ORSINI, Bertoldo
ORSINI, Bertoldo. – Uno dei quattordici figli di Napoleone di Orso e di Agnese di Monferrato, nacque presumilmente tra l’ultimo decennio del Duecento e il primo del seguente.
Nel 1317 ottenne dal pontefice Giovanni XXII la dispensa per contrarre matrimonio con Mabilia di Bonifacio di Manfredo di Vico; sposò in seconde nozze Giacoma. Ebbe una sola figlia, Paola o Palozia (andata in sposa a Pandolfo Malatesta), la quale nel testamento paterno, dettato il 17 marzo 1344, ricevette la promessa di una dote eccezionalmente elevata, 6500 fiorini più 1500 pro alimentis, pur rimanendo esclusa dalla successione nel patrimonio paterno, che Bertoldo destinò ai fratelli e ai nipoti (Roma, Archivio storico Capitolino, Archivio Orsini, II.A.IV, perg. 53).
Bertoldo, che dal padre ereditò un’enorme ricchezza e un altrettanto enorme prestigio, fu senza alcun dubbio uno dei protagonisti della vita politica e sociale romana e delle durissime lotte di fazione che funestarono la vita cittadina negli anni Trenta e Quaranta del Trecento. La sua prima apparizione pubblica sembra essere quella nella quale agì in coppia con Bertoldo di Poncello Orsini come vicario di Roberto d’Angiò, che allora rivestiva la carica di senatore di Roma.
A partire dal terzo decennio del secolo il conflitto tra i due principali casati baronali romani, Orsini e Colonna, si radicalizzò ancor più che in passato, con la creazione di due sistemi di complesse alleanze che si fronteggiavano in una durissima competizione per entrare in possesso delle risorse disponibili in città e soprattutto nel territorio, ancor più che per l’egemonia alla guida del Comune capitolino.
La competizione in atto a Roma raggiunse spesso il livello di violenti e cruenti scontri armati che scossero profondamente la vita cittadina, come quando, a partire dal 1335 e per oltre due anni, i combattimenti furono finalizzati soprattutto alla conquista dei ponti che superando i fiumi Tevere e Aniene permettevano di raggiungere Roma. Tra i molti Orsini ricordati come protagonisti dei conflitti, in armi e non, risultano anche Bertoldo e suo fratello Matteo, asserragliati nel loro caposaldo urbano costituito dalla fortezza di Castel S. Angelo.
I tentativi di pacificazione del clima politico cittadino portati avanti dai vicari papali a questo espressamente deputati non sortirono allora l’effetto desiderato e si dovette attendere del tempo perché la città vivesse in un clima più tranquillo. Presto tuttavia si verificarono nuovi violenti episodi, che videro ancora coinvolto Bertoldo. Nei primissimi giorni del 1340 egli fu regolarmente eletto senatore in coppia con Orso Anguillara: la scelta era certamente gradita al pontefice, ma nonostante ciò ben presto i due furono costretti a lasciare il loro ufficio, sostituiti da una nuova coppia di senatori, Tebaldo di Sant’Eustachio e Martino Stefaneschi. Nel maggio dello stesso anno, molto probabilmente a causa di alcuni procurati problemi di approvvigionamento alimentare della città, i due senatori presero provvedimenti contro due esponenti del baronato romano, i quali reagirono duramente ricorrendo al sostegno armato di Bertoldo e di Giacomo Savelli. Costoro, a capo di una forte schiera di armati composta anche da altri importanti baroni, raggiunsero il Campidoglio e qui lo stesso Bertoldo e Paolo Conti pretesero di essere nominati capitani, chiedendo addirittura l’appoggio degli stessi senatori in carica. Respinti, i due, insieme a Giacomo Savelli, si portarono nella vicina chiesa dell’Aracoeli e si fecero acclamare capitani dal loro seguito. La violenta reazione della popolazione romana fu a stento contenuta dall’intervento deciso delle magistrature capitoline, ma comunque costrinse sia Bertoldo sia Giacomo Savelli a battere in ritirata e asserragliarsi nelle loro fortezze urbane.
La posizione di primo piano di Bertoldo nel quadro politico e sociale romano è confermata dalla sua partecipazione alla formale e solenne ambasceria inviata dal Comune capitolino al neoeletto pontefice Clemente VI (7 maggio 1342); Orsini partì per Avignone con altri cinque membri dei principali casati baronali e svariati altri esponenti della media e piccola aristocrazia cittadina, oltre che, evidentemente, con un nutrito seguito. Il loro compito era quello di riverire il nuovo papa e di offrirgli le cariche cittadine, ma soprattutto di convincerlo a riportare la sua sede a Roma e indire un giubileo straordinario per l’anno 1350.
In quel periodo Bertoldo ricoprì ancora varie volte l’incarico di senatore: nel 1342, in coppia con Stefano Colonna; nel 1345, in coppia con Orso Anguillara; nel 1347, in coppia con Luca Savelli. Proprio in quell’anno, dal 20 maggio Roma visse la particolarissima parentesi segnata dalla presa di potere di Cola di Rienzo e dalla rapida affermazione della sua politica di riorganizzazione e pacificazione cittadina in senso profondamente antibaronale. Nei pochi mesi del tribunato di Cola i baroni furono resi inoffensivi e umiliati; il 14 settembre molti di loro furono incarcerati nelle prigioni capitoline e tra questi anche Bertoldo e Luca Savelli (Anonimo Romano, Cronica, 1979, p. 189: «anco questi doi senatori fece menare a Campituoglio como fussino latroncielli»); il giorno successivo sembrava dovessero essere giustiziati in una solenne e macabra cerimonia sulla piazza del Campidoglio, e già si preparavano a morire, quando Cola, in un memorabile discorso, espresse la sua convinzione che quegli stessi baroni fossero pentiti della loro prepotenza e pronti a collaborare con il nuovo regime popolare. Non solo i baroni prigionieri furono liberati, ma Cola distribuì loro anelli consacrati e assegnò a ciascuno titoli altisonanti e di tradizione classica, privi di ogni reale valenza, ma che comunque ne ribadivano la superiorità sociale, Bertoldo ebbe così il titolo di patritius e di consul.
Dopo la caduta del regime di Cola, il 15 dicembre dello stesso 1347, si avviò una fase di restaurazione; rientrarono in città i baroni che l’avevano lasciata come pure il legato papale, Bertrando, il quale si affrettò a ristabilire il regime senatorio nelle persone di Bertoldo e Luca Savelli. Il 2 novembre 1351 il pontefice da Avignone informò i Romani che aveva scelto quale nuova coppia senatoriale Bertoldo e Pietro Colonna, ma di lì a pochi giorni un moto popolare riportò la situazione politica cittadina a un livello di elevata fibrillazione. L’esito di questa situazione fu la presa di potere da parte di Giovanni Cerroni, stimato esponente del ceto popolare, al quale fu di fatto affidata la signoria incondizionata sulla città, approvata nel maggio dell’anno seguente dallo stesso pontefice, che lo riconobbe gubernator. Attaverso alterne vicende l’esperienza di Giovanni Cerroni giunse al termine nel settembre del 1352 e a succedergli nella carica senatoria furono chiamati Bertoldo e Stefano Colonna.
E proprio durante tale mandato, Bertoldo morì. La carestia si faceva sentire pesantissima a Roma, come del resto in tutta Italia; il grano scarseggiava e in città aveva cominciato a circolare la voce di illecite speculazioni messe in atto proprio dai due senatori in carica. Il 16 febbraio 1353, la difficoltà di approvvigionamento e i sospetti fecero scoppiare un violento tumulto popolare: la piazza del Campidoglio si riempì di una folla furiosa che iniziò una fitta sassaiola e si abbandonò a devastazioni e saccheggi. I due senatori si trovavano nel palazzo comunale: Stefano Colonna, travestito, si calò dalla parte posteriore dell’edificio e riuscì a sottrarsi alla furia della folla, Bertoldo, invece, da schietto e ardimentoso cavaliere, si armò di tutto punto e a cavallo tentò di raggiungere la salvezza traversando la piazza, ma fu abbattuto a colpi di pietra e perse la vita (Anonimo Romano, Cronica, 1979, pp. 220 s.).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico Capitolino, Archivio Orsini, II.A.IV, perg. 53; A. Vendettini, Serie cronologica de’ senatori di Roma illustrata con documenti, Roma 1778, p. 394; F.A. Vitale, Storia diplomatica de’ Senatori di Roma, dalla decadenza dell’Imperio Romano fino ai nostri tempi, con una serie di monete senatorie, I, Roma 1791, pp. 240, 257, 266, 272, 276; G. Gatti, Statuti dei mercanti di Roma, Roma 1885, pp. 67, 76 s., 79, 82-84; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et du Vatican, a cura di G. Mollat, I, Paris 1905, n. 3646; M. Antonelli, La dominazione pontificia nel Patrimonio negli ultimi venti anni del periodo avignonese, in Archivio della Società romana di storia patria, XXXI (1908), p. 319; A. de Boüard, Le régime politique et les institutions de Rome au Moyen-Âge. 1252-1347, Paris 1920, pp. 192 s., 264, 269, 271-273; A. Salimei, Senatori e statuti di Roma nel Medio Evo. I senatori, cronologia e bibliografia dal 1144 al 1447, Roma 1935, pp. 101, 107 s., 117, 118-120; A. Mercati, Nell’Urbe dalla fine di settembre 1337 al 21 gennaio 1338, Roma 1945, pp. 20, 25 s., 32, 37-39, 47, 58, 63, 68, 71, 75 s.; E. Duprè Theseider, Roma dal Comune di popolo alla signoria pontificia (1252-1377), Bologna 1952, pp. 500-502, 505 s., 525, 529, 594 s., 615, 624 s., 629 s., 638, 651; Anonimo Romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1979, pp. 183, 189, 196, 220 s.; S. Carocci, Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e primo Trecento, Roma 1993, passim [in part. pp. 161, 396, 403, 422]; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, Parma 1991, II, pp. 383, 638; F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma 1998, pp. 84, 175, tav. 7; T. di Carpegna Falconieri, Cola di Rienzo, Roma 2002, pp. 44, 115 s., 139, 178; J.-C. Maire Vigueur, L’altra Roma. Una storia dei romani all’epoca dei comuni (secoli XIII-XIV), Torino 2011, pp. 240 s.