bestemmiatori
La bestemmia rappresenta un caratteristico atteggiamento dei dannati: " damnati in inferno non sperant se posse poenas evadere. Et ideo, tanquam desperati, feruntur ad omne ad quod eis perversa voluntas suggerit " (Tomm. Sum. theol. II II 13 4 ad 1). Pertanto " talis detestatio divinae iustitiae est in eis interior cordis blasphemia. Et ... post resurrectionem erit in eis etiam vocalis blasphemia, sicut in sanctis vocalis laus Dei " (ibid.).
D. ci presenta i dannati che bestemmiano nella loro prima generica apparizione, sulle rive dell'Acheronte, mentre attendono di essere traghettati: Bestemmiavano Dio e lor parenti, / l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme / di lor semenza e di lor nascimenti (If III 103-105). Procedendo per il mondo infernale, la bestemmia non è però il segno distintivo di tutti i dannati. Il rapporto fra i dannati e la divinità si presenta, nella multiformità del mondo dantesco, quanto mai vario. Accanto alla sfida di Capaneo e al disprezzo di Vanni Fucci, troviamo un ben diverso contegno in quei personaggi che, anche nell'eterna sventura, sanno conservare una loro umana dignità. Paradossale addirittura sarà l'atteggiamento di Francesca, che si rammarica di non avere Dio amico per poterlo pregare.
Tutto questo non nasce soltanto dal contrasto fra le esigenze del poeta e quelle del teologo in un'opera che, pur trattando con serietà materia teologica, è soprattutto opera di poesia. D. vede sempre anche nel dannato la scintilla della creazione divina. Gli stessi primi diavoli che s'incontrano nella valle infernale (Caronte, Minosse, Pluto, il Minotauro, i Centauri, le Arpie) hanno ancora una certa maestà; le loro figure non sono ignobili: sono ‛ ministri ' di quel Dio che rappresenta la loro antitesi ed esercitano dignitosamente il loro ‛ ministerium '. Fra l'atteggiamento di Minosse, per esempio, e quello di Catone non corre una differenza enorme quale si potrebbe presumere dato l'abisso invalicabile che si frappone fra essi.
I peccatori condannati per la colpa specifica della bestemmia sono posti nel terzo girone dei violenti: il loro peccato rappresenta l'unica forma di violenza contro la divinità permessa alle deboli forze dell'uomo.
La bestemmia procede dalla superbia: è una forma di disprezzo. S'intende naturalmente la bestemmia voluta, non l'imprecazione sfuggita. D. lo mette bene in chiaro: chi, spregiando Dio col cor, favella (If XI 51). È un fedele ricalco dell'insegnamento di s. Tommaso: " Ad primum ergo dicendum quod blasphemia in quam aliquis prorumpit deliberata mente, procedit ex superbia hominis contra Deum se erigentis " (Sum. theol. II II 158 7c).
Ma la bestemmia è altresì figlia dell'ira: " Procedit etiam ira in locutionem, et contra Deum qui permittit iniuriam inferri, et sic ex ira causatur blasphemia " (Tomm. Quaestiones disputatae XII 5). Superbia e ira sono parimenti incarnate nell'unico b. nominato fra quelli che scontano la loro pena stesi sulla rena infocata. Non è un'ira simile a quella che ha condannato le anime dello Stige: è un'ira cosciente e come tale deve essere punita entro la città di Dite.
Il tipo della pena è un'evidente reminiscenza biblica: in modo particolare si ricollega all'episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra. Una ferrea legge di struttura sembrerebbe pertanto estendere ai b. quella pena che viene spontaneo assegnare ai sodomiti. Ma un rapporto, sia pure con i termini invertiti, fra la bestemmia e il fuoco punitore D. poteva trovarlo nell'Apocalisse (16, 8-9): " Et quartus angelus effudit phialam suam in solem, et datum est illi aestu adfligere homines et igni; et aestuaverunt homines aestu magno et blasphemaverunt nomen Dei habentis potestatem super has plagas, neque egerunt paenitentiam ut darent illi gloriam ".
Può essere pure indicativo il fatto che l'unico nominato fra i violenti contro Dio fu ucciso proprio dal fuoco sceso dal cielo.
Ma oltre che dal fuoco e più che dal fuoco, Capaneo è punito da un interiore tormento. Ricordiamo le parole di Virgilio (If XIV 63-66): " O Capaneo, in ciò che non s'ammorza / la tua superbia, se' tu più punito; / nullo martiro, fuor che la tua rabbia, / sarebbe al tuo furor dolor compito ". Il re fulminato all'assedio di Tebe è condannato per l'eternità a rivivere il momento della sua impotenza di fronte alla divinità che egli ha sfidato.
Simile tormento è ragionevole che affligga tutti gli altri dannati che commisero identico peccato. Il personaggio della Tebaide non è un Farinata, dotato di certe virtù umane che, se non son valse a salvarlo, gli conferiscono però, su un piano extra-teologico, una certa nobiltà. Anzi, è quasi l'incarnazione del peccato stesso: una divinità alla rovescia di quella mitologia pagana che D. vede pregnante di simboli ammaestratori per il cristiano. Nella figura di Capaneo, pertanto, la bestemmia mostra tutta la sua assurda ‛ bestialità ', che nasce dal più paradossale capovolgimento di valori che l'uomo possa concepire.
A Capaneo D. paragona Vanni Fucci: Per tutt'i cerchi de lo 'nferno scuri / non vidi un spirto in Dio tanto superbo, / non quel che cadde a Tebe giù da' muri (If XXV 13-15).
In realtà il confronto ha più valore sul piano di un'impressione visiva e uditiva che non su quello della dottrina morale. Vanni Fucci è più empio, più inverecondo, ma meno emblematico. La sua personalità più complessa fa sì che egli non possa assurgere a simbolo di un determinato peccato o di una determinata categoria di peccatori. La bestemmia che egli proferisce non deriva semplicemente da ‛ matta bestialità ': essa rappresenta soltanto una componente di un quadro morale dominato dalla viltà e dalla raffinata malizia. Così la sua punizione sarà più avvilente. Non è che Capaneo, come è stato asserito da qualche critico, abbia una maggiore dignità; sarebbe come parlare della dignità di un pazzo furioso. Certo è invece che la posizione di Vanni Fucci è più grave perché il suo agire è più riflesso, più meditatamente consapevole. La bestemmia in lui completa una serie di atteggiamenti irriverenti, ne è il coronamento, l'apoteosi che gli fa meritare l'immediata punizione. Se Capaneo aveva sfidato il cielo ed era stato percosso dalla folgore, il castigo del pistoiese sarà non solo genericamente più vile, ma perfettamente in armonia col suo modo di agire, col comportamento da lui tenuto nel corso del suo colloquio col poeta, concluso con un'espressione di sadismo: E detto l'ho perché doler ti debbia! (If XXIV 151).
Egli non è soltanto un tipico personaggio di quelle Malebolge che ospitano le anime più vili (cui contrasta l'atteggiamento dignitoso di rare eccezioni come Giasone e Ulisse), ma forse il più scortese di tutti i personaggi incontrati da D. nel suo viaggio d'oltretomba. Non è stato punito perché ha bestemmiato ma per colpe che, nel sistema morale di D., sono più gravi della stessa bestemmia. Il disprezzo verso Dio è in lui il suggello che autentica e completa un quadro morale privo di ogni luce. Per altre e diverse considerazioni, v. CAPANEO.
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