ASSERETO, Biagio
Nacque a Genova, verso la fine del sec. XIV, da Costantino, membro del Consiglio degli Anziani: apparteneva ad una famiglia di origine popolare originaria di Recco, ma da più generazioni stabilitasi a Genova.
Nel 1408 fu eletto scriba del podestà di Porto Maurizio; nel 1421 compare, con l'attributo di notaio, come teste, insieme ad altri notabili cittadini genovesi, nella ratifica di alcune convenzioni fra Genova ed il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, per il recupero di alcuni fortilizi da parte di quest'ultimo. Nel 1423 venne nominato per la prima volta cancelliere della Repubblica insieme all'annalista Giovanni Stella, il quale lo ricorda pure, nei suoi Annali di Genova,come patrono di una galea nella flotta che Genova armò in quell'anno in favore, della regina Giovanna per la conquista di Napoli. Da quest'anno fino al 1435, salvo breve interruzione, l'A. fu riconfermato cancelliere, come attestano numerosi atti della cancelleria conservati all'Archivio di stato di Genova. Dal 1423 divenne stabilmente proprietario ed appaltatore di navi al servizio della Repubblica: così nel 1427 fu inviato nella zona delle Cinque Terre (La Spezia) contro le navi armate dai Fiorentini e partite da Pisa a sostegno di Tommaso di Campofregoso, che in quella regione si era fatto capo del malcontento genovese contro il duca di Milano. Contemporaneamente l'A., non pago delle forti somme di danaro ricevute per le sue prestazioni in qualità di patrono di navi, mirava ad ottenere altri incarichi, ancora più redditizi, nell'amministrazione della Repubblica: nel 1428 fu nominato podestà di Recco, nel 1429 commissario nel territorio di Portofino e sempre nel 1429 rappresentò Genova nel trattato di alleanza con Lucca, la quale aveva abbattuta da poco la tirannide di Paolo Guinigi, contro i Fiorentini.
Nella cancelleria genovese si legò di profonda amicizia con l'umanista Iacopo Bracelli, il cui epistolario è una solida conferma dell'affetto fra i due anche dopo l'esilio dell'A.; forse dalla consuetudine con il Bracelli nacquero in lui il culto delle lettere e l'ammirazione per il mondo classico, che ricevettero nuovo impulso dai frequenti soggiorni dell'A. presso la corte milanese. Uomo di fiducia della Repubblica genovese, ricevette delicate missioni di ambasciatore presso i Visconti, i Savoia ed altri nobili signori. Tuttavia l'eccessiva familiarità dell'A. con Filippo Maria suscitò malumori e sospetti in Genova: il Biondo, storico genovese di dubbia attendibilità, sostiene che egli, dopo esserne stato un0 dei promotori, si guadagnò la simpatia del duca svelandogli la congiura di Francesco Spinola e l'accordo con i Venezianì contro di lui.
Proprio il duca lo pose a capo della flotta genovese, inviata nell'agosto del 1435 in aiuto della guarnigione di Gaeta, assediata dagli Aragonesi, sebbene la sua nomina fosse avversata dai nobili genovesi. L'A., capace uomo di mare, mostrò in questa circostanza tutte le sue qualità: il 5 ag. 1435 nelle acque di Ponza sconfisse l'armata nemica, facendo prigionieri il re Alfonso, suo fratello Giovanni di Navarra, l'infante Enrico, il viceré di Sicilia e molti altri nobili napoletani ed aragonesi.
Sembra che siano stati gli Aragonesi, forti di 28 unità della loro flotta, a voler attaccare a tutti i costi battaglia, ostacolando nelle acque di Terracina la flotta genovese, per impedirle di avanzare verso Gaeta. L'ordine infatti della Repubblica di Genova era quello di limitarsi a portar soccorsi alla città assediata, senza combattere: ma di fronte all'ingiunzione dei re d'Aragona di ammainare le vele e di considerarsi prigionieri, l'A. preferì affrontare la sorte delle armi ed accettare battaglia, perché "meglio era morir con honore che viver con vergogna". La flotta aragonese, con il vento in poppa, diede l'assalto per prima, ma i Genovesi, incatenate le navi spagnole alle loro, combatterono valorosamente per dieci ore, riuscendo alla fine vincitori, dopo aver affondato tre navi e averne catturate dodici.
L'A. stesso ci ha lasciato una minuziosa descrizione della battaglia in una sua relazione indirizzata al governatore ducale in Genova, Opizzino di Alzate, ed al Consiglio degli Anziani; di questa lettera, data il 6 agosto sulla nave ammiraglia, esistono varie copie anche in dialetto genovese: pare tuttavia che l'originale sia in volgare italiano.
La vittoria di Ponza segnò l'apogeo della fama e della gloria dell'Asserèto. In tale occasione i più famosi umanisti dell'epoca, come Ciriaco Anconitano, l'Astesano, il Filelfo, il Vegio, da lui conosciuti alla corte milanese, e con i quali manteneva affettuose relazioni epistolari, gli indirizzarono le loro lodi : fra tutti emerge, anche per qualità poetica, il carme latino di Enea Silvio Piccolomini. Ma i maggiori riconoscimenti gli vennero da Milano e da Genova. Filippo Maria gli conferì, il 27 nov. 1435, il feudo di Serravalle con nome ed arma viscontea; Genova onorò l'A., il quale ora nei documenti appare come "Blasius de Vicecomitibus", consegnandogli in perpetuo una delle chiavi del tesoro sottratto ad Alfonso d'Aragona e riposto nella cattedrale di Genova, San Lorenzo.
Il trionfo tuttavia fu di breve durata: quando i prigionieri reali, sbarcati dall'A. a Savona ed inviati direttamente a Milano per il trionfo del duca, contro la volontà genovese, furono liberati, i Genovesi insorsero, trucidarono il governatore e passarono dalla parte di Renato d'Angiò, consigliando l'ammiraglio, il quale era stato l'esecutore di segreti ordini del Visconti, a ritirarsi prudentemente, volontario esule, a Serravalle.
L'A. abbandonò poi spesso il proprio feudo per fare lunghi e frequenti soggiorni alla corte ducale di Filippo Maria, dove "acquistò quella vernice di signore colto, passionato dell'arte antica, degli studi che gli procacciò le lodi dei frequentatori delle aule viscontee". Non era solo vernice esteriore questo atteggiamento dell'A., che spesso accoglieva nel proprio feudo ed ospitava per lunghi periodi molti letterati e non sdegnava neppure il commercio dei libri (una lettera di Bartolomeo Fazio al Panormita ce lo mostra infatti venditore per cento ducati d'oro di un prezioso codice di Virgilio inviato a Napoli per essere colà venduto ad alto prezzo). Uomo d'armi, dalle quali riconobbe tutta la sua gloria, l'A., pur non nutrendo pretese di letterato, sentì sinceramente le aspirazioni culturali del suo secolo e, nel suo desiderio profondo di gloria e di affermazione mondana, mostrò di condividerne le tendenze e gli atteggiamenti più caratteristici.
A Milano rivide Iacopo Bracelli, colà recatosi nel 1445 come ambasciatore della Repubblica genovese, il quale gli riferì di aver perorato la sua causa presso i nuovi governanti di Genova e di sperare in un prossimo perdono: in realtà i Fregoso, che comandavano in Genova, aspiravano "a far di Serravalle un ort" e frequenti erano gli scontri sui confini.
Allo stato attuale delle ricerche non si hanno particolareggiate notizie sull'attività politica dell'A. al di fuori del suo feudo, fino all'anno 1448 quando, il 16 giugno, al servizio della Repubblica ambrosiana e di Francesco Sforza egli sconfisse i Veneziani sul Po in un importante scontro fluviale presso Casalmaggiore Morto infatti Filippo Maria Visconti, l'A. occupò un posto di primo piano nella Repubblica ambrosiana, schierandosi in favore di Francesco Sforza: fu podestà della Repubblica ed egli stesso, l'i i marzo 1450, sottoscrisse in Milano un bando per la convocazione dell'assemblea generale, dalla quale uscì proclamato nuovo duca di Milano Francesco Sforza.
Dopo il 1450, pur continuando a godere alla corte ducale della stessa stima e dello stesso prestigio, l'A. si ritirò definitivamente nel feudo di Serravalle: venuto a mancare il suo grande protettore ed allontanatisi da Milano molti suoi amici, non v'era per lui più ragione di frequentare la corte ducale o soggiornare a Milano. Uomo d'azione, egli continuò a partecipare attivamente alla vita politica, indirizzando dal suo feudo al duca dispacci con informazioni particolareggiate sull'esito dei suoi intrighi e delle sue trattative segrete con fuorusciti genovesi per far cadere la città nuovamente sotto il dominio milanese. Complottò infatti con gli Adorno, favorevoli ad una restaurazione del dominio milanese, e il 24 luglio 1452 informò il duca di una sua conferenza segreta avuta con Raffaele e Paolo Adorno "per il bene di V.S.". Ma anche i Genovesi, i quali avevano in Novi Ligure e Gavi i loro capisaldi contro l'espansione dello Sforza, tentavano imprese di sorpresa contro Serravalle, sicché l'A. scrisse poco dopo al duca di essere stato costretto ad assoldare fanti forestieri per arginare le scorrerie degli avversari.
Dalle lettere inviate da Francesco Sforza all'A. nel 1454 sembra che il feudatario non si comportasse sempre da buon vicino e da pacifico signore: essendosi, per esempio, lamentata la famiglia dei signori di Lonate perché l'A., con l'abate di Precipiano, gli Spinola di Arquata ed i nobili Ratti, aveva cercato di toglierle il territorio di Vignole, il duca intervenne, invitando l'A. a provvedere alla restituzione del territorio stesso. Anche Francesco, il figlio primogenito della prima moglie Pometta di Teramo di Moneglia, dette preoccupazioni all'A., molestando nelle sue proprietà il priore di Calvenzano e costringendo il padre, su perentorio ordine del duca, a far da paciere.
Ormai l'A. era l'ombra di se stesso e soffriva di frequenti crisi di malinconia che tristemente comunicava ai fedeli amici: invano il Filelfo, suo sincero amico sino all'ultimo, lo esortò, in una lettera del 27 maggio 1455, a scuotersi dal suo torpore e ad inviargli una relazione di suo pugno della battaglia di Casalmaggiore, da tempo promessa. L'A., che forse presentiva l'imminente fine, lasciò cadere l'invito e non scrisse più.
Circondato dai figli, Francesco, Stefano, Battista, Ambrogio, Giuliano, l'A. morì il 25 apr. 1456, con il triste presentimento che essi, divisi da rivalità e da diverse idee politiche, avrebbero finito per farsi togliere dal duca di Milano il feudo di Serravalle da lui faticosamente acquisito.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto da 12/507 a 22/517(anni 1422-1435);Giovanni Stella, Annales Genuenses,in L. A. Muratori, Rerum Italic. Scriptores,XVII,Mediolani 1730, coll. 1288-1298;M. Giustiniani, Gli scrittori liguri descritti,Roma 1667, coll. 150-152;P. F. Scribanis, B. A., in Elogi di liguri illustri, I,Genova 1846, pp. 185-193;L. T. Belgrano, B. A., in Caffaro,19 febbr. 1882, 20 febbr. 1882, 20 marzo 1886;C. Braggio, Giacomo Bracelli e l'umanesimo a Genova,in Atti d. Soc. ligure di storia patria,XXIII(1890), pp. 52-64;F. Gabotto, Un nuovo contributo alla storia dell'umanesimo ligure, ibid., XXIV (1891), pp. 19-23;G. Piastra, B. A. e la battaglia di Ponza,in Luci ed ombre della Superba,Genova 1949, pp. 125-135; Encicl. Ital,IV, p. 996.