BIAGIO da Morcone
La data della sua nascita ci è ignota. Il primo dei pochissimi documenti che lo riguardano è il diploma del 9 febbr. 1323 con cui Carlo, duca di Calabria, abilita B. all'esercizio dell'avvocatura in Terra di Lavoro, Molise, Abruzzo e Capitanata.
In questo documento B. viene indicato come "iudex Blasius Pacconus de Morcono" e di qui l'Abignente ha creduto di poter dedurre la sua appartenenza ad una famiglia Paccone. Il problema resta, però, aperto: negli altri documenti il cognome "Pacconus" non compare mai; e, d'altro canto, nessuna fonte sembra testimoniare l'esistenza di una tale famiglia.
Nel 1331 vien posta da cronache locali la nomina di B. alla dignità quasi episcopale di preposito di Atina, sebbene in un documento cassinese del 13 ott. 1332 appaia ancora agire per conto della prepositura atinate un procuratore che ripete il suo incarico da Marino, predecessore di Biagio. Della condizione di B. ci fa comunque certi il diploma di re Roberto del 7 ag. 1338 che lo nomina "Consiliarium, Capellanum et familiarem". Ad Atina B. giungeva, a quel che pare, da Cerreto e da una vita "grama e uggiosa", scrive l'Abignente, interpretando un passo dell'opera di B., in cui, a proposito di Cerreto, è detto: "ubi mihi fortuna perversa statuit". Ad Atina B. passò tranquillamente, tra gli studi, gli uffici del suo ministero e le opere di pietà (specie in occasione del rovinoso terremoto del 1349) il resto della sua vita, fino al 1350, anno in cui la cronaca della Chiesa di Atina annota la fine dei suoi giorni a causa di una pestilenza giunta a completare l'opera luttuosa del terremoto.
Quanto agli studi superiori di B., evidentemente di diritto, possiamo collocarli, se non esclusivamente, certamente a Napoli, al principio del Trecento; egli ebbe in particolare, fra i suoi maestri, il compaesano Benvenuto di Milo da Morcone, vescovo di Caserta e professore di diritto canonico nell'ateneo napoletano, che forse non gli fece mancare, accanto ai sussidi della dottrina, anche più pratici appoggi, come pare di capire dall'allusione di B. riferita al maestro: "qui me de nihilo fecit aliquid".
L'opera maggiore, anzi la sola importante, di B., il Tractatus de differentiis inter ius Longobardum et ius Romanorum, scritto presumibilmente fra il 1323 e il 1333, giacque inedita fino al principio del Novecento, quando sull'unico manoscritto conosciuto, appartenente alla Biblioteca Oratoriana di Napoli, ne curò l'edizione a proprie spese Giuseppe Abignente (1912). A questo si deve la datazione dell'opera - che dovrà forse essere meglio precisata, con argomenti meno estrinseci, tenendo specialmente conto della legislazione angioina in essa citata e della data degli scritti, ugualmente citati, di alcuni commentatori (è ricordato, nota il Fiorelli, anche Bartolo da Sassoferrato) - e la datazione del codice fra il 1460 e il 1480, accompagnata quest'ultima dall'ipotesi ingegnosamente svolta che il manoscritto sia lo stesso posseduto dal giureconsulto Marino Freccia.
Il trattato di B. si sviluppa seguendo, con qualche variante, l'ordine dei tre libri della Lombarda, come risulta da un confronto dei titoli rispettivi. Tema fondamentale dell'opera è l'accertamento e l'illustrazione minuta del contrasto dottrinale e pratico fra i due diritti generali, il romano e il longobardo, vigenti nel Regnum, dei quali vengono poste in rilievo le molteplici reciproche divergenze nella costruzione e nell'impiego dei singoli istituti. Dalle norme longobarde, analiticamente esaminate una per una, il B. trascorse sistematicamente a particolareggiate esposizioni del corrispondente diritto romano, che si sviluppano nella puntuale dialettica delle differentiae. L'esteso e articolato svolgimento di parecchi argomenti ha fatto osservare a qualcuno che l'opera di B. assomiglia a una collana di trattatelli monografici; ciò è constatabile in particolare a proposito della tortura (pp. 1-15); della fama; del notorio e degli indizi (pp. 15-21); degli strumenti notarili (pp. 57-72); degli sponsali e del matrimonio (pp. 84-128) - dove si tratta del mundio, della meta, della donatio ante osculum, de vestibus pulcris et ornamentis,de vestibus cotidianis ("expensae nuptiales per virum, panni continui usus sunt uxoris, similiter circelli, anuli, benedictio sacerdotalis, prandia"),de bonis parafernalibus,de morgincap ("opere uxoris cedere debent lucro mariti"),de differentia inter mundualdos proximos et extraneos,usque ad quam aetatem mulier maritagium potest petere, ecc. -; delle donazioni "cum tingatione et launegilt" (pp. 184-193); delle disposizioni di ultime volontà (pp. 196-213); de debitis et guadimoniis et quando liceat pignorare (pp. 209-309); della prescrizione (pp. 267-280); dei testimoni (pp. 324-333); del mundio (pp. 365-374), ecc.
Il diritto romano e il longobardo appaiono posseduti da B. nella loro elaborazione più aggiornata: glossa, commento e correlativa letteratura monografica per il primo; contributo scientifico della scuola pavese e di quella bolognese per il secondo. Ma B., pur restando nel campo dottrinale dei due grandi diritti storici, non perde di vista le molteplici altre fonti che contribuiscono a creare il tessuto della vita giuridica del Regnum: cosìle leggi regie e quelle canoniche, le consuetudini feudali e le opinioni di curia e dei dottori, le leggi e le consuetudini municipali e locali, specialmente l'ususBeneventanorum civium e le consuetudini della baronia di S. Fraimondo di Alife, la practica, e perfino l'opinio Ebreorum. È stato notato (Ercole) che B., "più che ad esporre il diritto scritto così romano che longobardo, mira col suo Trattato a cogliere, nelle sue più caratteristiche antinomie, a fissar quasi sulla carta, il diritto vivo dell'epoca sua: è la pratica giuridica dell'Italia meridionale, in un momento tanto interessante dell'evoluzione giuridica, che balza vivace ed evidente dalla lettura dell'opera morconiana... L'opera costituisce dunque una fonte di prim'ordine, non solo per conoscere quanto del diritto longobardo degli Editti fosse tuttora vivo nella pratica dell'Italia meridionale nella prima metà del sec. XIV, e quali trasformazioni e modificazioni, sotto l'influsso dell'elemento romano e più anche delle mutate condizioni economiche e sociali, la parte tuttora viva del diritto longobardo avesse subito o stesse subendo (onde, da questo punto di vista, il trattato di B. assume, ai nostri occhi, per la pratica dell'Italia meridionale durante il sec. XIV, la stessa fondamentale importanza che ha per la pratica dell'Italia superiore durante il sec. XI l'Expositio) ma anche per conoscere come e in che limiti e con quali trasformazioni fossero nella pratica intese ed applicate, presso la stessa popolazione vivente a diritto romano, le norme del diritto romano scritto". L'intonazione, pertanto, dell'opera è fondamentalmente romanistica, rispecchiandosi in ciò fedelmente il tramonto della tradizione longobardistica che nell'Italia meridionale aveva avuto una stagione particolarmente feconda, a cagione del valore di legge territoriale rivestito nel Regnum dal diritto longobardo. E tuttavia l'opera romanizzante di B. è anche l'ultimo grande documento della sopravvivenza - sia pure in maniera parziale e frammentaria - del diritto longobardo come diritto vigente, specialmente in materia di famiglia e di obbligazioni (Salvioli).
Riproposto agli studi dalla non felice edizione dell'Abignente (che non affronta, tanto per fare un esempio, lo scioglimento delle innumeri abbreviazioni di citazioni giuridiche), il Tractatus di B., che già la germanistica tedesca (Neumeyer) aveva richiamato dall'oblio, occupa tuttora una posizione di primo piano tra le fonti della storia giuridica dell'Italia meridionale. Variamente valutato - il Salvioli giustifica, come dovute a un intento eminentemente pratico anche le lungaggini e le prolissità; il Calasso, per contro, lo giudica opera erudita, poco profonda, scritta con mentalità provinciale, negativa per gli scopi pratici; il Fiorelli, esaminando l'influenza su B., in materia di tortura, dell'anonimo celebre Tractatus de tormentis, osserva che il "plagio prese forma di pedissequo riassunto senza un barlume di originalità" - il trattato del preposito di Atina deve essere, in realtà, ancora studiato a fondo, e molti problemi relativi alla sua composizione e datazione debbono essere ancora risolti. Certo, rispetto alle Differentiae inter ius Longobardorum et Romanorum di Andrea Bonello da Barletta, l'opera di B., assai più vasta e farraginosa, può sembrare che perda di vista l'essenziale - il giurista barlettano "si era limitato volontariamente a rilevare in breve, di volta in volta, 'casum illum qui hodie magis in iudiciis frequentatur', tralasciando tutti gli altri 'tanquam inutiles et inusitatos'...", mentre B. "abbraccia tutto il materiale della Lombarda, anche le parti non più osservate" (Calasso) - ma proprio la vastità del materiale, più o meno felicemente elaborato -, assicura alle pagine di B. il pregio di rappresentare una multilaterale testimonianza storica.
L'opera di B. va considerata anche in relazione a quella di Carlo di Tocco, il grande longobardista, del quale, secondo il Leicht, nonostante la distanza di tempo il prete di Atina può considerarsi seguace. Le opinioni espresse da Carlo nella sua celebre glossa alla Lombarda sono citate in continuazione e quasi sempre tenute per decisive da Biagio. Secondo un calcolo del Leicht, contro la dozzina di citazioni di Dino del Mugello, le otto di Azone, le nove di Giovanni Bassiano, le cinque di Andrea da Isernia e le altrettante di Marino da Caramanico, stanno le ben duecentocinquanta glosse del glossatore beneventano ricordate da B., che hanno permesso, fra l'altro, sempre al Leicht, di affrontare in modo originale il problema critico del testo dell'apparato di Carlo tramandatoci esclusivamente dall'editio princeps del 1637, che appariva evidentemente manipolata. In tale occasione il Leicht ha offerto anche esempi di incertezza interpretativa di B., di sue contraddizioni ed inesattezze.
Glosse di B. sono comprese fra quelle di numerosi giuristi che accompagnano la glossa ordinaria di Andrea da Capua alle Constitutiones Regni Neapolitani (cfr., per esempio, l'edizione veneziana del 1562 e quella napoletana del 1733). Anche nei Singularia doctorum, II, Venetiis 1578, p. 187 (e verosimilmente in edizioni anteriori e posteriori della stessa raccolta) è presente almeno una volta "Blasius de Morcone", mentre un'altra opera attribuitagli, le Cautelae, non è rintracciabile: probabilmente perché, la fonte dell'attribuzione essendo quasi certamente l'Index librorum iuris pontificii et civilis..., Venetiis 1566, c. 15r, ed apparendo in essa il nome di B. senza alcuna precisazione nell'elenco promiscuo degli autori di Singularia et cautelae, lo si è ritenuto non solo autore dei primi, come effettivamente era, ma anche delle seconde.
Per il testo del trattato di B., vedi Dom. Blasii de Morcono De differentiis inter ius Longobard. et ius Romanorum tractatus, a cura di G. Abignente, Neapoli 1912: recens. di K. Neumeyer, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, German. Abteilung, XXXIII (1912), pp. 523-524; R. Trifone, in Arch. stor. per le prov. nap., XXXVII (1912), pp. 493-497; F. Ercole, in Arch. stor. ital., LXXII(1913), 1, pp. 424-428.
Fonti e Bibl.: G. Salvioli,Intorno all'opera di B. da Morcone, in Arch. stor. per le prov. nap. XI, (1915), pp. 374-385; P. S. Leicht,Le glossi di Carlo di Tocco nel trattato di B. da Morcone, in Studi e mem. dell'Univ. di Bologna, s. 1, IV(1920), pp. 151-190; E. Besta,Fonti, in Storia del diritto italiano, a cura di P. Del Giudice, I, 1, Milano 1923, p. 399; I, 2, ibid. 1925, pp. 857, 903; F. Calasso,La Const. "Puritatem" del "Liber Augustalis" e il diritto comune nel "Regnum Siciliae", in Introduzione al diritto comune, Milano 1951, pp. 295-297; Id.,Medio Evo del diritto, Milano 1954, pp. 553-554; P. Fiorelli,La tortura giudiziaria nel diritto comune, I, Milano 1953, pp. 145, 188; II, ibid. 1954, pp. 150, 195; E. M. Meijers,L'univ. di Napoli nel sec. XIII (1924), in Etudes d'histoire du droit, III, Leyde 1959, p. 153.