TASSO, Bernardo
Poeta, nato a Venezia, da famiglia bergamasca, l'11 novembre 1493; morto a Ostilia il 5 settembre 1569. Prima al servizio del conte Guido Rangoni, poi tra i familiari di Renata d'Este, trovò infine, dal 1532, stabile occupazione quale segretario di Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, che seguì nell'impresa di Tunisi. Nel 1536 sposò Porzia de' Rossi, figlia di un pistoiese e di una napoletana, dalla quale ebbe Cornelia (1536 o 1537), un Torquato morto in fasce nel 1542 circa, infine, a Sorrento, dove nel 1543 aveva ottenuto Iicenza di ritirarsi, un altro Torquato, il poeta (1544). Ma prima che questi nascesse, riscoppiata la guerra fra Carlo V e Francesco I, Bernardo aveva dovuto seguire il Sanseverino al campo, e poi a Metz e in Fiandra, per le trattative di pace. Tornò a Sorrento nel gennaio del 1545, ma poco di poi, a istanza del Sanseverino, si trasferì a Salerno presso di lui, e quindi (1550 o 1551) a Napoli. Ma passato il Sanseverino apertamente alla parte di Francia, e dichiarato ribelle, Bernardo perdé le rendite che gli provenivano da quel principe, e cominciò anch'egli la vita dell'esule. Fu a Venezia, a Ferrara e alla corte di Enrico II per sollecitarne inutilmente l'intervento in Italia. Nel 1554 è a Roma, preoccupato della sorte di Porzia e dei figli. Lì lo raggiunse Torquato; e là gli pervenne, nel 1556, l'annunzio della morte di Porzia; e cominciarono con i fratelli di lei quelle liti circa la dote, che nemmeno Torquato riuscì a vedere concluse. È degli stessi anni il suo distacco pur doloroso dal Sanseverino. Lo soccorse allora il duca Guidobaldo II; e da Ravenna, dove si era rifugiato per l'invasione del duca d'Alba nello Stato pontificio, passò (mandando Torquato a Bergamo) a Pesaro, dove il figlio lo raggiunse. Nella primavera del 1559 cura a Venezia, aiutato dal figlio, la stampa dell'Amadigi, poema in 100 brevi canti che, cominciato nel 1543 a Sorrento su disegno elaborato da tempo, aveva compiuto nel 1557, e corretto, giovandosi, per quel che riguardava la lingua, dei consigli di Bernardo Cappello e di Dionigi Atanagi, che il duca aveva fatto venire appositamente a Pesaro. Ma il poema, pubblicato alla fine del 1560, sebbene piacesse molto, non gli diede quell'agio economico che aveva sperato; onde l'anno di poi fu costretto, dopo alcune pratiche presso i duchi di Savoia, ad allogarsi presso il card. Luigi d'Este. Ma per poco: al principio del 1563 era segretario per gli affari criminali presso Guglielmo Gonzaga, duca di Mantova: ufficio di suo gradimento ma che, costringendolo a frequenti viaggi, stancava il poeta ormai avanzato in età. Nel 1569 ottenne la podesteria di Ostiglia, carica poco gravosa, sebbene modesta. Ma il clima era malsano, e la morte non tardò.
Formatosi alla scuola del Bembo, non restò peraltro ligio alla tradizione petrarcheggiante; imitò Orazio in 55 Odi di endecasillabi e settenarî, e in 30 Salmi di ugual metro; parafrasò con uso promiscuo del verso sciolto e della rima l'episodio di Ero e Leandro di Museo e in selve di endecasillabi variamente rimati la Favola di Piramo e Tisbe di Ovidio (forse la sua cosa migliore); compose inoltre egloghe pastorali e piscatorie, epitalamî, altre selve, elegie, canzoni e sonetti tecnicamente impeccabili, ecc. Non si distingue da altri minori lirici del Cinquecento se non per certa sincerità d'ispirazione; ma dev'esser ricordato per il tentativo di sostituire agli usati schemi della canzone il congegno strofico dell'ode. Ordinò anch'egli le sue Lettere, non più che interessanti.
Ma Bernardo è essenzialmente l'autore dell'Amadigi, col quale egli, sunteggiando e rielaborando la materia del poema spagnolo Amadis de Gaula (v. amadigi), noto in Italia sin dai primi del Cinquecento, si propose di elevare il poema cavalleresco al grado di poema veramente "eroico" secondo i precetti aristotelici; di dare cioè un poema senza allettamenti lascivi, di una sola azione, imperniato su un personaggio "perfettissimo " che guida alla virtù. Ai precetti aristotelici si aggiungono le esigenze spirituali proprie della Controriforma. Tuttavia Bernardo indulse al gusto suo personale e del tempo, aggiungendo agli amori di Amadigi e Oriana, quelli di Alidoro e Mirinda e di Floridante e Filidora (che giustificò allegoricamente, così come farà poi per la Gerusalemme Torquato), e gran numero di episodî che si accumulano, con la stessa esuberanza che nei poemi cavallereschi. L'Amadigi, sebbene verboso, confuso e scialbo, piacque al gran pubblico; i dotti naturalmente lo trovarono aristotelicamente eterodosso, e Torquato dové poi a lungo battagliare per tentare di mostrarne l'eccellenza e, se non la superiorità, almeno la parità col Furioso. Tanto piacque, che Bernardo pensò di rifondere l'episodio di Floridante in un poema autonomo, che cominciò a stendere nel 1566 e che, interrotto dalla sua morte, fu corretto e compiuto da Torquato a Mantova nel 1586 (pubbl. a Bologna nel 1587); ma non è certo migliore dell'Amadigi.
Ediz.: Rime, a cura di P.A. Serassi (Bergamo 1749); Lettere, a cura di A.F. Seghezzi, voll. 2 (Padova 1733; il vol. III, a cura di P.A. Serassi, ivi 1751); Lettere inedite, a cura di G. Campori (Bologna 1869); di A. Portioli (Mantova 1871); di G. Ravelli (Bergamo 1895). Qui anche un saggio bibliografico sulle lettere (aggiunte in Rass. bibliogr. d. lett. ital., III, 1895, p. 281). Del Floridante. cfr. l'ediz. a cura di M. Catalano (Torino 1931).
Bibl.: Oltre alle introduzioni premesse dal Seghezzi e dal Campori alle citate edizioni di Lettere, cfr.: F. Pintor, Delle liriche di B.T., in Ann. d. Scuola norm. sup. di Pisa, XIV (1899); F. Foffano, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXV (1895), p. 249 segg., e XXVII (1896), pp. 188-89; id., in Arch. stor. lomb., XXII (1895), p. 133 segg.; D. Tordi, Il cod. autogr. di rime e prose di B. T., Firenze 1902; H. Vaganay, Les romans de cheval. ital. d'inspir. espagn., in La Bibliofila, 1907-1908; C. Guerrieri Crocetti, G. B. Giraldi ed il pensiero critico del sec. XVI, Milano-Genova 1932, passim, ma spec. pp. 379 segg., 501 segg. E cfr. naturalmente le opere su Torquato; spec. P. D. Paolini, I genitori di T. T., Roma 1895.