PITTONI, Bianca
PITTONI (Tosoni Pittoni), Bianca. – Nacque a Trieste il 20 marzo 1904 da Valentino Tosoni Pittoni e da Caterina Zebochin. Il padre, austro-marxista deputato al parlamento austriaco dal 1907 al 1917, si scontrò nel 1908 con le posizioni irredentiste di Cesare Battisti. Dopo la fine della guerra venne eletto deputato nelle fila del Partito socialista italiano (PSI) e a Roma, nel 1919, la quindicenne Bianca soggiornò per alcuni mesi, ospite del padre, e conobbe Filippo Turati e altri importanti capi del socialismo italiano.
Quando la famiglia si trasferì a Milano per screzi sorti tra Valentino Pittoni e i socialisti triestini e per sfuggire allo squadrismo fascista, Bianca Pittoni frequentò il salotto stimolante e cosmopolita di Anna Kuliscioff. Dopo la morte di Anna Kuliscioff fu molto vicina a Turati e quando quest’ultimo fuggì a Parigi, nel dicembre del 1926, Bianca emigrò a sua volta e gli fu vicina per alcuni anni, nella veste di segretaria e amica, cercando di sollevarlo da una depressione così forte che lo portò a tentare il suicidio (dal quale lei stessa lo salvò).
Turati «in quel periodo le si attaccò come a un’ancora di salvezza. La trattava come una nipotina. Terminava le sue lettere con fantasiosi pseudonimi: nonno; bisnonno e arcavolo; il bisavolissimo; il nonno seccato; il nonno filosofante» (Monteleone, 1987, p. 446). «È una coppia questa: il “nonno” nero, con la “nipotina” bionda, che si farà notare anche per la ridondante tenerezza di quel nonno settantenne verso la giovane che lo conforterà – creatura altrettanto piccola e minuta nell’aspetto quanto forte e volitiva – con la gioventù e con l’affetto» (Modigliani, 1946, p. 117). Nel periodo di più stretta collaborazione con Turati (gli fu particolarmente utile per la sua ottima conoscenza del tedesco) Bianca Pittoni strinse amicizia con molti esuli antifascisti, da Carlo Rosselli a Pietro Nenni, da Claudio Treves a Sandro Pertini. Rapporti particolarmente affettuosi furono quelli che intrattenne con Emanuele e Vera Modigliani.
Nelle molte lettere che le scrisse fino a poco prima della morte, Turati la informava in dettaglio delle sue iniziative politiche, si lamentava per gli acciacchi della vecchiaia e sembrava molto preoccupato per le condizioni di salute di Bianca. «Il mio piccolo “angiolo custode” […] mi difende, è vero, dal terrore e dall’orrore (in queste condizioni) della assol(uta) solitudine: ma anch’essa è terribilmente sofferente, per astenia nervosa, per accenni di spondilite, pel rimpianto dei suoi studi dovuti interrompere» scrive Turati ad Alessandro Schiavi nel 1927 (Schiavi, 2004, p. 76). Pittoni era stata gravemente ferita quando un idrovolante, nell’estate del 1925, era piombato sulla spiaggia di Trieste uccidendo la sua sorella minore; l’incidente le aveva lasciato sofferenze fisiche e psicologiche, queste ultime ulteriormente aggravate dalla crisi politica e dall’emigrazione. Gli studi che aveva dovuto abbandonare erano quelli di medicina, da tutti considerati troppo impegnativi per una fanciulla affetta da «faiblesse irritable del sistema nervoso» (Turati, 1968, p. 97, lettera del 15 settembre 1926).
Bianca Pittoni seguì per alcuni anni corsi di giornalismo e di lingue alla Sorbona. Turati prendeva molto a cuore la sua formazione intellettuale: «Tu non devi essere una donnetta qualunque. Non lo vuoi, non devi volerlo, e io voglio e debbo aiutarti appunto a non esserlo» (ibid., p. 159, lettera del 26 agosto 1927).
La collaborazione e la frequentazione giornaliera con Turati (alloggiavano nello stesso albergo) terminarono quando Pittoni iniziò una relazione amorosa con Alberto Giannini, direttore della rivista di satira politica Becco Giallo (Galli, 2009, pp. 62 s.), dalla quale nacque un figlio nel 1929, Alberto; significativamente, dal maggio 1929, le lettere di Turati alla sua amica prendono un tono più formale: non sono più indirizzate a «Figliolona» «Biancherella» «Albula», ma si rivolgono a «mia carissima Bianca», «cara Bianca». La firma non è più «Nonno», «Bisnonno», «Povero nonno solitario», ma solo «Filippo» o «Filippo T.».
La relazione con Giannini si concluse quando egli defezionò dal fronte antifascista, prima scrivendo Le memorie di un fesso (Levallois-Perret 1934), dove metteva in ridicolo molti degli esuli antifascisti, in primis Turati, poi collaborando direttamente con la polizia fascista (cfr. Galli, 2009, pp. 65 s.). Infine, dopo che Giannini nel 1937, in occasione dell’omicidio dei fratelli Rosselli, aveva proposto spiegazioni volte a scagionare il regime, Bianca Pittoni gli impedì di rivedere il figlio.
Nel 1934 Pittoni contribuì alla formazione del Gruppo femminile Anna Kuliscioff, un’associazione che avrebbe dovuto organizzare le donne socialiste dell’emigrazione, promuovendo la cultura e costruendo reti assistenziali (Lontane da casa, 2015, p. 246). In quel periodo si recò spesso a Zurigo nel quadro delle attività del Soccorso rosso e nel 1935 fu protagonista della clamorosa interruzione di una conferenza di Filippo Tommaso Marinetti; secondo la polizia fascista «La Pittoni, dopo il successo reclamistico […] ha creato un suo “salotto” nel quale il venerdì riceve specialmente elementi stranieri e fa propaganda antifascista» (Galli, 2009, p. 64).
Nel corso di quello stesso anno si legò al trockijsta Veniero Spinelli, fratello di Altiero, insieme al quale si recò in Spagna nel 1936, all’inizio della guerra civile (ibid., pp. 64-66). Veniero combatté come aviatore nella Escuadrilla Espagna, formazione di volontari creata e guidata da André Malraux; Pittoni lavorò prima a Radio Barcellona, poi si spostò a Madrid occupandosi per alcuni mesi dell’assistenza ai feriti e, nell’ottobre del 1936, tornò in Francia. Spinelli riparò poi in America, ma lei non lo seguì.
Negli anni del conflitto, ricercata dalla Gestapo, si rifugiò con il figlio nella piccola isola atlantica di Oléron, dove per cinque anni lavorò come interprete tra il Comune di Saint-Denis-d’Oléron e la guarnigione tedesca di stanza nell’isola, mantenendo contatti con la Resistenza. Narrò quell’esperienza in un testo pubblicato di recente (Oléron: jours douloreux, Bianca Pittoni, interprète à la Kommandantur 1940-1945, Saintes 2013).
Nel 1945 fu richiamata a Parigi da Giuseppe Saragat, allora ambasciatore nella capitale francese. Lavorò per sedici anni presso il consolato generale di Parigi, occupandosi di problemi legati all’emigrazione; poi, dopo aver passato cinque anni al ministero, chiuse la sua carriera presso l’ambasciata di Parigi in qualità di cancelliere principale addetta al cerimoniale; definirà questa ultima «l’attività più beffarda della mia vita» (Fondazione Filippo Turati, Archivio Bianca Pittoni, b. 9, f. 52: Documenti personali di Bianca Pittoni).
Nel dopoguerra condusse un intenso rapporto epistolare con Vera Modigliani e con Angelica Balabanoff, quest’ultima sempre più critica nei confronti del PSDI (Partito Socialista Democratico Italiano; Galli, 2009, pp. 66-73). Al contrario, Bianca Pittoni rinnovò sempre la sua iscrizione al PSDI e scrisse brevi articoli sul periodico di partito Movimento femminile - socialdemocrazia.
Morì a Parigi il 12 settembre 1993.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio della Fondazione di studi storici Filippo Turati, Fondo Bianca Pittoni (dove si conserva, tra l’altro, il manoscritto di Oléron: jours douloreux…, cit.); A. Giannini, Le memorie di un fesso. Parla Gennarino fuoriuscito con l’amaro in bocca. L’anteguerra, la guerra, l’esilio, Parigi 1934; V. Modigliani, Esilio, Milano 1946; F. Turati, Lettere dall’esilio, a cura di B. Pittoni, Milano 1968; A. Schiavi, Carteggi, II, a cura di C. Del Maria, Manduria-Roma 2004.
R. Monteleone, Turati, Torino 1987; S. Urso, Giannini, Alberto, in Dizionario biografico degli Italiani, LIV, Roma 2000, ad vocem; S. Galli, Impegno politico e amicizie femminili tra emigrazione antifascista e secondo dopoguerra. L’itinerario di B. P., in Storia in Lombardia, XXIX (2009), n. 3, pp. 57-77; Lontane da casa. Donne italiane e diaspora globale dall’inizio del Novecento a oggi, a cura di S. Lucconi - M. Varricchio, Torino 2015, ad indicem.