italia, a una traduzione interconfessionale, fatta completamente insieme, in tutte le sue fasi, da cattolici e evangelici, collocando i libri deuterocanonici fra i due Testamenti. La traduzione è in lingua corrente, cioè con il metodo delle «equivalenze dinamiche-funzionali» che cerca di rendere il testo ebraico e greco con parole e forme della lingua abitualmente usata nei rapporti interpersonali. Restando fedele ai testi originali e rispettando le caratteristiche dell’italiano, questo tipo di traduzione cerca di rendere i testi biblici più comprensibili al lettore di oggi.
Dopo quattro anni di lavoro è stato pubblicato il Nuovo Testamento in coedizione tra Abu/Sbbf e Libreria Dottrina Cristiana (Elledici), nel 1976. L’intera «Parola del Signore» - La Bibbia, traduzione interconfessionale in lingua corrente è apparsa nel 1985, diretta da Jan de Waard e Carlo Buzzetti, coordinata da Renzo Bertalot, con il coinvolgimento di un centinaio di studiosi tra traduttori, revisori e consulenti. Munita dell’imprimatur della Chiesa cattolica (Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino), è accolta dalle Chiese evangeliche. La Bibbia è stata presentata a papa Giovanni Paolo II e al presidente della Repubblica Francesco Cossiga, oltre a varie altre autorità laiche ed ecclesiastiche. Ha avuto un ottimo successo editoriale, numerose edizioni e formati con inserti speciali (per i giovani, per le scuole, ecc.). Secondo statistiche ufficiali la diffusione conta quattro milioni di Nuovi Testamenti (1968-2010), oltre un milione di Bibbie (1985-2010) e cinque milioni di porzioni minori (tra le quali un milione in occasione del bimillenario del 2000). È in corso di stampa la seconda edizione revisionata dell’intera Bibbia, attesa per il 2011.
Nel corso del 1997, la SbI e la Sbbf hanno proposto alle Chiese il progetto di una traduzione «letteraria ecumenica» del Vangelo secondo Giovanni, per presentare «insieme», alla società, il testo biblico. Si tratta di una traduzione «formale», che sottolinea soprattutto la valenza culturale del testo biblico e fornisce al lettore un testo attuale – apprezzato dagli specialisti – nel quale si può cogliere anche la lontananza nel tempo e nello spazio del testo di partenza. Una specifica attenzione infatti è rivolta alla forma letteraria del testo originale greco. Pubblicato il Vangelo secondo Giovanni nel 1999, l’esperienza è proseguita con altri libri del Nuovo Testamento ed è tuttora in corso. È frutto di larga condivisione e collaborazione ecumenica e vi partecipano ufficialmente anglicani, cattolici, evangelici e ortodossi, essendo il testo «approvato dall’Alleanza Biblica Universale d’intesa, secondo le proprie disposizioni, con le Chiese e gli organismi che hanno aderito al progetto».
In anni recenti si è assistito a letture pubbliche della Bibbia che hanno coinvolto un grande pubblico.
L’attore Franco Giacobini ha letto il Vangelo di Marco (versione Tilc) quattrocento volte in vari teatri d’Italia, raggiungendo un uditorio di oltre centomila persone e, insieme ad Angela Goodwin, l’intera Bibbia, sempre nella versione Tilc, a Roma (Chiesa valdese di piazza Cavour e Rettoria di S. Lucia del Gonfalone, 2004-2009), lettura ora disponibile su CD predisposto dalla Sbbf-Sbi che hanno sostenuto l’evento.
Nel 2008 si è svolta a Roma, nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme una lettura integrale della Bibbia, con 1200 lettori delle varie Chiese cristiane (giovani e anziani, laici e clero, personalità del mondo religioso, ma anche della cultura, dello sport, della politica, dello spettacolo), ripresa da RAI-TV con la più lunga diretta mai realizzata da una rete televisiva: 139 ore consecutive. Si calcola che oltre dieci milioni di persone abbiano seguito l’eccezionale evento.
Tra i siti internet sui quali si possono trovare traduzioni intere della Bibbia (Cei, Tilc, Diodati, Riveduta, Nuova Riveduta), per la ricerca e lo studio della Bibbia online, che permette rapidi confronti, segnaliamo: www.bibbiaedu.it; www.laparola.net; www.pacetv/.itbibbia.htm. Sempre utile il sito della Sbi/Sbbf/Abu: www.italiabiblica.it.
Sono state allestite mostre specifiche della Bibbia in cui esporre testi biblici e pannelli con le vicende del libro.
La Sbi ha organizzato diverse mostre itineranti della Bibbia in Italia, con pannelli a colori che nel corso degli anni hanno migliorato la loro veste grafica e contenutistica, e con libri da esposizione, che possono essere considerate le mostre bibliche più capillari nel nostro paese. Le mostre hanno presentato la storia del testo, dagli antichi manoscritti fino a oggi, gli intrecci con la storia dell’arte dagli antichi sarcofagi romani al secolo XVI, le vicende plurisecolari della versione Diodati, i rapporti con la scienza e la tecnica tipografica. Esposte da una ventina di anni (1992-2011) in quattrocento località diverse, dalle grandi città ai piccoli paesi di provincia, dal Nord al Sud alle isole, gestite da realtà cattoliche, protestanti ed ecumeniche, e fin dentro alla Città del Vaticano, per esempio in occasione del sinodo dei vescovi dell’anno 2008, arricchite da una serie di opuscoli e da conferenze di specialisti, hanno promosso la conoscenza della Bibbia raggiungendo circa mezzo milione di persone.
Di particolare prestigio e rilievo sono state le due mostre, fra loro collegate, allestite a Roma per il bimillenario di Cristo (2000): una dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, I Vangeli dei Popoli, presso il Palazzo della Cancelleria, rende visibile il cammino del Nuovo Testamento nella storia, dalle origini a Gutenberg, avvalendosi di eccezionali testimonianze provenienti dalla Biblioteca Vaticana e da altre biblioteche europee; l’altra dall’Abu, La Parola che cambia il mondo: la Bibbia dalla stampa al computer (1450-2000), presso il Complesso dei Dioscuri, dedicata alle edizioni dei testi biblici a partire dall’invenzione della stampa fino agli odierni supporti multimediali. A queste sono state collegate le esposizioni delle Bibbie atlantiche, articolate nelle due sedi dell’abbazia di Montecassino e della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.
Due sono le traduzioni rilevanti fatte da ebrei italiani della Bibbia ebraica. La prima è quella di Samuele Davide Luzzato (m. nel 1865), personalità del mondo della cultura, pubblicata postuma da altri suoi continuatori (Rovigo, 1868-1875). La seconda è quella del rabbino Dario Disegni (1878-1967), maestro di ebraismo e consapevole dell’importanza fondamentale della diffusione della Torà, soprattutto per avvicinare in modo significativo gli ebrei italiani alle loro radici, che ha dedicato l’ultima parte della sua vita alla traduzione dei quattro volumi del Tanakh (la Bibbia ebraica: Pentateuco e Haftarot, Profeti anteriori, Profeti posteriori, Agiografi). Dell’opera Disegni è stato ideatore, coordinatore e traduttore (insieme ad altri) e infine editore. I volumi, che presentano il testo originale ebraico con a fronte la traduzione in italiano, uscirono nel 1960-1967, trovando vasta accoglienza del pubblico, ebraico e non. Dopo tre edizioni fatte in proprio, una quarta è stata poi pubblicata, in quattro volumi, dall’editrice La Giuntina (Firenze 1995-1996).
L’edizione più nota del Nuovo Testamento greco in uso in Italia è tuttora il Novum Testamentum Graece Nestle-Aland (1 ed. Nestle del 1898; ultima 199327, rev. 2001). Il testo coincide con quello del Greek New Testament, pubblicato dalle UBS (1966), giunto alla quarta edizione (1993, rev. 2001) curata da un comitato interconfessionale composto da K. Aland, B. Aland, J. Karavidopoulos, C.M. Martini e B.M. Metzger, differenziandosene per alcune caratteristiche dell’apparato critico, per le introduzioni, i titoli dei paragrafi, e la grafica. Alcune edizioni pongono in parallelo il testo latino della Vulgata prima e della Neovulgata poi, altre il testo italiano Cei (Nuovo Testamento greco - italiano, a cura di B. Corsani e C. Buzzetti, Sbbf, Roma 1996). Nel periodo 1996-2010 in Italia sono state vendute circa 1.000 copie all’anno di queste edizioni greche, complessivamente intese.
Dal 1933 viene pubblicata dal Pontificio Istituto biblico di Roma l’edizione critica del testo greco, con testo latino a fronte, curata da Augustin Merk (m. 1945), più volte riedita (199211) e curata da vari studiosi. L’edizione del 1984 è stata ripresa nel Nuovo Testamento greco e italiano, a cura di G. Barbaglio, EDB, Bologna 1990.
Per l’Antico Testamento il testo ebraico più utilizzato è quello della Biblia Hebraica Stuttgartensia, insieme a quello privo di note curato da Snaith, dei quali dagli anni 1980 si distribuiscono complessivamente circa 400 copie all’anno. Il testo greco della Septuaginta (curato da Rahlfs), nello stesso periodo, ha raggiunto circa 300 copie annue.
Le edizioni della Vulgata latina sono state ovviamente numerose. La più recente è la Biblia Sacra, Vulgatae editionis. Sixti V Pontificis Maximi iussu recognita et Clementis VIII auctoritate edita. Nova editio accurate emendata, del 2003, dove il testo è arricchito dagli accenti che ne favoriscono la lettura. La Nova Vulgata è una moderna revisione della Vulgata (1979) che costituisce, ora, la versione ufficiale per la liturgia latina della Chiesa cattolica. Un documento ufficiale (Liturgiam authenticam 2001) ribadisce la centralità di questo testo latino, al quale le traduzioni bibliche cattoliche liturgiche nelle varie lingue nazionali devono fare riferimento.
Non è questo il luogo in cui menzionare e presentare i vari commentari biblici in lingua italiana, che tradizionalmente nel passato sono stati piuttosto scarsi e modesti, ma bisogna fare una segnalazione particolare degli ultimi cinquanta anni: la casa editrice Paideia, fondata a Brescia nel 1961 da G. Scarpat, si distingue in particolare per la saggistica biblica. Nel corso di una quarantina d’anni, al Grande Lessico del Nuovo Testamento di Gerhard Kittel (in 16 volumi, 1963-1992) si sono affiancati il Grande Lessico dell’Antico Testamento di Johannes Botterweck, Helmer Ringgren e Heinz-Joseph Fabry (in 10 volumi) e il Dizionario esegetico del Nuovo Testamento di Horst Balz e Gerhard Schneider (2 volumi); la prima e la seconda serie del Nuovo Testamento (in vari volumi); poi commentari teologici e altri strumenti di prim’ordine accompagnati da centinaia di saggi d’argomento biblico e religioso che tengono costantemente aggiornato il campo della ricerca nel settore con opere dei nomi più illustri della ricerca internazionale e italiana.
La questione della diffusione della Bibbia è strettamente collegata con quella della libertà, civile e religiosa. Nei centocinquanta anni, due date rimangono fondamentali. La prima è proprio il 1861 quando, con l’Unità, lo Statuto Albertino si estende a tutto il nuovo Stato permettendo libertà di stampa e diritti civili alle minoranze religiose, e quindi possibilità di diffusione al protestantesimo e possibilità alla Bibbia di circolare legalmente. La seconda è il concilio Vaticano II, e in particolare la Dei Verbum del 1965, che comincia a modificare la situazione che si era venuta a formare con il concilio di Trento di quattro secoli prima: da una parte, l’affermazione della necessità di un largo accesso alla Scrittura e l’autorizzazione di versioni della Bibbia in italiano segnano l’inizio di una diffusione biblica di massa; dall’altra, l’apertura verso i «fratelli separati» porta, invertendo precedenti disposizioni, agli accordi con le Società bibliche. Si assiste dunque, in ambito cattolico, a un progressivo, quanto relativamente recente, interesse per la Bibbia. Le piccole Chiese protestanti, in particolare storicamente la Chiesa valdese, poi anche i Fratelli, le missioni straniere e i pentecostali, per il loro impegno nella lettura, nella diffusione e nello studio della Bibbia, hanno giocato un ruolo rilevante in questa vicenda.
Paradossalmente in Italia, dove la Chiesa, la tradizione e il rito hanno preso il sopravvento, c’è poca Bibbia; eppure «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», come scriveva Girolamo. Senza la Bibbia non c’è conoscenza di Cristo: è per questo che l’Abu, nell’assemblea mondiale in rappresentanza delle Società bibliche nazionali, ha riconfermato il proprio compito di «raggiungere la diffusione massima, effettiva e significativa di Sacre Scritture» (Dichiarazione di Midrand, 2000).
Proporre un contatto diretto con la Bibbia, che non è un bene esclusivo, né un prodotto esclusivo, né un monopolio di caste particolari, vorrebbe dire «alfabetizzare» la popolazione, contribuire a liberarla dalla dipendenza e dall’ignoranza, metterla in grado di crescere esercitando una propria capacità critica, perché il rapporto diretto con le scritture evangeliche rappresenta, nel contesto odierno, una difesa contro le pretese gerarchiche e dogmatiche, istituisce un collegamento con la laicità delle istituzioni, il pluralismo dei contributi e l’autentica libertà religiosa. La Bibbia aperta al libero esame di una umanità moderna rivelerà sempre meglio il Cristo dei Vangeli, fermento di una vita nuova per il paese e per le stesse Chiese, che non sono esentate dal riconfrontarsi continuamente con la Parola scritta.
1 Cfr. La Bibbia nell’epoca moderna e contemporanea, a cura di R. Fabris, Bologna 1992 (in partic. G. Ghiberti, Esegesi biblica e interesse alla Bibbia in Italia, pp. 224-245; G. Betori, Tendenze attuali nell’uso e nell’interpretazione della Bibbia, pp. 247-291).
2 Per questo rapporto si veda D. Barbuscia, Magistero Romano e Società Bibliche, Roma 2008. Inoltre, La Parola che cambia il mondo, la Bibbia dalla stampa al computer (1450-2000), a cura di A.F. Jesson, M. Cignoni, Roma 2000, specialmente l’articolo di M. Cignoni, La presenza in Italia delle Società Bibliche, ibidem, pp. 33-41.
3 Inoltre La Bibbia in Italia, a cura di G. Platone, Torino 2004, soprattutto gli articoli di C. Buzzetti, G. Bouchard, C. Ghidelli, M. Cignoni, D. Barbuscia. M. Cignoni, La Bibbia a Roma nel Risorgimento, in DR supplemento al n. 2/1993 de «La Parola». Affermazione del Rev. Van Meter fatta a Londra, riportata in La Roma Evangelica, del 1° giugno 1873, p. 110. La Bibbia viene considerata come «il cannone che distruggerà il Vaticano» anche da Garibaldi, cfr. A. Jahier, La Bibbia nel giudizio di illustri italiani, Torre Pellice 1923, p. 73.
4 Cfr. M. Pesce, Il rinnovamento biblico, in Storia della Chiesa. La Chiesa del Vaticano II (1958-1978), a cura di M. Guasco, E. Guerriero, F. Traniello, XXV, 2, Milano 1994, pp. 167-216.
5 Si veda La Sacra Scrittura, I documenti ufficiali della Chiesa, a cura di B. Maggioni, Milano 1996.
6 I documenti sono raccolti in Ucn, La Bibbia nella vita della Chiesa, Leumann 1996.
7 Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Città del Vaticano 1993. Inoltre, la raccolta contenuta in Enchiridion Biblicum. Documenti della Chiesa sulla Sacra Scrittura, Bologna 1993 e L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (Roma 1999), Città del Vaticano 2001.
8 Su questa pratica cfr. C. Ghidelli, Lectio divina in famiglia, Leumann 1992.
9 Cfr. T. De Mauro, La cultura degli italiani, a cura di F. Erbani, Roma-Bari 2004.
10 Cfr. D. Maselli, C. Ghidelli, La Società Biblica Britannica e Forestiera 200 anni di storia, Roma 2004; la prima parte a cura di D. Maselli tratta della Sbbf, la seconda parte è a cura di C. Ghidelli, Breve storia dell’apostolato biblico in Italia, pp.113-166; la terza parte contiene statistiche; inoltre, G. Spini, Studi sull’evangelismo italiano tra Otto e Novecento, Torino 1994, pp. 49-98 (articoli sulle Società bibliche pubblicati nel 1955 e 1971).
11 Cfr. I Vangeli dei popoli, a cura di F. D’Aiuto, G. Morello, A.M. Piazzoni, Città del Vaticano 2000.
12 Su di lui cfr. E. Fiume, Giovanni Diodati, un italiano nella Ginevra della Riforma, Roma 2007, specialmente l’appendice di M. Cignoni, Diodati dopo Diodati, pp.135-150.
13 Si veda H.P. Dür, Giovanni Luzzi. Traduttore della Bibbia e teologo ecumenico, Torino 1996.
14 Cfr. La traduzione della Bibbia nella Chiesa italiana. Il Nuovo Testamento, a cura di C. Buzzetti, C. Ghidelli, Cinisello Balsamo 1998.