GAROFALO, Biagio
Nacque a Napoli nel 1677. Fu allievo di Domenico Aulisio, al cui magistero archeologico-erudito, ispirato ai nuovi criteri filologici e interpretativi propugnati, nella repubblica letteraria europea, da studiosi come S. Bochart, P.-D. Huet, Rivet, Dupin e lo stesso B. Spinoza, si formò anche Pietro Giannone.
L'insegnamento di Aulisio offrì al G. un ottimo passaporto culturale per entrare, una volta stabilitosi a Roma nel 1704 e grazie alla protezione di Giusto Fontanini, nella cerchia di intellettuali che, come Domenico Bencini, Vincenzo Santini, Francesco Bianchini, lo stesso Fontanini e poi Celestino Galiani, propugnavano una ripresa degli studi biblici, sulla scorta dei più aggiornati strumenti della moderna analisi storico-filologica, riunendosi periodicamente nella dimora di Domenico Passionei, per dare vita a un'accademia privata, soprannominata Circolo del tamburo.
Frutto diretto di questi dibattiti sarà, nel 1707, la pubblicazione a Roma delle Considerazioni intorno alla poesia degli Ebrei e dei Greci del Garofalo. Nel volume, che si apriva con una lettera dedicatoria a Clemente XI e che aveva ottenuto l'imprimatur dallo stesso Fontanini, il G., esaminando la natura della poesia ebraica, sulla falsariga degli studi del suo maestro Aulisio, ma soprattutto facendo propri alcuni dei luoghi più eterodossi della meditazione di Spinoza, finiva per considerare il testo della Sacra Scrittura alla stregua di un semplice linguaggio poetico e metaforico, che celava in realtà i semi di una più antica saggezza, le cui origini andavano ricercate nella speculazione filosofica, tutta laica e mondana, dei pensatori dell'antica Grecia.
Se, infatti, nella dedicatoria al pontefice, che apriva le Considerazioni, il G. manifestava semplicemente l'intento di scoprire le profonde verità filosofiche che l'antica poesia ebraica e greca celavano, bastava inoltrarsi nella prima parte dell'opera, dedicata alla produzione lirica ebraica, per comprendere fino in fondo la spregiudicatezza di questo libro. Mettendo a frutto tutta l'acribia del suo sapere filologico, il G. adottava in pieno, infatti, nella sua analisi dei salmi biblici, le indicazioni del settimo capitolo del Tractatus theologico-politicus. De interpretatione Scripturae.
Ma era soprattutto nella seconda parte del libro, dedicata alla poesia greca, che il G. svelava, con più evidenza, le sue simpatie libertine, approdando a tesi che se, da un lato, sembravano anticipare G.B. Vico nella ricerca della "profonda sapienza" che si celava nelle "antiche favole", dall'altro riformulavano originalmente l'antica tematica dell'"impostura politica" delle religioni, che era stato il cavallo di battaglia della polemica libertina di G.C.L. Vanini, di P. Charron, di G. Naudé e del misterioso autore del Traité des trois imposteurs della fine del sec. XVII.
Il tono violentemente e apertamente eterodosso dell'opera del G. era tale da non poter mancare di suscitare una serrata polemica nell'opinione pubblica del tempo. Contro le Considerazioni, interveniva, infatti, l'ebreo padovano Raffaele Rabbenio che pubblicava, sotto pseudonimo, nel 1710 a Padova, lo Squarcio di lettere del dottor Barnabò Scacchi sopra le "Considerazioni" del signor B. G. intorno alla poesia degli Ebrei. A questa opera, il G. rispondeva, sotto il nome di Ottavio Maranta, con le sue Osservazioni sopra la lettera di B. Scacchi, cioè dell'ebreo R. Rabbenio, fatte in difesa delle "Considerazioni" del signor abate B. G., che videro la luce a Venezia nel 1711. Ma la querelle su questo soggetto continuò ancora, in quello stesso anno, con la stampa del volumetto di Francesco Carsellini, Antilogia alle osservazioni di O. Maranta, intorno alla poesia degli Ebrei, anch'esso violentemente critico contro l'irreligiosità del G., con la comparsa di un articolo, che ricapitolava lo stato della questione, sul Giornale de' letterati d'Italia e, infine, con la messa all'Indice del volume delle Considerazioni, deliberata con la sentenza del febbraio del 1718, avvenuta a pochi mesi di distanza dalla ristampa romana dell'opera.
Al di là di queste polemiche, il G. aveva, in ogni caso, proseguito negli anni successivi la sua riflessione storico-critica sulla natura delle religione nel Ragionamento in difesa delle considerazioni sopra il libro "Della maniera del ben pensare", edito a Roma nel 1709, e poi nella Dissertatio miscellanearum pars prima, ad Carolum regem, anch'essa stampata a Roma nel 1718.
Il soggiorno romano del G. non aveva, in ogni caso, interrotto i suoi contatti con gli ambienti culturali della sua città di origine. Se i suoi rapporti con il circolo di antiquari napoletani, capeggiato da Matteo Egizio, rimasero intensi e proficui durante tutta la durata della sua permanenza a Roma, il G. si rivelò particolarmente sensibile alle novità intellettuali provenienti dall'ambiente napoletano. Il G., infatti, fu uno dei primi intellettuali a riconoscere senza riserve l'importanza della filosofia vichiana, come proprio Vico ricorderà nell'Autobiografia, nelle lettere a Bernardo Maria Giacco del 27 ott. 1721 e a Eugenio di Savoia del 12 dic. 1722, e come testimonierà la missiva che lo stesso G. inviava da Roma all'autore del Diritto universale, il 13 sett. 1722, dove si esprimeva un caloroso apprezzamento per i contenuti innovativi dell'opera.
Tale interessamento del G. verso i nuovi fermenti intellettuali della repubblica letteraria partenopea, lungi dal rimanere confinato al mero piano speculativo, assunse, dopo il suo ritorno a Napoli nel 1725, la fisionomia di un vero e proprio impegno di militanza, all'interno del fronte anticurialista, in alcune delle più importanti battaglie di politica culturale del tempo. Uscite, infatti, nel gennaio del 1729, a Roma, le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del Regno di Napoli del gesuita Giuseppe Sanfelice, il G. fornì ai membri del Consiglio del Collaterale di Napoli l'elenco di tutte le proposizioni contenute nell'opera che potevano essere considerate eversive nei confronti del potere temporale, per cui il volume del gesuita fu, il 16 aprile di quello stesso anno, condannato come "libello ingiurioso a' principi".
Più tardi, poi, il G. ritornò su questo stesso argomento, stendendo un'articolata confutazione, animata da violenti sentimenti anticurialisti, dell'opera di Sanfelice, nelle Osservazioni critiche, che, mai pubblicate, furono poi ritrovate nelle carte di P. Giannone, per essere infine edite nel terzo tomo delle Opere postume di questo, solo nel 1766. Ma l'interesse del G. per le polemiche che accompagnarono la fortuna dell'Istoria civile non si arrestò a questi due episodi. Nel 1731, infatti, il G. avvertì Giannone che Matteo Egizio, revisionando il testo dell'Istoria delle leggi e de' magistrati del Regno di Napoli di Gregorio Grimaldi, che formulava alcune critiche contro il testo giannoniano, aveva scoperto alcuni nuovi errori e imprecisioni di natura erudita, contenuti nell'Istoria civile e li aveva comunicati a Sebastiano Paoli che, in quel periodo, era impegnato nella stesura delle Annotazioni critiche sopra il nono libro della Storia civile. Tale notizia, pervenuta tempestivamente a Giannone, permise a questi di inserire un'apologia in risposta alle accuse di Paoli nelle sue Osservazioni critiche sopra l'Historia delle leggi e de' magistrati del Regno di Napoli composta dal sig.re Grimaldi del 1732.
Nel marzo del 1730, al fine di renderne possibile il ritorno in patria, il G. aveva cercato d'intercedere presso il figlio del viceré di Napoli, l'abate Johann Ernst von Harrach, perché il Giannone fosse nominato avvocato fiscale presso il Consiglio di S. Chiara. Tale tentativo non ottenne però alcun risultato, né migliore esito ebbe quello, promosso dal principe Eugenio di Savoia, nel 1731, di far subentrare il G., al posto di Diego Vincenzo Vidania, nell'incarico di cappellano maggiore di Napoli, come candidato del fronte giurisdizionalista: carica che toccò, invece, a un antico compagno di studi del soggiorno romano, il più moderato Celestino Galiani.
La delusione per la mancata nomina affretterà la sua decisione di lasciare Napoli per Vienna, come il G. comunicava a Giannone il 22 febbr. 1732. Nel settembre di quell'anno il G. raggiungeva, infatti, Vienna per unirsi al gruppo d'intellettuali napoletani, P. Giannone, Bernardo Andrea Lama, Nicola Forlosia, che in quella sede operavano da anni, grazie alla protezione di Eugenio di Savoia, con l'obiettivo di congiungere le sorti della casata asburgica a quella di un'offensiva anticurialista e di un progetto di modernizzazione culturale di respiro europeo.
Venuto meno precocemente questo progetto, dopo la perdita del Regno di Napoli da parte degli Asburgo, il G. tenterà di rientrare nel territorio italiano presentandosi, nel 1734, come successore alla cattedra di "ius civile" dell'Università di Padova, resa vacante dalla morte del titolare Domenico Lazzarini. Ma il ferreo veto opposto dalla Curia romana a questa candidatura, insieme all'avvento della dinastia borbonica nel Regno di Napoli e ai timori di una possibile persecuzione per motivi religiosi contro la sua persona, a cui la Santa Sede avrebbe potuto obbligare Carlo di Borbone, costringeranno il G. a prolungare il suo soggiorno viennese, ormai divenuto un vero e proprio esilio, continuando presso la corte asburgica la sua attività di studioso, con opere di carattere squisitamente antiquario stampate a Vienna, come il De antiquis marmoribus dissertationes del 1738, il De veterum clypeis opuscula del 1751 e il De antiquis auri, argenti, aeris, ferri, plumbique fodinis del 1757.
Il G. morì a Vienna nel 1762.
Fonti e Bibl.: G.B. Vico, Autobiografia, in Opere, a cura di F. Nicolini, Milano-Napoli 1953, p. 53; Id., Epistolario, ibid., pp. 112, 114 s.; P. Giannone, Vita di Pietro Giannone, in Opere, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli 1971, I, pp. 173 s.; G. Gentile, Pietro Giannone, plagiario e grand'uomo per equivoco, in La Critica, II (1904), pp. 226 s.; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1929, pp. 487, 562; F. Nicolini, Una lettera semi-inedita a Giambattista Vico, in Arch. stor. delle provincie napoletane, LX (1935), pp. 355-357; L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, pp. 94-96, 109-111; G. Ricuperati, Alle origini del "Triregno": la "Philosophia adamitico-noetica" di A. Costantino, in Riv. stor. italiana, LXXVII (1965), pp. 618 s.; P. Hazard, La crisi della coscienza europea, Milano 1968, p. 242; S. Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e documenti della fortuna di Pietro Giannone, Milano-Napoli 1968, pp. 319 s., 520-524 e passim; E. Garms-Cornides, Zur Geschichte der geistigen Beziehungen zwischen Österreich und Italien im 18. Jahrhundert: der abate B. G., in Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung, LXXXV (1977), pp. 77-97; V. Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, pp. 378-382 e passim.