TROTTI (Trotto), Bernardo
TROTTI (Trotto), Bernardo. – Le sue origini non sono chiare, anche se i dati genealogici più attendibili paiono essere quelli forniti dalle tavole di Francesco Guasco (1929), che lo indica come quarto figlio di Giovanni Paolo Trotti di Pasturana. Guasco non indica il nome della madre né l’anno della nascita, taciuti anche dalle altre fonti, ma conferma la sua provenienza da una famiglia alessandrina.
Egli sarebbe quindi nato dopo Baldassarre e Giulio (i quali nel 1601 vendettero ai fratelli Angelo e Giovanni Vincenzo Lomellini quel feudo di Pasturana che il ramo della famiglia aveva acquistato da Giovanni Paleologo, bastardo del marchese Giovanni I del Monferrato; tale feudo aveva fruttato ai Trotti l’investitura con il signorato nel 1430 a opera del duca Filippo Maria Visconti) e dopo Alberto (morto nel 1577).
Da Guasco si ricava il quadro di una famiglia alessandrina dalle radici patrizie e decurionali, legata alle vicende milanesi viscontee e sforzesche, ma anche abile a stabilire rapporti con i re di Francia. Il bisnonno di Bernardo, Baldassarre, era stato gentiluomo di Camera del duca Francesco Sforza (1468). Lo zio paterno, Giovanni, si era recato in Francia come gentiluomo – e poi ciambellano – di Luisa di Savoia, madre di Francesco I; alla morte della Savoia, era diventato maggiordomo di Philippe de Chabot, ammiraglio di Francia e luogotenente generale dell’esercito francese in Italia, dando origine a una linea dei Trotti che assunse il nome di Chatard de la Chetardie. Giuseppe, figlio di suo zio Giovanni, fu, a Torino, gentiluomo della duchessa Margherita di Savoia. Proprio questi legami con i Savoia potrebbero essere serviti a Trotti – cugino primo di Giovanni – per stabilirsi a Torino.
Una tradizione che risale all’erudito e annalista Girolamo Ghilini, autore di opere celebrative di non sempre provata attendibilità, lo aveva detto nato ad Alessandria. Ripreso prima da Francesco Agostino Della Chiesa poi da Andrea Rossotto e da numerosi studiosi sino ad anni recenti, Ghilini (1666) ha scritto che Trotti aveva insegnato diritto «in quasi tutti gli studi d’Italia» (p. 176), ricoprendo inoltre la carica di podestà in varie città del Ducato di Milano (Ghilini, 1633, p. 61).
La prima notizia sicura su Trotti è la nomina, il 10 gennaio 1561, da parte del duca Emanuele Filiberto di Savoia a «primo lettore ordinario dell’instituta» (istituzioni di diritto), nell’Università di Mondovì, con stipendio di 100 scudi annui (patenti, in Archivio di Stato di Torino, Corte, Protocolli dei notai ducali (serie rossa), 1561, 232, f. 65). Trotti era allora indicato semplicemente come «cittadino di Torino»: il che, se da un lato sembra attestare la sua presenza nella città piemontese (restituita a Emanuele Filiberto solo nel 1562) già sotto l’occupazione francese, dall’altro indica che egli non ricopriva allora altre cariche al servizio sabaudo. Il 1° gennaio 1565 (ibid., 1565, 225, ff. 1-3), con uno stipendio di 450 scudi, fu nominato «lettore della sera di diritto civile», a fianco di Aimone Cravetta e poi di Guido Panciroli, nella restaurata Università di Torino. Qui insegnò diritto civile dal 1566 al 1583. Dopo il suo ingresso nell’Università torinese, il duca lo nominò decurione nel Consiglio di Torino, dove risulta già nel 1568. Nel febbraio del 1569 fu eletto dal Consiglio «avvocato della città», carica che ricoprì almeno sino 1590.
Da Ghilini è derivata anche la notizia che Trotti fosse stato senatore e presidente del Senato di Piemonte. Le fonti, tuttavia, paiono tacere su tali cariche, così come le opere di Trotti e le dediche a lui rivolte in scritti di altri autori, in cui egli è indicato solo come cittadino di Torino e docente universitario. Nella Storia della magistratura piemontese (1881), Carlo Dionisotti non lo pone fra i presidenti, ma scrive di una sua nomina a senatore operata da Carlo II nel 1551, carica, però, che non avrebbe potuto non esser presente nella nomina a docente nel 1561.
I biografi citati attestano che dopo Emanuele Filiberto, il duca Carlo Emanuele I lo volle come suo consigliere e «maestro delle richieste» (incarico che ricopriva già nel 1583 e che prevedeva il disbrigo delle suppliche rivolte al sovrano entro la Cancelleria). Alla fine degli anni Ottanta, il Comune di Torino gli affidò, inoltre, la riscrittura degli Ordini politici della città; Trotti la consegnò non oltre l’inizio del 1589, visto che nel marzo di quell’anno gli furono pagati 100 scudi per l’esecuzione del lavoro. Nel 1590 fu tra i cittadini proposti dal Consiglio di Torino per la carica di riformatore dell’Università, senza però ottenerne la carica.
Noto anche al di fuori della comunità dei giuristi, fu membro dell’Accademia degli Immobili, nata ad Alessandria nel 1562 da un sodalizio letterario locale in forma di periodiche riunioni private, che solo nel 1596 sarebbero state istituzionalizzate e trasferite nella sede del palazzo vescovile della città. Poche opere a stampa rimangono della sua produzione, che fu dedicata non solo in latino al diritto civile e canonico, ma anche in volgare a questioni scientifiche. In contatto con diversi poeti e letterati, fra cui il coetaneo Stefano Guazzo, condivise con essi la composizione di trattati in forma dialogica in volgare, secondo un tipico genere letterario diffuso nella cultura nobiliare e curiale italiana, da Baldassarre Castiglione a Torquato Tasso.
Fra le sue opere, in parte disperse e rimaste inedite, la più importante è certo il trattato Dialoghi del matrimonio e vita vedovile, apparso nel 1578 (Torino, Francesco Dolce), che ebbe poi almeno due altre edizioni torinesi: eredi Bevilacqua, 1583 (nella scelta di questo editore avevano giocato i buoni rapporti con Nicolò Bevilacqua, alla redazione del cui testamento Trotti era stato presente venendo nominato tutore del figlio Giovan Battista); Pizzamiglio, 1625 (con dedica a don Felice di Savoia, figlio naturale del duca Carlo Emanuele I).
Il trattato è ambientato nella Torino occupata dai francesi ed è incentrato sulla figura di Ippolita Scaravelli, «cittadina illustre», già vedova, ma risposata al francese Jean Chastellier du Millieu (1529-1580). Il dialogo coinvolge, con Ippolita, Barbara d’Annebault, Antonio Bello, Aleramo Beccuti e il saggio Astemio, in cui si rispecchiava probabilmente l’autore. Il tema del rapporto della donna con il matrimonio diventa lo spunto per trasferire, secondo uno schema ben collaudato, massime, sentenze, esempi di virtù dall’ambito della famiglia a quello della ‘repubblica’, dall’economia domestica, intesa secondo l’antica accezione aristotelica, all’arte del buon governo. L’opera, tuttavia, merita un’analisi storica oltre che letteraria, perché testimonia i contatti di Trotti con l’élite presente a Torino durante l’occupazione francese, su cui ancor poco si sa. Chastellier era, infatti, un personaggio di primo piano nel Piemonte di allora, di cui era stato nominato generale delle Finanze nel 1555 (O. Poncet, Pomponne de Bellièvre (1529-1607): un homme d’État au temps des guerres de religion, Paris 1998, p. 116).
Trotti fu uno dei protagonisti culturali della corte di Emanuele Filiberto e di Carlo Emanuele I. Il matematico Giovan Battista Benedetti, consigliere del duca, gli dedicò nel 1581 la Lettera per modo di discorso al signor Bernardo Trotto intorno ad alcune nuove riprensioni et emendationi contra alli calculatori delle efemeridi (Torino 1581, edita poi in latino nel Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber, Taurini 1585, pp. 228-255). Nel 1583 Raffaello Toscano, poeta monregalese, rivolgeva a Trotti, «dottor di leggi in Turino», uno dei suoi Sonetti in lode di diversi (Torino, Heredi Bevilacqua). Sempre nel 1583, gli venne dedicata la traduzione italiana del trattato L’agricolture et maison rustique dello studioso di medicina e poligrafo francese Charles Estienne (1505-1564), pubblicata a Torino per iniziativa di Giovanni Battista Ratteri. Il traduttore dell’opera era stato il letterato ferrarese Ercole Cato. E Ratteri, nel fare omaggio a Trotti (anche qui indicato unicamente per la sua carica accademica), aggiunge dettagli sulle ramificazioni della famiglia, assenti nelle tavole di Guasco, che allargherebbero il raggio d’azione del casato alessandrino, a patto che non si tratti di una fantasiosa, ulteriore licenza: «Ne mai dall’antichissima e nobilissima casa de’ Trotti, che in Ferrara, in Alessandria patria di Vostra Signoria e in altre città è illustre, sono usciti se non huomini degni di lode ne’ maneggi della guerra e della pace, ne’ magistrati secolari nelle maggiori dignità ecclesiastiche, sì che non solo essa famiglia in Lombardia ha conservato splendore, che in Toscana avea la nobilissima casa de gli Adimari fiorentina, d’onde ella è derivata, ma ancora non poco l’ha aggradito» (All’illustre c.a. Bernardo Trotto, in L’agricoltura et casa di villa di Carlo Stefano gentil’huomo francese, nuovamente tradotta da cavaliere Hercole Cato. Con tre tavole, una de’ capitoli, l’altra delle cose più notabili et la terza delle cose appartenenti alle medicine, Turino, Ratteri, 1583, cc. 2-3).
Nel 1593 risulta indicato come «referendario», il che lascia supporre un suo possibile inserimento nella Camera dei conti. Morì a Torino nel novembre del 1595 e fu sepolto (il 15) nella chiesa di S. Agostino.
Fonti e Bibl.: G. Ghilini, Teatro d’huomini letterati, Milano 1633, pp. 61 s.; F.A. Della Chiesa, Catalogo degli scrittori piemontesi, savoiardi, nizzardi, Carmagnola 1660, pp. 40 s. (che attinge a Ghilini); G. Ghilini, Annali di Alessandria, overo Le cose accadute in essa città, nel suo e circonvicino territorio dall’anno dell’origine sua sino al 1659, Milano 1666, p. 176, a. 1595, n. 8; A. Rossotto, Syllabus scriptorum Pedemontii, Mondovì 1667, p. 120 (che, di fatto, traduce Della Chiesa in latino); C. Orlandi, Delle città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notizie, I, Perugia 1770, pp. 286 s.; O. Derossi, Scrittori piemontesi, savoiardi, nizzardi registrati nel catalogo del vescovo Francesco Agostino Della Chiesa e del monaco Andrea Rossotto. Nuova compilazione, Torino 1790, p. 22; G. Grassi, Dell’Università degli studi in Mondovì, Mondovì 1804, pp. 15 s., 45 s., 98; C. A-Valle, Storia di Alessandria dall’origine ai nostri tempi, IV, Torino 1855, p. 550; G. Casalis, Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli stati di S. M. il re di Sardegna, XXVII, Torino 1855, p. 166, s.v. Alessandria; T. Vallauri, Storia delle università degli studi del Piemonte, Torino 1875, pp. 126, 149, 178, 180, 207; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, p. 308; F. Gabotto, Un poeta piemontese del secolo XVI, in Il Propugnatore, n.s., V (1892), parte I, pp. 390, 398, 415; Id., La giovinezza di Carlo Emanuele I, Genova 1898, p. 37; M. Chiaudano, I lettori dell’Università di Torino ai tempi di Emanuele Filiberto, in Studi pubblicati dalla Regia Università di Torino, Torino 1928, pp. 51-79; F. Guasco, Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine e monferrine dal secolo IX al XX, V, Casale 1929, tav. VIII, p. n.n.; M. Chiaudano, I lettori dell’Università di Torino ai tempi di Carlo Emanuele I (1680-1630), in Carlo Emanuele I. Miscellanea, II, Torino 1930, passim; A. Bosio, Iscrizioni torinesi, a cura di L. Tamburini, Torino [1969], p. 84; P. Merlin, Giustizia, amministrazione e politica nel Piemonte di Emanuele Filiberto. La riorganizzazione del Senato di Torino, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LXXX (1982), 1, pp. 36-94; Storia di Torino, III, Dalla dominazione francese alla ricomposizione dello Stato (1536-1630), a cura di G. Ricuperati, Torino 1998 (in partic. P. Merlin, Amministrazione e politica fra Cinque e Seicento. Torino da Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, pp. 130, 132, 141 s., 156, 179; M. Doglio, Intellettuali e cultura letteraria, pp. 614-619); A. Quondam, Forma del vivere: l’etica del gentiluomo e i moralisti italiani, Bologna 2010, pp. 82 s.