BETTI, Claudio, detto Betto giovane
Nacque a Modena, probabilmente intorno al 1570, da Antonio Maria, celebre medico modenese e professore di filosofia e medicina all'università di Bologna, e da una Caterina, nipote di Diamante Tassoni e Balbo Balbi. Fu avviato agli stessi studi del padre nello Studio bolognese, dove si laureò in filosofia e medicina il 25 ag. 1545, e dove, certamente grazie al prestigio di quello, ottenne lo stesso anno una lettura di logica. Nel 1550 passò alla lettura straordinaria di filosofia, che tenne fino al 1554, allorché gli fu concesso l'ordinariato di filosofia, che alternò dal 1562 al 1567 con quello di filosofia morale. In qualità di lettore allo Studio ottenne inoltre la cittadinanza bolognese. Ben presto si rese famoso per le sue eccellenti capacità di commentatore dei testi aristotelici (lesse all'università i Parva naturalia,la Physica, il De coelo, il De anima,:il De generatione et corruptione, i Metheorologica),per i quali "né mai valevasi di alcuno interprete, né permetteva il valersene ai suoi scolari" (Tiraboschi): una lettura di Aristotele "iuxta propria principia" e filologicamente agguerrita, nello spirito del più ortodosso aristotelismo. Ma gli interessi dei B. erano volti soprattutto allo studio delle tecniche logiche e delle arti argomentative e la fortuna del suo insegnamento rimase legata alla sua attività di "dialettico". Alla sua scuola passarono personalità importanti della cultura e della società emiliana: da A. Tassoni ad U. Aldrovandi, da C. Ercolani ad A. Dandini, a F. Panini, e nessuno di costoro mancò di ricordare l'importanza dell'insegnamento del Betti.
Nell'aprile del 1568 il cardinale Girolamo Dariffini scriveva al nipote Anselmo, prossimo agli studi in giurisprudenza, raccomandandogli di esercitarsi "in dialecticis sotto la guida colta ed esperta del B., uomo erudito et apto ad docendum". Il che ci induce a ritenere che il suo insegnamento logicomirasse, conformemente agli stretti rapporti che nel Cinquecento legavano dialettica e giurisprudenza, ad una arte argomentativa che fornisse efficaci strumenti all'eloquenza civile. Non a caso Ugolino Pacino da Montescutolo, in un'orazione in lode della giurisprudenza stampata a Bologna nel 1574, si vanta d'aver avuto in lui un maestro di logica, insuperabile riscopritore ed interprete della filosofia aristotelica.
Anche come insegnante di filosofia morale il B. si dimostrò commentatore di "grandissima accuratezza" (come disse il Panini), e sempre attento agli schemi rigidamente suddivisori della logica aristotelica. Prova di ciò è la sua operetta De l'honore, consideratione de l'eccell.mo filosofo M. Claudio Betti Modonese,Bologna 1567, nata come ricerca fatta, "tra le molte", in collaborazione con C. Ruini e recitata in una seduta dell'Accademia modenese degli Storditi, (della quale faceva parte, come di quella dei Gelati).
Il trattatello, che aveva dalla sua l'interesse dell'epoca per tutto ciò che, come l'onore, definisse il modello dell'uorno socialmente apprezzabile, analizza la nozione di "onore" e "disonore" secondo "la dottrina di quell'autore, del quale ho fatto sempre professione, cioè d'Aristotele", e particolarmente la Retorica,ricercandone cause ed accidenti e suddividendoli gerarchicamente con metodo sillogistico e dicotomico.
La preminenza degli interessi logici dei B. s'espresse, inoltre, con l'opera De recta discurrendi ratione Institutio brevissima,Bononiae 1568 (ristampata postuma col titolo De syllogismo sive de recta disserendi ratione, ibid. 1590), manuale di logica di "moltissimo spaccio", con cui veniva una volta di più sottolineata l'importanza delle tecniche dialettico-retoriche come propedeutica all'esercizio delle arti.
L'aristotelismo del B. sembra fosse incline alle tesi pomponazziane. A parte una testimonianza del Varchi che nell'Ercolano, per bocca di C. Ercolani, gli attribuisce tesi di sapore alessandrista (per il B. più nobili dei generi e delle specie erano "gli individui senza comparazione"), c'è da dire che un suo De anima, citato da tutti i biografi senza data di edizione, incontrò l'opposizione dei teologi. Il Tiraboschi, sulla scorta di memorie manoscritte di F. Forciroli, afferma che il trattato, già cominciato a stamparsi, non vide mai la luce in quanto fu interrotto per volontà dell'inquisitore, poiché vi si diceva che "l'anima separata dal corpo non può discorrere" e che di essa parlava "come filosofo" e non già "come cristiano". Sottoscritto da un altro inquisitore amico del B., sembra che il trattato fosse definitivamente respinto dal teologo del card. Gabriele Paleotti, uno dei più attivi partecipanti al concilio di Trento e, divenuto arcivescovo di Bologna nell'anno 1563, rigido esecutore delle risoluzioni di esso; il 1563 diventa quindi il termine antequem per la composizione definitiva del trattato. A questo episodio va forse ricondotta l'irritata stroncatura del B. nel De republica di C. Paleotti, fratello dei cardinale, con cui il filosofo accolse l'autore, da giorni di ansiosa attesa. Così pure dal sospetto della simpatia nutrita dal B. per gli ambienti eterodossi nacquero le accuse di "dubbia fede"e di "implacabile spirito di vendetta".
L'insegnamento del B., ciononostante, continuava felicemente, raramente interrotto dall'esercizio della medicina.
L'attività di scrittore del B. fu. piuttosto intensa; accanto alle opere a stampa ci restano numerosi inediti: Esposizione di un sonetto dei Caro intorno la morte cristiana (1557), con lettera dedicatoria al vescovo di Feltre Filippo Maria Campeggi dei 20 sett. 1560; Discorso intorno la fortuna del Betto giovane Accademico Gelato sotto il nome di Momo (1558), con lettera dedicatoría allo stesso del 15 nov. 1559, conservati nella Biblioteca Universitaria di Bologna cod. 2388 (in cui è contenuto anche un sonetto di P. Ciclotti al Betti). A Benedello, nella raccolta di Ca' d'Orsolino (cod. io49), si conserva una lettera del B. al padre, datata Modena 17 genn. 1548. L'Alidosi parla anche di un corso di filosofia e commenti alle opere di Aristotele lasciati manoscritti. Il Fantuzzi cita un manoscritto contenente un Giudizio sopra il parere di D. Scipio de Castro intorno al quesito se il Reno di Bologna sia quello, che areni totalmente il Po' di Ferrara e il Tiraboschi un Discorso della sostanza dell'anima e quello che ritiene il manoscritto del De anima, cioè il Quesito, se l'anima umana na immortale, o non sia, quanto alla sua essenza, e sostanza secondo la mente d'Aristotele.
Il 29 ott. 1588, dopo quarantatré di ininterrotto insegnamento allo studio bolognese, il B. fu dispensato dalle lezioni per due anni, per le precarie condizioni di salute, ma prima dei termine moriva, il 4 genn. 1589.
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