BIANCHERIA (fr. linge; sp. lenceria; ted. Wäsche; ingl. linen)
Si comprende in questo vocabolo ogni specie di tessuto preparato per l'uso domestico. La biancheria, che in antico era esclusivamente di lino, ora si fa anche di cotone, di seta e di altre materie tessili, e si divide in tre grandi gruppi: personale, da letto e da tavola. I diversi gruppi hanno avuto importanza differente nelle varie età. Così l'uso della biancheria come abbigliamento intimo in contrapposto all'esteriore è relativamente tardo (benché S. Agostino contrapponga già gli interiora lintea vestimenta agli exteriora lanea) e risponde ad accresciute esigenze di pulizia e d'igiene, parallelamente però al meno frequente uso dei bagni nell'età postclassica: la biancheria intima mira infatti ad assorbire le secrezioni del corpo e permette di rinnovare spesso gl'indumenti che stanno a contatto con esso.
L'antichità notò, fra le caratteristiche degli Egiziani, quella di vestirsi di lino: altri popoli, come gl'Indiani, usavano invece il cotone. La civiltà greco-romana fece un uso assai limitato della biancheria e preferì l'abbigliamento di lana: tuttavia il chitone greco, prima che di lana, fu di lino. Secondo Erodoto i Babilonesi sotto l'abito di lana vestivano tuniche di lino; gli Ateniesi uscendo dal bagno indossavano una tunica di lino, e così pure i Romani. Sotto l'impero la tunica di lino è comune. Vopisco ricorda una distribuzione di tuniche di lino fatta da Aureliano; Lampridio dice pure che Alessandro Severo usava i lini; ma Seneca diceva ancora linteatus senex parlando di un sacerdote egiziano. Se ne fece però durante l'impero un uso limitato: genericamente si diceva lintea. Nell'alto Medioevo l'uso di questo camice di lino si allarga; ma è sempre tunica interior. Così Carlomagno, secondo il Monaco di San Gallo, portava ad corpus camisam lineam et feminalibus linea; Titmaro (principio sec. XI) narra di un vescovo che diceva messa senza camicia e senza brache.
Lo sviluppo del commercio e della fabbricazione della tela rende più facile l'uso della biancheria; già nel sec. XIII e più nel XIV si ha traccia di grandi acquisti di tela per la biancheria, specie delle dame. Si dice che la prima a voler diffondere l'uso della biancheria fosse la superba Isabella di Baviera, i ritratti della quale la mostrano infatti con fini manichini uscenti di sotto le maniche di stoffa; ma la camicia continuò ad essere un abbigliamento diurno; ancora nel sec. XV e persino nel Cinquecento la camicia si deponeva andando a letto. Se faceva freddo, e soprattutto nei paesi settentrionali, di notte si usavano gabbani di pelliccia. L'uso solamente diurno spiega come la fulgida fioritura del Rinascimento portasse ben presto a grande sviluppo del lusso anche in questa parte dell'abbigliamento, come si scorge dai ritratti femminili ove la biancheria appare lievissima, adorna di trine e di ricami d'oro (cfr. la Violante di Palma il Vecchio). Poi l'usanza della biancheria diviene più complicata: alla semplice camicia si aggiungono le sottane, le mutande, le camiciole, i corpetti. Quanto più ci avviciniamo all'età nostra, tanto più la camicia si accorcia, cessando di essere la lunga tunica originaria; si distingue nei secoli XVII e XVIII la camicia da notte da quella da giorno. Anche presso le donne, la camicia, che nel sec. XIIl è ancora il paludamentum lineum quod soccum dicebant, tende ad accorciarsi, fino a scomparire nelle società molto eleganti. Il numero era scarso fino al Trecento; nel Quattrocento è maggiore: Elisabetta Gonzaga ne aveva 24; Paola Gonzaga 20; Drusiana Sforza 40; Bianca Maria Sforza ne aveva 8 con ornamenti di seta ed oro, 25 con ornamenti di seta nera, 15 ornate di filo e 50 semplici; Lucrezia Borgia aveva 200 camicie; ma erano le principesse più colte e doviziose del Rinascimento. Enrico IV nel 1594 possedeva 12 camicie. L'uso delle mutande lintee è anche moderno: derivano dalle brache rese indumenti intimi, mentre i documenti del sec. XIV parlano ancora di "panni per gamba".
Verso la metà del sec. XIV la camicia, oltre a diffondersi, comincia a sfoggiare lusso straordinario di trine e ricami. Basta guardare i ritratti dei grandi pittori del Cinque e del Seicento, da Raffaello e dal Tiziano al Rubens, per vedere a qual punto di ricchezza e di ricerca si potesse giungere anche in quest'indumento intimo. Sono veli finissimi, increspati con squisita eleganza; sono merletti e ricami profusi largamente intorno al collo e alle maniche (vedi la Fanciulla allo specchio del Rubens o il ritratto di Laura de' Dianti del Tiziano). Le camicie da donna son più ampie e più lunghe; quelle degli uomini più semplici, fino all'epoca di Luigi XIV, ove vediamo apparire il jabot; cascata di trine posata sull'apertura del collo della camicia, e che di là si arrovesciava sul petto. Simile al jabot è la sfenda che i nobili veneziani portavano nel Settecento. Nei primi decennî dell'Ottocento una disposizione della moda delinea una più netta divisione fra la forma della camicia femminile e quella maschile; la prima resta fine e flessibile, mentre da Londra vengono le prime camicie maschili col colletto e il petto inamidato, moda che dovrà poi resistere per quasi cento anni. Nello stesso tempo comincia l'uso di portar camicie diverse per il giorno e per la notte; quelle da donna sono diverse per i due usi: quelle da notte ampie, con le maniche lunghe, quelle da giorno senza maniche, aperte in rotondo e ornate di ricami intorno al collo e alle braccia. L'invenzione della macchina da cucire, alla metà dell'Ottocento, industrializzando la produzione delle camicie, ne fa ribassare enormemente il prezzo e ne aumenta la vendita; anzi, poiché il fare una camicia senza troppa perfezione è lavoro relativamente facile, e può eseguirsi anche in casa, pare che più d'una volta tale lavoro sia stato dato a vere condizioni d'usura da industriali poco scrupolosi; ciò che diede occasione al poeta inglese Wood di scrivere il suo terribile Canto della camicia. Per molti anni si era usato far le camicie con forti tessuti di tela bianca; ma negli ultimi anni la moda, come per tutta la biancheria femminile, indica, anche per la camicia, stoffe velate e colorate, seta e batista guarnite di sfilati e di trine; anche la forma della camicia è diversa, non usandosi più lo scollo rotondo, ma le sottili bretelle di batista o di nastro che reggono sulle spalle la camicia tagliata dritta all'altezza delle ascelle.
Altro elemento della biancheria personale è il fazzoletto. La biancheria personale femminile nell'età medievale comprendeva ancora le bende da fasciarsi le tempie e le guancie (Dante, Purgatorio, IX, 76): erano i benducci da donna, che servivano nell'uso diurno e notturno. Oppure si usavano delle cuffie di lino.
Tutta bianca rimase invece la biancheria da letto, lenzuola e federe, adorne per lo più solo di ricchi sfilati. Attualmente però vengono in uso, specie in America, lenzuola e federe bianche con larghi bordi colorati e federe tutte a colori chiari. L'età romana pare che non conoscesse il lino come coperta da letto: si usavano mantelli di lana, pellicce. Nell'alto Medioevo le lenzuola di lino sono oggetti di lusso e come tali proibite dagli statuti monastici. Si diffondono nel basso Medioevo, sia con l'estendersi della lavorazione del lino, sia col crescere della ricchezza e del benessere generale. "Voi mi avete chiesto non lenzuola di bucato, ma lenzuola bianche; o queste, non sono elleno bianche?" chiedeva l'arguto e purista locandiere del Novellino in un aneddoto che prova come già nel Trecento fosse diffusa l'esigenza che si mutassero le lenzuola per ogni nuovo forestiero. Belle lenzuola, ben rimboccate, vediamo anche ad es. nella Nascita di Maria dell'anonimo pittore della Vita di Maria, nell'Alt Museum di Monaco. Il Boccaccio (Decameron, VIII, 10) ricorda lenzuoli di seta finissima e lenzuoli orlati di seta, comuni in tutta Italia nel Trecento. Nella seconda metà del secolo Amedeo VI compera per la consorte, a Parigi, della tela di Reims. Nel sec. XV i corredi attestano un uso dei lenzuoli molto più diffuso: Maria di Savoia andando sposa nel 1428 ne aveva 24. Più comune era l'uso di mettere nei corredi pezze intere di tela da lavorare secondo i bisogni. Si distinguevano in pezzi di un telo, di due teli e di tre. Si faceva pure differenza fra: lenzuoli per i padroni e per i servi. Cristina di Pisan nel Trésor de la cité des Dames ricorda dei lenzuoli tutti d'un pezzo come chose nouvellement trouvée; Carlo V aveva 49 paia di lenzuoli, Anna di Bretagna piu̇ di 600 dozzine. Negl'inventarî delle nobili famiglie venete, accanto alle vesti di "tabi d'argento" o di "brocadello a quattro colori", fra i "cuori d'oro e d'argento" e "i pezzi d'arazzo a boscagia", troviamo notate "sette para de lenzuoli lavorati de punto tagiado con merli a mazzette". Nel sec. XVII l'eleganza voleva che la tela, anche se di Fiandra, venisse più volte bagnata per renderla morbida. Era uso che la biancheria della regina di Francia venisse cambiata ogni tre anni; nel sec. XVIII si stabilì ogni cinque anni.
Quanto alla biancheria da tavola, non ci consta che essa fosse largamente usata nell'antichità. I Romani non conoscevano dapprima né le tovaglie né i tovaglioli. La civiltà imperiale vede però le mense romane con i mantilia o tovaglie che in origine erano asciugamani; i convitati avevano le mappae o tovaglioli che si portavano seco per mettere i resti del banchetto: è noto l'epigramma di Marziale contro Ermogene parassita: Attulerat mappam nemo, dum furta timentur - Mantile e mensa surripit Hermogenes. L'uso continua nel Medioevo, sebbene la quantità scarseggi. Non più i broccati aurei dei Romani, ma le tovaglie di lino; per i giorni feriali si usavano di canapa. Qualche inventario segnala le "toagete pro masnata" per i servi. Per posare i piatti sulla tovaglia vi erano i guardanappi di legno, ma vi erano pure le liste di tela per proteggere le poche tovaglie dalle macchie. I tovaglioli per pulirsi le mani erano detti a manu lini oppure pro mensa; ma prima si era usato pulirsi le mani con pallottole di mollica di pane. Le tovaglie dell'età medievale, secondo le miniature e le pitture, erano ampie e scendevano a terra, ma non per sfarzo, bensì per pulirsi con comodità le mani e la bocca. Molto usata era la biancheria da tavola ricamata con oro, o con disegni geometrici per lo più in azzurro. Si usavano pure i tovaglioli per coprire le confettiere e altri piatti. Comune è ritrovare nei corredi del Trecento e del Quattrocento i mantilia oxelata, le tovaleae oxelatae, cioè ricamate ad uccelli. Diffusa nel Medioevo l'usanza della tovaglia, il sec. XVI e il XVII fanno sfoggio anche nell'apprestar le mense di trine e di ricami ricchissimi. Nei quadri di quell'epoca vediamo tovaglie lunghissime, delle quali i commensali si servivano spesso per asciugar la bocca. Già nel sec. XVII comincia l'uso della biancheria damascata, cioè tessuta a fiorami e ad arabeschi, che dura anche ai tempi nostri. Tutta moderna è invece l'usanza della tovaglia da tè; le tovagliette per i tavolini delle riunioni delle cinque pomeridiane sono una delle più fini eleganze della padrona di casa moderna; si facevano, fino a qualche tempo fa, ornate di antichi punti italiani (punto pisano, punto d'Assisi); si fanno ora sparse di mazzetti di fiori variopinti, ricamati a punto passato. Ma il più grande lusso è rappresentato dalle ampie tovaglie per i grandi ricevimenti, cioè quelle che, incrostate di trine antiche, di lavori a punto ad ago, o a rete (filet), abbagliano gli occhi con la loro bianca magnificenza nelle vetrine dei grandi negozî veneziani di Piazza S. Marco e dei Lungarni fiorentini.
Una categoria particolare di biancheria è costituita da quella da toeletta, che comprende accappatoi (ve n'erano già nel corredo di Bianca Maria Sforza), asciugatoi, ecc. (v. asciugatoio).
Un'altra biancheria speciale è quella da altare; comprende tovaglie, coprialtari, paliotti (v.), tende dell'altare, asciugamani o manutergi, ecc. (v. altare; manutergio).
V. tavv. CCV-CCVIII.
Industria. - L'Inghilterra è stata la prima a organizzare industrialmente la produzione della biancheria da uomo. Ma ben presto, sino dalla seconda metà del sec. XIX, gli altri stati europei si affrancano da questo predominio, e sorgono a Praga fabbriche importantissime che contendono all'industria inglese i mercati d'oltremare. In Italia i primi nuclei industriali si formarono verso il 1870; in difficili condizioni, peraltro, poiché i tessuti dovevano essere ancora importati dall'estero. Il successo arrise tuttavia ai pionieri, e l'industria nostrana, dopo sforzi non lievi, poté provvedere a tutti i bisogni del mercato nazionale. Poi, col progredire dell'industria cotoniera, anche quella della biancheria da uomo si volse alle esportazioni e si affermò sui mercati vicini e lontani. La Grecia, la Turchia, l'Egitto, importarono ed apprezzarono i nostri prodotti, e anche più rapido e decisivo fu il successo nelle repubbliche dell'America latina.
Non è stato però possibile, dato il largo movimento d'industrializzazione delineatosi in tutti i paesi importatori di manufatti già prima del 1914, e intensificatosi durante e dopo la guerra, mantenere le nostre posizioni, e non perdere mercati anche importanti. Nel Brasile, in Argentina, dove esistono industrie locali largamente protette; in Grecia e in Egitto, specie per quanto riguarda le camicie, la produzione locale ha determinato una fortissima diminuzione nelle importazioni di biancheria italiana; invece in altri stati dell'America del Sud e Centrale, l'Italia ha alcune fabbriche ottimamente organizzate, che conservano tuttora una buona e larga clientela.
In sensibile aumento è invece il consumo del mercato interno. Milano, dove l'industria ebbe origine, conserva un indiscutibile primato: una trentina di fabbriche, modernamente attrezzate, impiegano circa cinquemila operaie. Laboratorî minori, pur sempre notevoli per importanza, sono meno facilmente censibili. Nuclei industriali cospicui sono pure a Torino, a Bologna e nella provincia di Como (Rovellasca); e l'industria tende ad affermarsi e ad estendersi anche in altre regioni d'Italia: a Roma, a Napoli, a Firenze, sono sorti laboratorî, specie per la confezione delle camicie, i quali, valendosi di mano d'opera meno costosa, producono articoli destinati al consumo popolare.
Né si deve dimenticare il lavoro a domicilio, al quale ricorrono varie grandi ditte: molte centinaia di operaie preferiscono non trascurare la propria casa ed impiegare proficuamente le ore libere, valendosi di macchine da cucire spesso azionate a motore.
Industria e artigianato assicurano così il lavoro ad una massa notevole di maestranze (circa 100 stabilimenti con oltre 10.000 operai) che, se è lontana dai 240.000 operai addetti, ad es., all'industria cotoniera, è però sufficiente a collocare l'industria della biancheria da uomo tra gli elementi più attivi dell'economia italiana.
Circa i procedimenti tecnici della lavorazione della biancheria da uomo, va notato che le maestranze che attendono alla produzione del collo sono nettamente distinte da quelle delle camicie. Per entrambe vi sono tre sezioni principali, che provvedono al taglio, alla confezione, alla stiratura. A quest'ultimo reparto è annessa la lavanderia.
Il reparto taglio riceve i tessuti dal magazzino: li dispone a strati, e, valendosi di modelli, ricava tutte le parti in cui si divide il prodotto finito, valendosi di taglierine di varia potenza, o anche della semplice forbice azionata da colpi secchi battuti con la mano sinistra.
Nel reparto confezione le preparatrici imbastiscono gli oggetti valendosi di spilli o anche di cuciture a mano dal punto lungo; le cucitrici o macchiniste, con macchine da cucire azionate a motore, velocissime (sino a 3000 punti al minuto), conducono a termine la lavorazione.
D0po la spunta, che segna i punti dove debbono essere fatti gli occhielli, e la timbratura, che imprime in inchiostro indelebile i numeri, segni convenzionali, ecc., si eseguiscono, con macchine speciali automatiche, gli occhielli. Quindi la lavanderia compie tre operazioni: bucato, prosciugamento meccanico, amidatura. Per il bucato si usano lisciviatrici di vario tipo e grandezza, a fuoco diretto o alimentate da caldaie. Al prosciugamento meccanico si provvede con idroestrattori centrifughi, e, successivamente, con essiccatoi per lo più elettrici. L'amidatrice è un recipiente cilindrico a fondo girevole che accoglie l'amido. Delle spatole a raggiera agitano e spostano gli oggetti da inamidare, garantendo un assorbimento graduale e uniforme.
Le stiratrici, infine, si servono di ferri pesanti, a gas o elettrici, e si distinguono per l'esattezza nelle piegature e la freschezza che sanno di solito conservare ai capi di biancheria. Le parti amidate sono stirate con macchine speciali azionate a motore, composte per lo più di un carrello mobile, scorrente su guide di acciaio, che passa e ripassa, mediante un comando a pedale, sotto un cilindro rotante riscaldato elettricamente. Il forte calore elimina l'umidità, e man mano che il tessuto si asciuga e si irrigidisce compare alla superficie il lucido prodotto dall'amido.
Il prodotto finito passa quindi al reparto spedizioni, dove è assoggettato agli ultimi controlli, messo in scatole e spedito.
Come per la biancheria da uomo, data la specializzazione immediatamente intervenuta, il primato industriale spetta tuttora all'Inghilterra, così la Francia è al primo posto per quanto riguarda l'industria della biancheria femminile, specialmente di seta e di lino. La produzione francese di biancheria da donna è caratteristica per la speciale, ben nota eleganza degli articoli e per la bontà dei tessuti e della confezione.
I tessuti che comunemente si adoperano variano a seconda del pregio dei ricami e dei pizzi che debbono servire da guarnizione. Le tele di lino, le tele dette d'Olanda e d'India, fini e trasparenti, le mussole di seta pura, i crêpes, sono i materiali più adoperati nella biancheria fine; le tele, i voiles, le batiste, gli opal di cotone, in quella media. I madapolam, le tele miste con altre fibre o con seta artificiale, per quella comune. Anche i tessuti di seta artificiale sono stati in questi ultimi tempi largamente adottati, tanto più se misti con fibre vegetali, avendo, in tal caso, maggior durata e resistenza alla lavatura.
Il colore predominante un tempo era il bianco candido; recentemente al bianco si sono sostituiti color pallidi, quali il rosa carne, il celeste, il lilla, il verde acqua; e i ricami, seguendo la medesima sorte, sono stati eseguiti anch'essi in colori contrastanti con quelli del fondo.
I sistemi di produzione variano a seconda della qualità. I generi d'uso comune, destinati al consumo popolare, vengono prodotti su vasta scala da fabbriche attrezzate modernamente con macchine misuratrici, tagliatrici, da cucire, collegate insieme ad aghi semplici e multipli, macchine da ricamo isolate od a gruppi, macchine a pantografo, da occhielli, da orlare, da attaccare bottoni, macchine da stirare, ecc. Ognuno di questi meccanismi compie una fase del lavoro, e tutti insieme dànno una produzione intensa e continua. In tal modo si ottiene anche lo scopo di ridurre il costo di produzione, sì da permettere una vendita su larga base.
Accanto alle grandi fabbriche sono sorti dei laboratorî di una certa importanza, specialmente nei centri rurali dove la maestranza costa meno; essi, in massima parte, si possono considerare come piccole industrie sussidiarie delle più forti, dalle quali, generalmente, ricevono lavoro con retribuzione a fattura, come, ad esempio, nella provincia di Milano (Bosisio, Monza, ecc.), di Varese (a Gallarate, ecc.), nella provincia di Novara, ecc. I generi fini invece vengono fabbricati da piccoli laboratorî e da artigiani i quali sono numerosi in ogni regione. Ogni provincia è specializzata in un determinato genere di biancheria guarnita con ricami di meravigliosa fattura, tradizionali e caratteristici. A Venezia, ad esempio, si fabbrica biancheria femminile di gusto finissimo, guarnita di ricami sfilati, detti punto di Venezia; in Sicilia, con sfilati siciliani; nell'Umbria, con punto umbro; a Firenze, con punto pisano, ecc. Tale produzione viene posta direttamente in vendita al pubblico dagli stessi artigiani o dai laboratorî speciali che la cedono a incettatori, i quali ne fanno commercio specialmente con l'estero.
Non è facile precisare il valore e il volume della produzione globale nostrana di biancheria femminile. Presumiamo che in Italia, presentemente, si producano industrialmente non meno di 40 milioni di lire di biancheria per signora, composta per un terzo di articoli a buon mercato e di consumo popolare, e il rimanente di articoli medî e fini. Tale valore dev'essere almeno triplicato per indicare quello comprensivo della produzione dell'artigianato e casalinga che, sfuggendo ad ogni controllo, non può essere valutata con esattezza.
I maggiori centri di produzione di quest'industria sono Milano e Torino, che hanno grandi magazzini e importanti fabbriche con proprî stabilimenti e filiali, dove lavorano circa 5000 operaie.
La biancheria da tavola e da letto si presta assai più di quella personale all'ornato fantasioso e alla ricca decorazione. Anche qui, naturalmente, la produzione in serie, con sistemi molto semplici, o la confezione a domicilio e a mano, ha una parte notevole.
In Italia si fabbricano ormai tutti i tipi di biancheria da letto, dai più fini ai più ordinari, sia di lino sia di cotone, o misti di lino e cotone, e gli stessi fabbricanti vendono questa biancheria già confezionata nelle varie dimensioni richieste; importante è l'industria delle lenzuola e delle federe ricamate a mano e a macchina esistente in Lombardia; è un tipo di biancheria che trova il suo consumo specialmente nell'Italia meridionale e nelle Americhe. Attualmente c'è la tendenza all'uso di lenzuola e di federe colorate; si tratta di colori chiari, resistenti al bucato. Così pure si fabbricano ormai su vasta scala lenzuola e federe di seta.
Grande sviluppo ha avuto in Italia l'industria dei tovagliati, che si fabbricano tanto nelle qualità più fini di lino quanto in quelle miste di lino e cotone e in quelle di solo cotone. La Lombardia è la regione di maggior produzione. Col telaio Jacquard si producono i tipi damascati a disegni, e molte sono le tessiture che si dedicano alla produzione di tipi speciali, per case patrizie, per alberghi, per navi e per istituti, contenenti stemmi, iniziali e diciture. L'Italia è esportatrice di tovagliati di cotone. Firenze ha il primato per gli articoli confezionati a mano, sia per la biancheria da letto sia per quella da tavola.
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