BIANCA MARIA Visconti, duchessa di Milano
Figlia naturale di Filippo Maria Visconti e di Agnese Del Maino, nacque nel castello di Settimo Pavese, secondo il Simonetta, il 31 marzo 1425. Fu l'unica figlia del duca di Milano, che non ne aveva avuto altri dalla moglie Beatrice, e su di essa si appuntarono le speranze del padre, che, prima di sposare nel 1428 Maria di Savoia, chiese al re dei Romani, Sigismondo, il permesso di legittimarla, di crearla contessa e di lasciarle alcuni territori del suo Stato.
Sigismondo si rifiutò dapprima di accogliere questa richiesta - forse perché temeva che una donna potesse sposare qualcuno che rivelasse propositi di indipendenza nei riguardi dell'Impero -, ma in un secondo momento concedette a Filippo Maria, che pagò 1.200 ducati alla corte imperiale, il permesso di legittimare B. e di lasciarle i beni personali (1430).
Riaccesasi nel 1431 la guerra con Venezia, il duca di Milano dovette ricorrere nuovamente a Francesco Sforza, promettendogli, per legarlo più strettamente al suo servizio, di dargli in moglie B. e di anticipargli sulla dote le terre di Cremona, Castelletto e Bosco Frugarolo. Il 23 febbr. 1432 quindi fu celebrato il fidanzamento della giovanissima B. con il trentunenne condottiero. Ma premeva sul duca anche Niccolò Piccinino, per ottenere B. in sposa al figlio Carlo. Essa divenne così oggetto di "un gran mercato": il padre sembrava irrisoluto e la prometteva "mo' a uno mo' a l'altro per donna", sebbene affermasse di voler evitare che "fosse quella de li doi mariti".
Confortato da un consulto di teologi, Filippo chiese al papa lo scioglimento della promessa fra B. e Francesco. Ma successivamente, nel marzo del 1438, i patti della pace di Firenze, in cui aveva avuto parte lo Sforza, contenevano la promessa del duca di acconsentire alle nozze della figlia con il condottiero, con Asti e Tortona in feudo; questi, a sua volta, era libero di "pigliare le armi contro a qualunque volesse, eccetto che contro al suocero". Poco dopo il duca era nuovamente sotto l'influenza del Piccinino, al quale aveva affidato la sua difesa, sicché, nell'agosto del '38, lo Sforza scriveva a Cosimo de' Medici di aver saputo che Filippo Maria era deciso a non dargli "Madonna Bianca", né alcun'altra cosa "se non son ben d'accordo col dicto Nicolò Picinino".
Ritenendosi perciò sciolto dal recente patto, Francesco passò al servizio della lega antiviscontea e si batté per Venezia: Filippo Maria, spaventato, tentò ancora di concludere con lui la pace, promettendogli nuovamente non solo B. in sposa, ma anche Cremona e Pontremoli in dote. Lo Sforza accettò, costringendo la lega a deporre le armi. Il 25 ott. 1441 si poterono alfine celebrare le nozze, a Cremona, e il duca mantenne la sua promessa, "fuori della oppenione di tutti", mentre l'avere ottenuto una città così nobile come Cremona sembrava che potesse far sperare al conte di ottenere il principato del suocero.
La dolcezza e la gentilezza di B., unite a una "prudenza" - che era la qualità allora più apprezzata -, conquistarono Francesco Sforza, già sposato due volte e con diversi figli. Il 24 maggio 1442, nell'imminenza della sua partenza per l'Abruzzo, la lasciava a governare la Marca: era una prova di fiducia nella moglie, dimostratasi subito abile nel trattare gli uomini e decisa nell'accompagnare il marito nella sua vita avventurosa più di quanto lasciasse supporre l'ancor giovane età; come dimostrò allorché lo sostenne nella dura lotta che egli dovette affrontare nella Marca contro la coalizione avversaria, formata dal re di Napoli, Alfonso d'Aragona, da Filippo Maria e dal papa Eugenio IV.
Il 14 genn. 1444 nasceva un figlio, Galeazzo Maria, e di questo fatto, come dice il Simonetta, lo Sforza "prese somma allegrezza..., giudicando che per questo nipote di Filippo, facilmente gli potesse venire la eredità dello Imperio di Milano". La speranza si tramutò presto in amara delusione: Filippo Maria nel 1445 rivelò l'intenzione di riconquistare Cremona, dote di B., minacciando così di escludere la figlia dalla successione al ducato. Questo atteggiamento dette a Venezia il pretesto per intervenire in Lombardia. Ripetutamente supplicato dal suocero, lo Sforza ritornò verso Milano per portargli aiuto (1447), ma il 13 agosto Filippo Maria moriva, aprendo il difficile problema della sua successione, difficile perché non aveva figli legittimi e l'unica figlia riconosciuta era Bianca Maria.
Questo fece diffondere la voce, raccolta dal Decembrio, che il duca l'avesse lasciata erede; ma, poi, "o per riflessione, o per improviso impulso", avrebbe cambiato il testamento nominando suo erede Alfonso d'Aragona. Il che sembra, a dire la verità, improbabile, soprattutto se si considera la sua costante preoccupazione di difendere l'equilibrio politico della penisola, a meno che non si voglia ammettere che egli, come scrive il Simonetta, avesse voluto "volentieri che dopo la sua morte ogni cosa rovinasse".
Proclamata la Repubblica ambrosiana, B. fu al fianco del marito, il quale per tre anni combatté ora al soldo di Milano contro i Veneziani, ora al soldo di questi contro i Milanesi, non perdendo mai di vista lo scopo ultimo di impadronirsi del ducato. Verso la fine del '47, quando le giunse la notizia che si stava per concludere la pace fra Milano e Venezia, escludendone lo Sforza, scriveva a questo: "benché cognosca non bisognare a la S.V. li miej consilij, nondimeno me pareria che subito mandaste dal Re di Franza o dal Delfino ovvero da chi altri ve ne parerà melio e più expediente e con loro praticare di fare per modo che dicti Milanesi se habiano a pentire di sua prava opinione...". Lo aiutò anche prendendo parte alle sue fatiche di guerra e adoperandosi per fargli ottenere il denaro di cui aveva bisogno. Ma più utili ancora si rivelarono i suoi rapporti segreti con gli oppositori della Repubblica ambrosiana. La pacificazione prospettata da lei indusse infatti, nel febbraio del 1450, gli esitanti a decidere la resa al condottiero che si presentava non solo come il comandante vittorioso, ma anche, e soprattutto, come il padre "humano" e cordiale.
Era nato intanto un altro figliolo, il 18 dic. 1449, al quale fu messo il nome del nonno, Filippo Maria: era il terzo, dopo Galeazzo Maria e Ippolita, nata nel 1445, e ad esso seguì un quarto, il 18 ag. 1451, Sforza Maria, al quale si era pensato di porre il nome di Carlo, in onore del re di Francia, Carlo VII, da cui lo Sforza aspettava aiuto nell'ormai imininente conflitto contro Venezia.
Quando la guerra scoppiò, il 24 apr. 1452, B. fu lasciata reggente dello Stato finché il nuovo duca fosse rimasto al campo. Le gravi cure politiche la tennero molto occupata e fecero apparire veramente indispensabile la sua "prudente" opera in un momento in cui il ducato minacciava di disgregarsi: continui erano i tentativi di ribellione e i tradimenti, e di tutto ella dava notizia a Francesco (non perché egli ne avesse "malinconia né affanno alchuno, ma perché li vedate", Arch. di Stato di Milano, Arch. Sforzesco,Cart. interno).
I provvedimenti di B. non sempre riscuotevano l'approvazione di Francesco, che avrebbe voluto agire contro i ribelli senza tanti rispetti e senza troppa preoccupazione di salvare l'"honore" e la fede, sebbene sempre ammirasse la decisione e la risolutezza di lei, mai disgiunte da una accorta avvedutezza. Così, per esempio, ella esortava un certo Gian Galeazzo de' Ligurni a procedere con cautela nella sottomissione delle terre del Comasco per evitare che qualche scandalo potesse "apiciare nova guerra"; ma, nel tempo stesso, consigliava al marito di scrivere pure lui a Corrado Fogliani, suo fratello uterino, che combatteva contro il marchese del Monferrato alleato di Venezia, spingendolo a comportarsi "virilmente": le sue lettere non avevano ottenuto nessun risultato, e perciò: "La Signoria Vostra li scriva, ponga e' stimuli e lance fino al core, che se fusseno tante pecore doverìano fare molto melio che non fanno". Sembra di sentire un certo disprezzo per questi uomini che si comportano come "tante pecore", e, senza dubbio, il suo carattere energico non poteva sopportare l'inattività o la pavida rinuncia; e talvolta fu lei ad appoggiare alcune decisioni, di cui lo stesso Francesco non dubitava, ma sulle quali poteva esitare. Così fu, nel dicembre 1453, al campo di Orzinuovi, quando il cattivo tempo fece correre pericoli alle truppe sforzesche che assediavano il paese: ella difese il parere del marito che non si dovesse togliere l'assedio, ed anzi, avendo egli "piantato septe bombarde alla forte roca, lei gli ne fece piantare due altre, sollecitando lei stessa che giorno e note trahesseno; e così facendo tanto che la percossa roca ruinò nel fosso et la terra se hebbe".
Il 27 luglio 1452 la nascita di un altro figliolo - Ludovico Maria, che poi sarà detto il Moro, somigliante a lei, come aveva scritto B. al marito, "de la fronte e del bocha, et de la perucha a la Signoria Vostra" - era venuta a introdurre una nota più dolce in questa dura e difficile vita di preoccupazioni politiche e militari. E tuttavia era necessario che la guerra finisse e che lo Sforza riprendesse nelle sue mani la guida politica del ducato perché la condotta della moglie, pur energica e sapiente, mancava di un sicuro orientamento politico: accoglieva le suppliche dei nobili tendenti a ottenere la riconferma di vecchi privilegi e anche le richieste del clero "per respecto del divino culto et utile dei poveri". E invece il duca, quando, firmata la pace di Lodi (9 apr. 1454), poté essere sicuro del suo dominio, con una vigorosa grida del settembre 1454 prese posizione contro la nobiltà feudale che, con i suoi privilegi, limitava fortemente la sua autorità e mostrò di voler rivolgere il suo governo a favore della borghesia mercantile. Era un netto cambiamento rispetto alla politica seguita dalla moglie durante la reggenza, un cambiamento che, ancora una volta, rivelò le notevoli doti politiche dello Sforza, il quale, fino alla morte, sorresse il sistema dell'equilibrio inaugurato dalla Lega italica, attutendo con la sua autorità le animosità che continuavano a spingere l'un signore contro l'altro.
B. non sempre riuscì a comprendere la linea adottata dal marito: così avvenne a proposito della crociata contro il Turco bandita da Pio II nel congresso di Mantova del settembre 1459; il duca aveva dato la sua adesione, ma nutriva perplessità sulla spedizione alla quale le altre potenze della penisola si rifiutavano di concorrere; B., invece, andò a Mantova con tutti i suoi figliuoli, anche con l'ultimo, Ascanio, nato nel '55, e rese omaggio al papa, a cui sembrò, come egli stesso dice nei suoi Commentarii, donna "di forte e grande animo e di prudente consiglio"; ed ottenne da Pio II benefici per monasteri, privilegi per nuovi luoghi pii e l'indulgenza per l'Ospedale Maggiore, la grande opera che era l'orgoglio suo e di Francesco. Poco dopo B. non approvò la politica seguita dal marito di fronte all'attacco di Giovanni d'Angiò (ottobre 1459)al nuovo re di Napoli, Ferdinando d'Aragona, succeduto al padre nel 1458; le sembrava che non si dovesse abbandonare l'amicizia della Francia, mentre il duca voleva impedire che un principe straniero si insediasse nel Regno di Napoli, minacciando l'indipendenza degli altri signori della penisola.
Le incomprensioni di B. nulla tolsero alla stima che di lei aveva il marito se egli dispose, in caso di sua morte, non avendo troppa fiducia nel primogenito Galeazzo Maria, che lei scegliesse il suo successore e governasse insieme con questo.
Morto Francesco Sforza l'8 marzo 1466, B., unanimemente celebrata da tutti i cronisti per l'animo virile, per la "prudentia", la "fortitudo" e la "constantia" dimostrate in questa situazione, prese tutte le "provvisioni" "per salvezza de li subditi et stato nostro", come scriveva al figlio.
Aveva subito convocato il Consiglio segreto e l'aveva esortato, "con benigna e prudente oratione", a far sì che non si eccitassero tumulti; aveva anche, "senza mutar viso et gietar alcuna lacrima", come dice l'Anonimo Veronese, ordinato di esentare "lo populo da graveza, confortandolo a la fidelità" e promettendogli "signoria più amena e compatibile che la preterita fattali per esso Francesco Sforza". Aveva, inoltre, scritto ai commissari e ai podestà delle terre e delle città del ducato per assicurarsi della loro fedeltà. Insomma, non aveva tralasciato nulla per garantire una pacifica successione al figlio Galeazzo Maria, che dalla Francia si era precipitato a Milano, e la nota dell'Anonimo Veronese, molto interessante, dimostra in lei la comprensione della necessità di non prendere soltanto provvedimenti repressivi, mentre nell'accenno alla passata signoria del marito, giudicata da lei troppo dura, si potrebbe avvertire l'eco del contrasto sui metodi di governo e sui ceti sui quali questo doveva appoggiarsi - il borghese per lo Sforza e i privilegiati e i popolari per B. - che le aveva talora fatto riuscire incomprensibile la politica del duca.
Il dissidio che ben presto si scavò fra lei e Galeazzo Maria non riguardò queste fondamentali ragioni politiche, ma fu piuttosto dovuto alla condotta avventata e impulsiva del figlio, ben diversa da quella cauta e prudente del marito. La notizia delle discordie divenne pubblica, e Ferdinando d'Aragona se ne preoccupava a tal punto da ritenere che esse sarebbero stata una "aperta ruina" dello Stato milanese anzitutto, e poi "delli stati colligati comuni" (istruzioni all'ambasciatore napoletano del 26 genn. 1476); l'anno seguente, nell'aprile, esprimeva la convinzione che i Veneziani fossero stati spinti a nuove iniziative e a rifiutare di aderire alla pace pubblicata da Paolo II il 2 febbr. 1468, per la grande speranza "in la poca stabilità de questo Stato di Milano".
Se il temperamento energico e volitivo di B. non poteva sopportare la mancanza di riguardo del figlio, ella non si abbandonava a vane lamentele, ma si faceva riconoscere la signoria di Cremona, la città dove si sarebbe ritirata, lasciando Milano, nel caso che il dissidio si fosse fatto irrimediabile. E cercava aiuto, nel tempo stesso, presso gli alleati, in particolare presso il re di Napoli, e se anche ebbe per un momento l'idea di rivolgersi a Venezia, ridivenuta nemica, non la perseguì sino in fondo, così come evitò di farsi il centro degli elementi ostili al giovane duca.
B. era troppo compresa delle esigenze del dominio, e troppo consapevole di dover difendere, al di là di ogni contrasto, il potere del figlio, i cui diritti al governo del ducato non erano da lei messi in dubbio; ella andava però sempre più abbandonando le cure dello Stato e ciò doveva esserle molto doloroso, soprattutto in considerazione delle responsabilità che le aveva affidato il marito. Parve risollevarsi, ritrovando il suo dolce compito di madre, quando Galeazzo Maria si sposò con Bona di Savoia, cognata di Luigi XI (9 maggio 1468), oppure quando dovette accompagnare poco dopo a Serravalle la diletta figlia Ippolita, di ritorno a Napoli dove aveva sposato il duca di Calabria, Alfonso. Ma ormai era gravemente malata e la morte la colse, nella sua Cremona, il 23 ott. 1468.
Si sparse la voce che fosse stata avvelenata da Galeazzo Maria, il quale desiderava entrare in possesso di Cremona: il Corio scrive che il duca, "senza intervallo di tempo, in suo nome mandò a fornire la città" (c. 414): una voce a cui diede una apparenza di verità il sempre più acuto dissidio fra madre e figlio e che fu accolta dai numerosi nemici che Galeazzo Maria si era creato in due soli anni di governo. Scompariva con B. una principessa della generazione nata e vissuta in gran parte nella prima metà del secolo e ad essa subentrava una nuova generazione, che non aveva le sue doti politiche, e che in pochi anni ne disperderà i risultati raggiunti con una condotta prudente e saggia.
Fonti e Bibl.: B. Corio,L'historia di Milano..., Venezia 1554, cc. 343 r, 348 v, 366 v, 414 r e v; G. Simonetta,Historia delle memorabili et magnanime imprese fatte dello invittissimo Francesco Sforza, Venezia 1544, p. 449; Anonimo Veronese,Cronaca, 1446-1488, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915,ad Indicem (sub voce Sforza, B. Maria); P. C. Decembrio,Annotatio rerum gestarum in vita Francisci Sfortiae, a cura di F. Fossati e G. Petraglione, in Rerum Ital. Script., 2 ediz., XX, 1,passim; G. Crivelli,Oratio parentalis in laudem Blancae Mariae Sfortiae Vicecomitis, a cura di C. Castiglioni,ibid., XXV, 2, pp. 37-54; C. Bonetti,Le statue di Francesco Sforza e Bianca Maria nella facciata della cattedrale di Cremona, in Arch. stor. lomb., LIV (1927), pp. 114 ss.; W. Terni de Gregori,Bianca Maria Visconti,duchessa di Milano, Bergamo 1940; L. Jalm,Bianca Maria,duchessa di Milano, Milano 1941; F. Cognasso,Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria e La Rep. di S. Ambrogio, in Storia di Milano, VI, Milano 1955,ad Indicem; F. Catalano,La nuova signoria: Francesco Sforza e Il ducato di Milano nella politica dell'equilibrio,ibid., VII, Milano 1956,ad Indicem.