VALIER, Bertuccio
– Nacque il 1° luglio 1596, unico figlio di Silvestro di Bertuccio da S. Geremia e di Bianca Priuli di Alvise, unitisi in matrimonio il 23 novembre 1594.
Morti il padre e gli zii, Valier, ancora molto giovane, divenne il capo famiglia dotato di un cospicuo patrimonio in beni mobili e fondiari con dimora nel palazzo di S. Giobbe acquistato nel 1572 dal prozio Silvestro e una prestigiosa villa sul Brenta. Fu educato in casa e acquisì una solida cultura che nel corso della vita gli aprì le porte di varie istituzioni accademiche. Dotato «d’altissimo ingegno, di profondo giudizio, di somma prudenza, d’eloquenza incomparabile» secondo il suo biografo (Orafi, 1659, p. 49) ebbe modo di dimostrarlo nel corso di una lunga carriera politica, iniziata con la nomina a savio agli Ordini nel 1621, seguita da quella a camerlengo di Comun.
La buona prova dimostrata gli ottenne nel 1624 l’elezione a capitano a Bergamo, ove si occupò di sicurezza e di ordine pubblico, creando inoltre un’efficiente rete di spionaggio a Milano pagata anche di tasca propria. Tornato da Bergamo entrò in collegio come savio di Terraferma, ritornandovi altre otto volte tra il 1625 e il 1633. In Zonta del Senato e provveditore alle Artiglierie nel 1626, nell’ottobre del 1627 da savio di Terraferma fu inviato a Padova con il compito di «riveder et regolare la cavalleria de corazze» (Archivio di Stato di Venezia, Commissioni, fz. 1, c. 780). Nel 1629 di nuovo in Terraferma commissario in campo per procedere «alla rassegna delle milizie» e per migliorarne l’efficienza con interventi opportuni (ibid., c. 512).
Nel 1633 fu inviato a Milano per incontrare il cardinale infante di Spagna Ferdinando d’Asburgo, fratello del re con l’istruzione di confermare i sentimenti di pace e di amicizia della Repubblica per la Casa d’Austria. Le doti di talento e prudenza, il suo spiccato senso del decoro, presenti anche nei dispacci e nella relazione finale, confermarono la buona opinione di cui già godeva Valier tra i senatori. Al suo ritorno fu nominato membro del Consiglio dei dieci (1633) consigliere ducale (1633, 1638, 1639, 1642), per dieci volte senatore ordinario; cassiere di Collegio e savio del Consiglio dal 1636 e per nove riconferme. La carriera continuò alternando presenze nei consigli a nomine nelle magistrature finanziarie, fiscali e giudiziarie. Più volte savio alla Mercanzia dal 1628, savio all’Eresia, esecutore alla Bestemmia, provveditore sopra Monasteri e alla Sanità, riformatore allo Studio di Padova tra il 1639 e il 1655. Dal 1652 al 1654 ricoprì la carica di deputato sopra la fabbrica della Salute per seguirne i lunghissimi lavori. Nel giugno del 1636 fu provveditore generale a Palmanova e nel 1641 commissario sopra i confini in Friuli.
Nel 1643, scoppiata la guerra di Castro, fu nominato provveditore per una missione diplomatico-militare in Toscana durata quasi un anno. Nel 1645 partecipò con gli eminenti senatori Pietro Foscarini, Giovanni Nani, Alvise Mocenigo e Angelo Contarini all’ambasceria straordinaria per salutare il nuovo eletto pontefice Innocenzo X e sondarne inclinazioni e propositi. I densi dispacci ne profilano carattere, abitudini e i legami familiari, dettagliandone minuziosamente orientamenti politici (e i lunghi monologhi) malumori antifrancesi, l’ostilità nei confronti di Giulio Mazzarino e la «amorevole disposizione» verso la Spagna (Archivio di Stato di Venezia, Collegio, Relazioni ambasciatori, b. 21). La relazione letta il 3 ottobre aggiunse un doveroso omaggio all’orazione in latino pronunciata davanti al papa da Valier, insignito nel congedarsi del titolo di cavaliere. Eletto podestà a Brescia nel 1646 e subito sostituito, partecipò nel 1655 a una seconda ambasceria a Roma al nuovo papa Alessandro VII, con i senatori Alvise Contarini, Nicolò Sagredo e Giovanni Pesaro, tutti destinati al dogato. La guerra di Candia era nel pieno svolgimento e oltre al rituale omaggio al pontefice, scopo dell’ambasceria fu di sollecitare aiuti per la guerra contro i turchi, perché guerra di tutta la cristianità non solo di Venezia, come vollero sottolineare gli ambasciatori.
Il papa fu accondiscendente nel ricordare i propri sforzi per spingere i principi europei a intervenire, ma scettico, constatandone il disinteresse, distratti com’erano dalle guerre che li contrapponevano. Venezia, insomma, era sola e doveva far da sola, magari sopprimendo qualche convento per fare un po’ di soldi, suggerì, venendo poi inopinatamente a «parlar de Gesuiti» desideroso «molto» di vederli rientrare a Venezia, che gli ambasciatori lasciarono cadere con la secca risposta che «l’affarre era sottoposto a molte strettezze et a legami grandi» (Archivio di Stato di Venezia, Dispacci Roma, b. 138, n. 12). La questione, infatti, è ignorata dalla relazione finale, letta da Pesaro che di lì a due anni, dopo complesse trattative, fu tra gli artefici del rientro dei gesuiti, ricevuti comunque alquanto freddamente da Valier divenuto doge.
Il 15 giugno 1656 con quarantuno voti in un solo scrutinio Valier fu elevato al principato, che aveva mancato due volte, e in precedenza aveva rinunciato alla prestigiosa procuratoria di S. Marco non avendo voluto ottenerla con brogli anziché per merito. Il breve periodo del dogado fu contrassegnato da un aspro dibattito in Senato sul destino di Candia tra i sostenitori della guerra a oltranza per tenerla e i fautori di una pace con i turchi con il suo abbandono. Andrea Valier, nel raccontarne gli eventi, registrò gli appassionati interventi al Senato dei due antagonisti, Valier e Pesaro. Tutto si ridusse, in fondo, a una scelta: morire o no per Creta (Benzoni, 1998, p. 159). Dissanguarsi senza speranza o lottare fino alla fine. Inevitabile rinunciarci per il realistico Valier, tenerla a tutti i costi pena la fine della Serenissima per l’oltranzista Pesaro, che riuscì a persuadere il Senato e la guerra continuò.
Il 21 marzo 1658 Valier si ammalò di un’infermità polmonare e morì il 30 dello stesso mese; l’8 aprile fu eletto suo successore proprio Pesaro. Dopo solenni esequie e l’orazione funebre del padre somasco Stefano Cosmo, il corpo, provvisoriamente posto nella chiesa di S. Giobbe, fu traslato nella tomba terrena sotto il sontuoso mausoleo ai Ss. Giovanni e Paolo.
Aveva sposato nel 1616 Benedetta di Vincenzo Pisani del ramo di S. Maria Zobenigo detto dei Garzoni. Dall’unione erano nati Massimo (1620) morto giovane a Roma, Silvestro (v. la voce in questo Dizionario) e Bianca, sposata nel 1640 ad Alvise I Mocenigo di Alvise III, premorta al padre. Il figlio Silvestro rimase così solo arbitro del cospicuo patrimonio.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 23, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, c. 170; Avogaria di Comun, Matrimoni, regg. 90, c. 279v, 91, c. 260v; Nascite, 56, c. 277v, 58, cc. 3, 292; Matrimoni con notizie dei figli (schedario), sub nomine; Segretario alle voci, Senato, regg. 10, cc. 20, 70, 100; 12, cc. 11, 12, 13, 43, 55, 148, 149; 13, cc. 2, 12, 16, 69, 103, 152; 14, cc. 3, 4, 86, 105, 116, 149; 15, cc. 2-4, 35, 66, 67, 86, 99, 128, 133, 136, 138, 149, 162, 166, 173, 177; 16, cc. 3, 6, 44, 60, 86, 88, 95, 131, 151; 17, cc. 2, 38, 39, 42, 54, 61, 83, 96, 111; Maggior Consiglio, regg. 13, cc. 20, 169; 15, c. 4; 17, c. 2; 18, cc. 1, 4, 168, 230; Senato, commissioni, fzz. 1, cc. 39, 512, 780; 8, c. 460; Senato, Deliberazioni, Corti, reg. 14, cc. 109, 124, 130; Senato, Dispacci amb., Milano, fz. 75; Roma, fzz. 122, 138; Firenze, fz. 53; Capi del Consiglio di dieci, Lettere rettori, b. 4; Collegio, Cerimoniali, III, cc. 115v, 119, 140; Relazioni ambasciatori, bb. 21, 22, 56; Inquisitori di Stato, b. 216, nn. 98, 100; Archivio notarile, Testamenti, bb. 154, n. 203; 1224, n. 153; Dieci Savi alle decime, bb. 162/201, 202; 197/ 9948; 202/11872; 203/12233; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., VII.843 (= 8922): Consegi, reg. 31, cc. 171, 175; 845 (= 8924), reg. 33, c. 23; Biblioteca del Civico Museo Correr, P.D. Venier, regg. 74, cc. 73, 133, 151, 169, 170, 248, 255, 294, 324, 333, 340; 75, cc. 22, 182, 222, 298; 76, cc. 9, 22, 32, 35, 39, 54, 90, 164, 208, 213, 223, 273, 290, 295, 307, 312; 77, cc. 1, 14, 18, 23, 40, 59, 61, 65, 79, 88, 105, 118, 127, 151, 165, 204, 210, 227, 233, 243, 255, 271, 332, 337; 78, cc. 10, 46, 73, 109, 119, 131, 167, 191, 242, 291, 309, 381, 396, 423, 459, 489, 496, 587; Archivio storico del patriarcato, Chiesa di S. Marco, Morti, reg. 3, c. 17.
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