TANLONGO, Bernardo
– Nacque a Roma il 3 settembre 1820 da Vincenzo e da Angela Olivieri nella parrocchia di S. Carlo ai Catinari.
Poco si sa della sua famiglia: il padre era uno dei guardiani dell’Arciconfraternita di S. Maria dell’Orto che nel 1827 tentarono di opporsi alla chiusura dell’ospedale da loro finanziato e gestito; era quindi una persona ben introdotta nell’ambiente clericale della Roma pontificia e legata alla galassia delle opere pie che gestivano assistenza e, soprattutto, vaste proprietà fondiarie. Neppure la madre, con la sorella Maria, fu estranea ad attività commerciali, tanto che «a seguito di regolare divisione seguita fra la sorella Maria e Angela Olivieri, del negozio di suola e pellami, cantante sotto il nome di Luigi Giorgi, è rimasta sciolta la Ditta di Luigi Giorgi, restandone affidata la liquidazione alle sunnominate sorelle» (Diario di Roma, 1845, p. 13).
In età molto precoce Bernardo sposò Cristina Diomedi, dalla quale ebbe numerosi figli. A tredici anni abbandonò gli studi e per questo motivo fu etichettato come semianalfabeta. Nelle scarne fonti disponibili Tanlongo è qualificato come «mercante di campagna» (Bonomo, 2007, p. 53), un’attività che comprendeva molti settori, dall’agricoltura alla mediazione nella vendita di proprietà immobiliari. L’esperienza paterna fu sicuramente una scuola di fondamentale importanza nell’apprendimento di pratiche commerciali e finanziarie che gli consentì di comprendere velocemente i meccanismi degli affari immobiliari e mobiliari di Roma capitale. Tanlongo, infatti, fu uno dei protagonisti della profonda trasformazione politica, sociale ed economica di Roma prima e dopo il 1870 attraverso una fitta rete di relazioni tra le due sponde del Tevere. Il suo epistolario, pubblicato parzialmente dal figlio Pietro in occasione del processo relativo alla Banca romana, conferma la rete relazionale di Bernardo: dal 1874 curò non solo le proprietà agricole di Vittorio Emanuele II nell’Agro romano, ma anche affari finanziari della Casa reale. In qualità di proprietario, ebbe voce in capitolo nella sistemazione dell’Agro romano e partecipò a diverse speculazioni sui terreni delle vastissime proprietà ecclesiastiche. Particolarmente significativo fu l’acquisto, negli anni Settanta, dei terreni del Prato fiscale di Santa Maria Maggiore e di quelli di Casal Fiscale che finirono nella disponibilità di Vincenzo Tanlongo. Anche nell’edilizia Tanlongo si mosse con consumata capacità, acquistando nel 1871 dal principe Torlonia, unitamente al governatore della Banca romana Giuseppe Guerrini, la villa di Castel Gandolfo, e villa Ada dal conte Giuseppe Telfener amministratore dei beni della Real Casa. Quest’ultima finì nelle proprietà della Banca romana per poi essere riacquistata da Vittorio Emanuele III nel 1904 con la denominazione, rimasta fino al 1946, di villa Savoia.
La sua ascesa sociale è confermata dalle cariche e onorificenze ottenute. Nel 1863 era membro della Camera primaria di commercio di Roma (Almanacco pontificio, 1863, p. 461). Nel 1879 fu vicepresidente della Commissione comunale per le imposte dirette in Roma (Gazzetta ufficiale, 8 giugno 1879). Ebbe le onorificenze di ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (23 settembre 1882); commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia (10 maggio 1880) con la seguente motivazione: «membro del consiglio direttivo della Banca Romana, espositore di cavalli di razza romana al concorso di Caserta, premiato con medaglia d’oro»; ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia (4 settembre 1879).
Se fin dagli anni Settanta, Tanlongo non fu estraneo a problemi creditizi, partecipò attivamente anche a inchieste governative – l’Inchiesta sull’esercizio delle ferrovie in Roma – e, in qualità di estensore, firmò due opuscoli: Osservazioni sul progetto di legge pel riordinamento degl’Istituti di emissione (1879), fortemente critico verso la banca unica, e Relazione sulla crisi economica Nazionale approvata dalla Camera nella seduta del 21 marzo 1889 (1889). Le sue competenze furono avvalorate da una lettera di Francesco Ferrara: «Ci vedremo in ottobre a Roma e riprenderemo la discussione sul noto affare: con Lei un’ora di trattenimento verbale mi gioverà più di qualunque lettura che possa aver bisogno per ben conoscere la materia, di cui voglio apprendere la parte pratica per raffrontarla con la teoria» (Mira, 17 settembre 1890, in Tanlongo, 1893, p. 80).
Già vicegovernatore, dal 1881 assunse la carica di governatore della Banca romana e nel 1890 quella di presidente della Camera di commercio di Roma. Dal 1881 al 1883 Tanlongo fu componente, con Felice Ferri, della Commissione di requisizione dei quadrupedi per l’esercito nel mandamento di Roma VI, Pretura di Roma.
I figli Pietro e Vincenzo, entrambi avvocati, seguirono le sue orme. Pietro ebbe incarichi nel Banco di Roma come componente della Commissione di sconto del neonato istituto nel 1880 e nel 1882 entrò a far parte del Consiglio di amministrazione della Società Molini e Magazzini generali di proprietà del Banco. Nel 1883 fu sottoscrittore di azioni della Società per le ferrovie napoletane (meglio nota come Cumana). Vincenzo acquistò una delle tenute del Monte Carafa, quella di Castelromano, subito rivenduta dopo pochi giorni al Monte Carafa e, in seguito, acquistata da Umberto I.
Il nome di Bernardo Tanlongo è strettamente legato allo ‘scandalo della Banca romana’ e all’assoluzione dei presunti colpevoli in un contesto particolarmente ricco di altri numerosi scandali che costituirono una cifra identificativa delle vicende italiane.
Su questa linea si è mossa la quasi totalità della storiografia, basata prevalentemente sulla stampa, sugli atti delle Commissioni parlamentari e su quelli processuali. Completamente trascurato, nonostante qualche tentativo (Pegrari, 2012; Id., 2018) l’aspetto bancario-finanziario fondato sulla documentazione della liquidazione da parte della neonata Banca d’Italia, presente nell’Archivio storico della stessa Banca d’Italia.
Nel contesto politico-scandalistico, il ritratto di Tanlongo e la sua vita privata assumono contorni sempre più frutto di dicerie popolari positive e negative.
Al momento del suo arresto, il Corriere della sera gli dedicò un breve profilo dal titolo Chi è Bernardo Tanlongo: «Bernardo Tanlongo è, come il direttore della Banca Nazionale, come tanti altri banchieri, un genovese; ma, tolta questa qualità, non ha nulla di comune cogli altri, neppure il mandato di cattura che lo ha colpito oggi. Egli non è stato donnaiolo, non ha mai giocato; era agli antipodi di ogni eleganza; la sua frugalità rassomigliava da vicino all’avarizia. Ma aveva una grande vanità, una ambizione smodata: quella di essere il papà di tutti, di soccorrere i pericolanti nel mare delle scadenze, di tenere alto il prestigio della Banca Romana, dove, più che le funzioni di governatore, esercitava quelle di padrone assoluto. Chi è stato anche una sola volta alla Banca Romana [a palazzo Marescotti] non può non ricordarsi le sale senza tappeti, le sedie coperte di cuoio dai cui angoli logorati sfuggiva la stoppa, gli scaffali antipatici, i piantiti a mattoni sbocconcellati, che facevano strano contrasto anche colle più modeste Banche moderne [...]» (20-21 gennaio 1893).
Nello Quilici (1935) riassunse tutte le dicerie dei contemporanei riprese dalla storiografia successiva: «Bernardo Tanlongo era uno di quei ‘romani de Roma’ di cui non si è rotto, anche oggi, lo stampo in certi quartieri suburbani della capitale. Viso asimmetrico, rosso, da vecchio prete. Incapace – lo avesse voluto – di parlar diverso da un personaggio del Belli: con le doppie che diventavano triple, gli elle che diventavano erre, “io farebbe” invece di “io farei”, “che dichi” invece di “che dici” e via dicendo [...]. Uomo dell’agro, con giacche pelose e lunghe, pantaloni a colonna, catena d’oro a festone sulla pancia» (pp. 140 s.).
Napoleone Colajanni aggiungeva, pur senza documentazione, altri particolari riguardo alla sua ascesa sociale: «Da spia dei francesi nel 1849 (secondo una biografia che si vuole esista presso la direzione della P.S.), da uomo di fiducia dei gesuiti e della Propaganda Fide, sa acquistare la buona relazione con il Gran Maestro della Massoneria ed assistere come senatore ad una seduta reale» (Banche e Parlamento, 1893, pp. 240 s.). Sergio Turone (1984) ne ampliava il ritratto: «Il gran patrono del sistema, Bernardo Tanlongo, aveva cominciato ad impratichirsi di affari quando lavorava come fattore in una tenuta nella campagna romana. Sapeva a malapena leggere e scrivere, ma nel manipolare cifre non conosceva concorrenti, e soprattutto era imbattibile nell’avvicinare i potenti. Di tale abilità aveva dato prova nella Roma papale. Continuò imperterrito nella Roma regia. Il suo nome, buttato là per la prima volta dal focoso e lungimirante Pietro Sbarbaro, doveva essere di lì a pochi anni, al centro delle grandi cronache nazionali. Lo scandalo della Banca Romana non ebbe certo in Bernardo Tanlongo l’unico protagonista. Ci furono altri di ben maggior calibro, a cominciare da Giolitti e da Crispi» (p. 51).
Che la Banca romana non fosse l’unico istituto pericolante fu lo stesso Colajanni ad ammetterlo nella seduta alla Camera dei deputati del 27 gennaio 1893 sotto la presidenza di Giuseppe Zanardelli: «Ma non ha fede che la ispezione governativa, malgrado la buona volontà dell’onorevole Giolitti, possa dare risultati che il paese ha diritto di attendere, perché pare si vogliano concentrare tutte le ire contro la Banca Romana per coprire o attenuare le condizioni della Banca Nazionale che si dicono aggravatelle, e intorno alle quali sarebbe bene leggere la relazione del senatore Consiglio» (Gazzetta ufficiale, 28 gennaio 1893, n. 23). Davide Consiglio, deputato e senatore, fu il direttore generale del Banco di Napoli nel 1890-93.
L’epilogo della Banca romana fu la conseguenza di un lungo percorso verso l’unicità della banca di emissione sostenuto sin dal 1870 e sempre respinto dai governatori precedenti Filippo Antonelli (fratello del segretario di Stato di Pio IX, il cardinale Giacomo) e Giuseppe Guerrini. Quando Colajanni, il 20 dicembre 1892, fece esplodere la situazione, a Tanlongo fu intimato di aderire alla fusione con la Banca nazionale, pena l’arresto immediato. Il suo rifiuto lo portò in carcere e al processo. Il processo, a fusione avvenuta, fu costruito, paradossalmente, per giungere a una sentenza assolutoria. Le accuse non furono di bancarotta fraudolenta dal momento che non vi era stato un fallimento ma una fusione, bensì basate sull’eccedenza della circolazione, su prelievi personali e su distribuzione di denaro a giornali e politici così riassunti: «Per sottrazione di somme in danno della banca Romana ed eventualmente dello Stato per la garanzia dei biglietti fiduciari; sottrazione commessa col mezzo di falso in scrittura e fraudolente emissione dei biglietti di scorta» (La Civiltà cattolica, 1893, p. 498). La difesa dell’avvocato Enrico Pessina non contestò le accuse; contestò che fossero reati e non irregolarità dovute in particolare a pressioni governative e a esigenze dell’economia nazionale. Di qui l’assoluzione, che fu giudicata scandalosa e misteriosa e generò un’ondata di indignazione in tutto il Paese. Lo scandalo interessò l’intero settore bancario e la politica. L’assoluzione fu merce di scambio politico-finanziario.
Tanlongo morì a Roma il 29 luglio 1896, due anni dopo l’assoluzione.
Fonti e Bibl.: Per il processo alla Banca romana: Archivio di Stato di Roma, Tribunale di Roma, Processi penali, Ufficio Istruzione, b. 64426, voll. 1-44 ed E. Vitale, La riforma degli istituti di emissione e gli scandali bancari in Italia, 1892-1896, I, Roma 1972, pp. 368 s.; il carteggio relativo alla liquidazione della Banca romana è in Archivio storico della Banca d’Italia in diversi fondi: Segretariato, Liquidazione Banca Romana; Direttorio Grillo; Direttorio Stringher; Gabinetto copialettere; le carte relative alle indagini parlamentari sono all’Archivio storico della Camera dei deputati e raccolte in parte nei citati volumi di Eligio Vitale, che contengono una ricca bibliografia delle fonti archivistiche e della letteratura sui temi trattati (I, pp. 365-445). Vedi inoltre Diario di Roma, 1845, n. 29, p. 13; Almanacco pontificio, 1863, p. 461; La frusta, 11 gennaio 1872, p. 25; B. Tanlongo, Osservazioni sul progetto di legge pel riordinamento degl’Istituti di Emissione, Roma 1879; Gazzetta ufficiale, 8 giugno 1879, 4 settembre 1879, 10 maggio 1880, 23 settembre 1882; L’Economista, VII (1880), 11, 307, p. 1017; Camera di Commercio di Roma, Relazione sulla crisi economica nazionale approvata dalla Camera nella Seduta del 21 marzo 1889, estensore B. T., Roma 1889; N. Colajanni, Banche e Parlamento. Fatti, discussioni e commenti, Milano 1893, pp. 240 s.; P. Tanlongo, Una parte della corrispondenza di B. T., Roma 1893; Corriere della Sera, 20-21 gennaio 1893; Le XIXe Siècle, 14 febbraio 1893, Le scandale italien (la Panama italiana); La Civiltà cattolica, s. 15, XLIV (1893), 5, p. 498; V. Morello («Rastignac»), Politica e bancarotta, Roma 1894, passim; A. Monzilli, Note e documenti per la storia delle banche di emissione in Italia, Città di Castello 1896, passim; E. Pessina, La difesa di B. T., in Id., Arringhe, Varese 1929, pp. 237-310.
N. Quilici, Fine secolo. Banca romana, Milano 1935, ad ind.; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961, ad ind.; E. Vitale, La riforma degli Istituti di emissione e gli “scandali bancari” in Italia, 1892-1896, I-III, Roma 1972, ad ind.; F. Briganti, Il vitello d’oro. Lo scandalo della Banca Romana, il processo T. e la Società Italiana di fine ’800, Roma 1975, passim; P. Becchetti, L’ospedale di Santa Maria dell’Orto, in Strenna dei Romanisti, Roma 1980, p. 57; L. de Rosa, Storia del Banco di Roma, I, Roma 1982, pp. 32, 40; E. Magrì, I ladri di Roma, Milano 1983, ad ind.; G. Manacorda, Dalla crisi alla crescita. Crisi economica e lotta politica in Italia 1892-1896, Roma 1983, ad ind.; G. Modolo, Il crack della Banca Romana, Milano 1983, passim; S. Turone, Corrotti e corruttori dall’Unità d’Italia alla P2, Roma-Bari 1984, pp. 3, 51-54, 59-64, 70, 75, 81, 293-295; I processi del secolo, a cura di G. Guidi - G. Rosselli, Palermo 1984, passim; Giolitti e la nascita della Banca d’Italia, a cura di G. Negri, Roma-Bari 1989, pp. 17 s. nota, 85, 144 e nota, 156, 165 nota, 173, 439-441, 499; Il crac della Banca Romana (1893), a cura di R. Gagliardi - G. Polo, Roma 1993, passim; A. Caracciolo, Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma 1999, pp. 95 s., 158, 192, 194, 207; V. Pareto, Le verdict T., in Id., Œuvres completes, XXXII, Inédits et addenda, Genève 2005, pp. 130-132; P. Tournon, Un libro prezioso e poco conosciuto di Pompeo Spinetti, in Strenna dei Romanisti, Roma 2005, p. 752; B. Bonomo, Il quartiere delle Valli. Costruire Roma nel secondo dopoguerra, Milano 2007, pp. 52 s.; M. Pegrari, La Banca romana: protagonisti e retroscena, in Cristianesimo nella storia, 2012, pp. 641-674; F. Savasta, Il processo della Banca Romana. Il mistero delle assoluzioni, Roma 2017, pp. 27-34; C. Bertoni, Romanzo di uno scandalo. La Banca Romana tra finzione e realtà, Bologna 2018, ad ind.; M. Pegrari, La liquidazione e i due processi della banca Romana, in Studi storici Luigi Simeoni, LXVIII (2018), pp. 77-87.