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RIEMANN, Bernhard

di Guido Castelnuovo - Enciclopedia Italiana (1936)
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RIEMANN, Bernhard

Guido Castelnuovo

Matematico, nato a Breselenz (Hannover) il 17 settembre 1826. Compiuti gli studi classici, nella primavera del 1846 s'iscrisse, per desiderio del padre, alla facoltà teologica di Gottinga, che abbandonò ben presto per seguire i corsi di matematica. L'anno successivo si trasferì a Berlino dove insegnavano Steiner, Jacobi e Dirichlet. Subì specialmente l'influenza di quest'ultimo, che riconobbe subito l'alto valore del giovane R. e lo guidò e sostenne nella carriera. Ritornato nel 1849 a Gottinga per compiere i corsi di matematica e fisica, fu attratto dalle lezioni di fisica di W. Weber, del quale divenne assistente. Conseguì la laurea nel 1851 con una dissertazione sulle funzioni di una variabile complessa, di cui pochi (tra i quali il Gauss) compresero allora il valore, ma che basterebbe, anche sola, a dimostrare il suo genio. Nel 1853 ottenne l'abilitazione all'insegnamento (libera docenza) presentando due lavori, oggi classici, uno sulle serie trigonometriche, l'altro sui principî della geometria; furono pubblicati solo nel 1867, dopo la sua morte. Nel 1857 ebbe la nomina a professore straordinario a Gottinga e due anni dopo fu ivi promosso ordinario e occupò il posto reso vacante dalla morte del Dirichlet.

L'intenso lavoro in varî rami dell'analisi e della fisica matematica fiaccarono presto il gracile organismo. Con la speranza di arrestare una malattia polmonare, venne nel novembre del 1862 in ltalia, che amò come seconda patria, e passò quell'inverno a Messina. Nel viaggio di ritorno strinse con E. Betti (v.), professore a Pisa, un'amicizia che durò fino alla morte del R. Trascorse a Pisa il successivo inverno ed ebbe anzi da quell'università l'invito a trasferirsi colà, invito che non accolse. Nei due anni seguenti egli andò peregrinando tra la Germania, il Tirreno e i laghi italiani, cercando invano quel benessere fisico che gli occorreva per compiere il suo programma di lavoro. Morì il 20 luglio 1866 nella villa Pisoni a Selasca presso Intra sul Lago Maggiore e fu sepolto nel vicino cimitero di Biganzolo.

L'opera del R. si distingue per grande originalità e profondità di concezioni, per il felice sussidio che l'intuizione geometrica o fisica porta al ragionamento. Nelle sue ricerche di analisi le funzioni non vengono, di solito, definite mediante uno sviluppo formale, che egli riguarda come uno dei varî mezzi di cui si dispone per calcolarne i valori, bensì mediante proprietà intrinseche (comportamento della funzione lungo il contorno del campo entro il quale è definita, particolarità nell'intorno di punti singolari o critici, ecc.). Le ricerche geometriche sono ispirate da vedute filosofiche sulla natura dello spazio.

È ormai classica la definizione che egli dà, nella dissertazione di laurea suddetta, di funzione di variabile complessa. Rappresentata nel modo noto la variabile z = x + iy col punto (x, y) di un piano, egli chiama w = u + iv funzione della z in un campo, se in ogni punto del campo è determinato, oltre il valore di w, anche quello della derivata dw/dz, indipendentemente dalla direzione in cui ha luogo l'incremento dz della variabile. Da questa definizione scendono: a) le condizioni di monogeneità (due uguaglianze fra le derivate prime di u e v rispetto a x e y) che il Cauchy aveva già dato, ma delle quali non aveva visto forse tutta l'importanza (v. cauchy, augustin-louis; funzione, n. 29); b) la trasformazione conforme (conservante il valore degli angoli) fra le regioni piane descritte dai punti rappresentativi di z e w; c) il fatto che le derivate seconde di u (o di v) rispetto a x e y sono legate dalla nota equazione di Laplace, che domina la teoria del potenziale. Di qua, valendosi di un procedimento di calcolo delle variazioni che il R. chiama principio di Dirichlet, ma che Gauss aveva già impiegato (procedimento che fu criticato, ma che poi è risultato giusto in seguito ai complementi portati da D. Hilbert), egli deduce che una funzione di variabile complessa è definita (a meno di una costante) nell'interno di un campo, se son noti i valori che la parte reale della funzione assume sul contorno del campo; e deduce pure che esiste sempre una trasformazione conforme che muta l'una nell'altra due regioni piane qualsiansi, purché dotate, ciascuna, di un solo contorno. Nella stessa dissertazione, così ricca d'idee, è pure introdotta la feconda nozione di superficie di Riemann (o riemanniana), secondo la denominazione universalmente adottata (v. funzione, n. 37). Mentre per rappresentare una funzione a un sol valore com'è, ad es., la w = z2, si può immaginare scritto accanto al punto z del piano della variabile complessa, il corrispondente valore di w, questo procedimento non riesce più suggestivo quando si tratti di funzioni a più valori. Per ovviare a tale inconveniente il R. costruisce una superficie composta di tanti fogli piani (sovrapposti al piano della z) quanti sono i valori di w. Ad es., per w = ± √z bastano due fogli, sui quali s'immaginano scritti rispettivamente (l'uno sopra l'altro) i valori di + √z e − √z; siccome però un giro intorno all'origine (z = 0) permuta i due valori, i fogli vanno collegati (lungo una linea che va dall'origine all'infinito) in modo che il detto giro conduca dall'uno all'altro foglio, mentre un secondo giro riconduca al foglio primitivo. La connessione di una riemanniana a più fogli, o il massimo numero di tagli chiusi, non intersecantisi, che si possono praticare senza spezzare la superficie, fornisce (se è finito) un nuovo carattere, detto genere, della relazione fra z e w. L'importanza di esso risulta da un'altra memoria classica di R. (1857) sulle funzioni abeliane, dove sono studiate le funzioni algebriche di una variabile e i loro integrali. Invece di seguire la via elementare che conduce a costruire la riemanniana di una funzione algebrica assegnata, il R. parte da una superficie connessa a più fogli, che suppone data a priori, e dimostra, mediante il principio di Dirichlet, che essa basta a determinare una classe di funzioni algebriche, mutuamente legate da trasformazioni birazionali (teorema di esistenza di R.). È impossibile riferire su questo lavoro; notiamo soltanto che esso costituisce il punto di partenza di tutte le successive ricerche sulle funzioni algebriche e sulla topologia. Sorvoleremo pure sopra altre memorie, dove lo studio qualitativo di funzioni è applicato con successo. Ricordiamo però che una particolare funzione di variabile complessa ("funzione ζ (s) di Riemann"), che anche oggi è oggetto di ricerche, permette al R. (1859) di valutare, mediante una formula asintotica più precisa di altre date in precedenza, il numero dei numeri primi inferiori a un limite assegnato (v. aritmetica: A. superiore, n. 16). Ricordiamo pure una memoria sulla propagazione del suono (1860) contenente un metodo, divenuto classico, per l'integrazione delle equazioni a derivate parziali del secondo ordine, di tipo iperbolico.

Conviene fermarci maggiormente sulle due dissertazioni che furono presentate dal R. all'esame di abilitazione (1854), ma pubblicate solo nel 1867. La prima, sulle funzioni (di variabile reale) rappresentabili con serie trigonometriche, lascia vedere come le doti intuitive del R. fossero associate a un acuto spirito critico; ad es., il concetto d'integrale definito appare qui per la prima volta esposto in modo pienamente rigoroso. La seconda dissertazione, sulle ipotesi che servono di base alla geometria, non contiene formule, dovendo essere letta davanti a un pubblico non esclusivamente matematico; tuttavia gli elevati concetti a cui s'ispira non potevano renderne facile la comprensione. Il R., nell'introdurre la nozione di spazio o varietà a n dimensioni, distingue le proprietà di posizione, che oggi diciamo topologiche, dalle proprietà metriche (v. analysis situs). Per stabilire le prime basta aver il modo di far corrispondere (in modo biunivoco e continuo) i punti dello spazio ai gruppi di n numeri reali (coordinate); ad es., tre x, y, z, se la varietà ha tre dimensioni. Ma per determinare la metrica entro la varietà occorre altresì saper valutare la distanza fra ogni punto di essa e i punti infinitamente vicini. Il modo più semplice e conforme all'ordinaria geometria consiste nell'esprimere il quadrato della detta distanza ds (elemento lineare) mediante una forma quadratica negl'incrementi dx, dy, dz delle coordinate (teorema di Pitagora generalizzato); i coefficienti della forma dipendono ordinariamente dalle coordinate del punto a cui l'elemento lineare si riferisce. Uno spazio nel quale la metrica sia fissata in tal modo si dice spazio (o metrica) di Riemann. Sorge il problema di esaminare come i detti coefficienti variino quando si mutino le coordinate, e quali siano le proprietà (intrinseche) indipendenti dalla scelta di quelle. Sono intrinseche, ad es., le nozioni di geodetica (linea di minimo percorso fra due punti), di superficie geodetica (formata da infinite geodetiche uscenti da un punto), di curvatura di questa superficie nel punto, ecc. Specialmente interessanti sono gli spazî entro i quali una figura può muoversi senza alterazione degli elementi metrici (movimento di un corpo rigido con sei gradi di libertà, se si tratta di uno spazio a tre dimensioni). Per un tale spazio le dette curvature sono tutte uguali, ma possono essere o nulle, o positive, o negative.

Nel primo caso la geometria dello spazio è la euclidea; nel terzo si ritrova la geometria non euclidea (iperbolica) studiata trent'anni prima da C. F. Gauss, N. I. Lobačevskij e J. Bólyai (v. geometria, n. 9); nel secondo caso vale la geometria ellittica (o di Riemann), che se n = 2 coincide con la geometria sferica. Che la geometria dello spazio in cui viviamo appartenga al primo, secondo o terzo tipo, o a un tipo più generale, non può esser deciso a priori, né con mezzi puramente matematici, ma deve essere dedotto da osservazioni o esperienze; in questo punto la geometria si appoggia sulle scienze fisiche.

L'opera del R., "la più bella e la più grande dell'analisi all'epoca nostra" (C. Hermite), ha avuto una grandissima influenza sullo sviluppo della matematica. Una parte cospicua delle ricerche degli ultimi sessant'anni si appoggia sopra i suoi risultati o impiega i suoi metodi. Ricordiamo qui soltanto che la memoria sui principî della geometria, integrata con gli sviluppi analitici presentati dal R. nel 1861 alla Académie des sciences di Parigi, costituisce il punto di partenza della geometria differenziale moderna, ed ha condotto al calcolo differenziale assoluto degli italiani G. Ricci-Curbastro (v.) e T. Levi-Civita (v.), che fornì ad A. Einstein la base matematica della teoria della relatività. Intorno ad alcuni problemi discussi in questa teoria sembra che già R. meditasse, giacché egli ci ha lasciato una traccia di una teoria unitaria della gravitazione e dell'ottica, costruita in modo da evitare le azioni a distanza. Ma la morte prematura gli impedì di condurre a termine la ricerca.

Opere: Gesammelte mathematische Werke, Lipsia 1876, 2ª ed. 1892; trad. francese delle memorie principali sotto il titolo Øuvres mathématiques, Parigi 1898.

R. Dedekind, che con H. Weber curò l'edizione tedesca, vi aggiunse una biografia particolareggiata. M. Noether e W. Wirtinger raccolsero, sotto il nome di Nachträge (Lipsia 1892), alcune aggiunte, appunti presi alle lezioni del R., abbozzi di ricerche, ecc.

Vedi anche
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Vocabolario
riemanniano
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