COVONI, Bettino
Figlio di secondo letto di Covone di Naddo e di Tessina de' Corbizzi - che era vedova di Cino Rinuccini e madre di Francesco Rinuccini, il grande mercante di parte riccesca del quale il C. era quindi fratellastro - nacque a Firenze probabilmente attorno al 1335.
La prima notizia sicura sul C. risale all'anno 1354, allorché suo fratello maggiore Bernardo venne nominato camarlingo del Comune di Firenze. Lo troviamo ancora, il 19 aprile del 1355, nei rogiti di ser Guido di Rucco da Rondinaia come coprotagonista della pace tra Covoni e Magalotti. Nel 1363, come console della Zecca, contrassegnava i fiorini d'oro e i piccioli da lui fatti coniare con un pezzo di catena a quattro anelli; tale ufficio gli sarebbe stato attribuito di nuovo nel 1375. Nella compagnia dei Covoni, titolare della quale era dal 1348 il fratello Bernardo, lo troviamo a partire dal 1367. Tra maggio e settembre del 1369 fu dei Sedici gonfalonieri di compagnia per il quartiere di S. Croce, ufficio che avrebbe coperto di nuovo nel 1380. Podestà di Borgo San Lorenzo nel 1371, fu priore nel novembre-dicembre dell'anno successivo, e nel 1373 giocò un ruolo interessante nella ristrutturazione urbanistica della città in quanto venne interessato alla costruzione della loggia di piazza dei Signori detta anche loggia dell'Orcagna (tale edificio venne in effetti costruito fra 1376 e 1381). Lo vediamo, difatti, acquistare dai Baroncelli, a nome del Comune, un'area edificabile nel luogo in cui si sarebbe costruita la loggia. Nel 1374 fu membro del Collegio dei buonomini.
Ma fu con il conflitto contro Gregorio XI, la guerra degli Otto Santi, che la personalità politica del C. ebbe modo di imporsi; nel dicembre 1375 andava ambasciatore a Città di Castello insieme con Iacopo di Piero Sacchetti; in seguito, riusciva a far ribellare contro il papa la città di Ferrara, nella quale la signoria era stata usurpata poco tempo prima da Rivaldino da Monteverde. Inviato al papa per intavolare trattative, queste restavano tuttavia inefficaci. Lo troviamo oratore nei Consigli, fautore d'una dura linea antichiesastica e, in seguito, agitatore contro le "ammonizioni" della Parte guelfa. Ormai, i suoi interessi economici e le sue posizioni politiche lo conducevano nelle braccia di quel partito di membri della medio-alta borghesia fiorentina, dotata di non sempre cospicui ma spesso ragguardevoli patrimoni, che guardavano con crescente sospetto alle tendenze oligarchiche di parte guelfa e che trovavano i loro capi nel casato dei Ricci. Si trattava di banchieri e affaristi popolani (Capponi, Covoni, Salviati), piccoli patrizi (Aldobrandini, Quaratesi, Rimbaldesi), ma anche di grandi mercanti internazionali, come Andrea Rondinelli e lo stesso Francesco Rinuccini, fratellastro del Covoni. Il fatto che quest'ultimo nel 1369 fosse cointeressato all'utenza del porto di Pisa insieme con uomini quali Guccio Gucci, Tommaso Soldani, Andrea Salviati, Filippo e Cappone Capponi, Matteo e Bartolomeo Covoni, sottolinea una volta di più gli stretti legami fra interessi economici e scelte politiche.
Conseguenza immediata di queste sue simpatie politiche e della sua campagna contro le "ammonizioni" fu che il C., nel febbraio 1378, venne "ammonito": lo troviamo, è vero, "disammonito" già nel giugno, ma ormai la situazione interna fiorentina stava precipitando. Il fatidico 20 luglio lo troviamo in armi, per quanto cercasse di non permettere che le cose si evolvessero in modo eccessivamente drammatico e si offrisse come mediatore tra Signoria e Ciompi. Sostanzialmente, egli era molto vicino alle posizioni di Salvestro de' Medici, anche se resta - per lui come per altri - oscuro il significato dell'investitura di cavaliere "a spron d'oro" che i Ciompi gli offrirono (o gli imposero?). Comunque, il 18 ottobre successivo - quando ormai le acque fiorentine erano in parte calmate - egli sollecitava dal Comune il riconoscimento della dignità cavalleresca così avventurosamente conferitagli tre mesi prima; il che può far supporre che ci tenesse ma che, al tempo stesso, non avesse l'intenzione d'inimicarsi i padroni del momento né di sembrar loro sospettabile.
Poco dopo, il 23 novembre, fu scelto quale ambasciatore al papa: in tale occasione dovette giurare di non domandare al pontefice alcun beneficio, privilegio, dignità o grazia, assoggettandosi, qualora l'avesse fatto, a una grossa multa. Nel 1379, capitano del Popolo a Volterra che era accomandata a Firenze, scopriva una grossa trama di fuorusciti che, da Siena, stavano congiurando per rientrare in Firenze. L'anno successivo, insieme con Baldassarre Buonaiuti - il cronista Marchionne di Coppo Stefani - si recò presso la compagnia di San Giorgio, in quel momento in territorio senese, per invitarla a rispettare i confini della Repubblica di Firenze. Indi ad Arezzo - in un'ambasciata che lo vide assieme con Rosso di Ricciardo de' Ricci, Iacopo di Michele cimatore e Salvestro di Giovanni tintore - concluse il trattato di pace tra Firenze e Carlo III d'Angiò-Durazzo. Chiamato a Perugia come podestà per i primi sei mesi del 1381, andò poi in ambasceria presso Carlo III per congratularsi del suo insignorimento del Regno di Napoli. Pare che nel dicembre, mentre i suoi colleghi d'ambasceria rientravano in Firenze, egli restasse in Napoli, per motivi che non sono chiari, ma che può darsi riguardassero il progressivo deteriorarsi, per chi aveva partecipato al governo di Firenze dall'estate 1378 in poi, dell'orizzonte politico in città. Infatti, il 14 marzo 1382, fu emanata contro di lui sentenza d'esilio; essa lo raggiunse il 19 seguente. La città che avrebbe dovuto raggiungere per viverci da esule era L'Aquila; ma egli riuscì, accettando certe restrizioni, a ottenere l'autorizzazione a stabilirsi in Bologna. Pare che in questa città, appunto, morisse in quel medesimo 1382.
Dalla consorte Piera di Lapo Bonibeni aveva avuto undici figli: Simone, Taddeo, Paola che sposò Tommaso di Piero de' Bardi, lacopo, Maddalena che sposò Antonio di Simone Gondi, Ginevra che si maritò con Benedetto di Vanni Manetti, Bartolo, Niccolò, Filippo, Tessa che ebbe due mariti, Agostino di Paolo Marcucci e indi Albertaccio di Giovanni del Bene, e infine Antonio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico. Monte Comune, 1378 nov. 23; Ibid., Notarile Antecosimiano, G 838, IV, cc. 102rv, 138r, 199rv; Ibid., Carte Sebregondi, nn. 1856, 1857, 1859; Firenze, Bibl. nazionale, Carte Passerini, n. 8, c. 84r; n. 46, pp. 81-167; Ibid., Poligrafo Gargani, n. 682; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, in Rer. Ital. Scriptores, 2 ed., XXX, 1, a cura di N.Rodolico, pp. 279, 305. 309. 324, 349, 369, 380, 390. 408; Diario d'anonimo fiorentino, in Documenti di storia italiana, s.1, VI, a cura di A. Gherardi, Firenze 1876, ad Indicem; D.Velluti, Cronica domestica, a cura di I. del Lungo - G. Volpi, Firenze 1914, pp. 223, 293, 295; Libro giallo della Compagnia dei Covoni, a cura di A. Sapori, Milano 1970, pp. XV, XXXVIII, XLII ss., LXXXIII; G. A. Brucker, Florentine Politics and Society, Princeton 1962, pp. 205, 341.