SEGNI, Bernardo
– Nacque a Firenze il 21 febbraio 1504 da Lorenzo, appartenente a una ricca famiglia di mercanti, e da Camilla Capponi, sorella di Niccolò, gonfaloniere della Repubblica fiorentina dal 1527 al 1529.
Benché le informazioni sulla sua educazione siano scarse, fra i suoi maestri si può annoverare con ogni probabilità Francesco Verino il vecchio, professore di filosofia presso lo Studio pisano. Sicuramente, ebbe modo di perfezionare la sua formazione quando, nel dicembre del 1526, partì per Venezia, soggiornando dapprima a Vicenza e poi a Padova. Questo breve ma intenso periodo dovette lasciare nel giovane Bernardo importanti tracce, che si manifestarono più tardi nella sua adesione incondizionata alla filosofia aristotelica.
Fatto ritorno a Firenze all’inizio del 1528, a maggio ripartì per Ferrara con il padre, ambasciatore presso la corte estense, dove trascorse buona parte dell’anno. Di nuovo a Firenze, dovette assistere nel 1529 alla deposizione dello zio Niccolò Capponi, nel 1530 alla drammatica fine della Repubblica fiorentina e al quasi contemporaneo dissesto finanziario della sua famiglia, intervenuto in seguito ad alcuni affari fallimentari conclusi dal padre negli anni subito precedenti. Così, nel 1531 si indusse a prender moglie, unitamente a una cospicua dote, nella persona di Costanza di Giovanfrancesco Ridolfi, grazie alla mediazione di Francesco Vettori: dal matrimonio sarebbero nati nove figli, cinque femmine e quattro maschi. Dopo la ravvicinata morte di entrambi i genitori (della madre nel 1534 e del padre nel 1535), decise quindi di entrare al servizio del duca Alessandro e poi, stabilmente, di Cosimo I. Numerosi gli incarichi pubblici che gli vennero assegnati dai Medici: fu, tra l’altro, commissario a Cortona, capitano a Volterra, vicario di Anghiari, membro del Consiglio dei duecento, degli Otto di pratica, dei Sei di mercanzia, dei conservatori delle Leggi.
Il quinto decennio del secolo fu per Segni ricco di esperienze intellettuali, cominciate nel 1541 con l’adesione all’Accademia Fiorentina, di cui fu console e lettore già nel 1542, e culminate, a partire almeno dal 1545, con la traduzione e il commento in volgare di quattro trattati aristotelici.
In ordine di composizione: la Retorica (Firenze 1549), di cui ci è pervenuto anche un manoscritto (Firenze, Biblioteca Marucelliana, C.333), l’Etica (Firenze 1550), la Politica (con il titolo Trattato dei Governi, Firenze 1549), di cui ci è pervenuta la copia di tipografia (Archivio di Stato di Firenze, Cerchi, 838) e la Poetica (Firenze 1549), tutti dedicati a Cosimo e usciti per i tipi di Lorenzo Torrentino sotto l’egida e l’approvazione formale della medesima Accademia (poi ripubblicati a Venezia nel 1551 da Bartolomeo Imperatore).
Allo stesso periodo, dal dicembre del 1546 al marzo del 1547, risale il breve soggiorno romano presso la corte di Paolo III, ospite dell’amico cardinale Niccolò Ardinghelli, dove poté frequentare le lezioni sull’Etica di Aristotele di Antonio Bernardi della Mirandola.
I quattro volgarizzamenti, cui bisogna aggiungere una parafrasi-commento volgare del De Anima di Aristotele, pubblicato postumo per le cure del figlio Giovan Battista (Trattato sopra i libri dell’anima di Aristotile, Firenze, Giorgio Marescotti, 1583), furono condotti certamente a partire da traduzioni umanistiche latine: lo studio di Roberto Ridolfi del carteggio tra Segni e il grande filologo Piero Vettori ha dimostrato come il primo, per sua esplicita ammissione, avesse scarse conoscenze della lingua greca. Tuttavia, da un’attenta disamina delle sue traduzioni, emerge come sarebbe ingeneroso e fuori luogo ridurlo a un semplice ‘traduttor dei traduttori’: se infatti non sarebbe stato in grado di tradurre Aristotele direttamente dal greco, era sicuramente in grado di orientarsi in un testo greco con l’ausilio di traduzioni latine e sapeva scegliere con cognizione di causa fra lezioni diverse e diverse interpretazioni. Ciò nonostante, le sue fatiche aristoteliche furono osteggiate dagli ambienti universitari conservatori, i quali mal tolleravano che un filosofo ‘dilettante’ riducesse Aristotele in volgare, operazione ancora precoce per l’epoca e di cui Segni fu uno degli iniziatori.
Del resto, l’attività di volgarizzamento della cultura classica si inseriva perfettamente nella politica culturale del Ducato e dell’Accademia Fiorentina, all’interno della quale Segni apparteneva allo schieramento più direttamente legato al duca Cosimo, ed era vicino per amicizie e frequentazioni al gruppo detto degli ‘Aramei’, benché non sia possibile affermare che condividesse le teorie linguistiche di questo sodalizio. Certamente, invece, all’interno delle polemiche legate alla ‘questione della lingua’, fu strenuo sostenitore del fiorentino vivo e parlato.
All’attività in seno all’Accademia è riconducibile anche il volgarizzamento in endecasillabi sciolti dell’Edipo re di Sofocle, dedicato a Cosimo e redatto nel 1551 ma rimasto inedito fino al 1778 (Augsburg-Palermo), del quale ci sono pervenuti il manoscritto autografo (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., II.I.98) e la ‘bella copia’ (ibid., Magliabechiano, 7.317) vergata dal suo segretario Giovanni Cervoni da Colle.
Gli ultimi anni di vita non furono meno laboriosi sul fronte storiografico, poiché risalgono a questo periodo le due opere storiche cui Segni deve in particolare la sua fama, almeno a partire dalla loro pubblicazione, avvenuta postuma nel 1723 ad Augsburg: la Vita di Niccolò Capponi, scritta forse già nel 1547, sull’ascesa e la caduta dello zio materno durante l’ultima esperienza repubblicana, e volta a mostrare la buona fede del gonfaloniere e per contrasto l’azione nefasta e combinata degli Arrabbiati e dei filomedicei; e le Storie fiorentine, scritte tra il 1553-54 e il 1558, rimaste incompiute per la morte dell’autore all’inizio del libro XV, in cui narra la storia della sua città nel contesto europeo tra il 1527, anno della cacciata dei Medici e della proclamazione della Repubblica, e il 1555, anno della conquista di Siena.
L’afflato repubblicano che permea questi due lavori, ma di un repubblicanesimo moderato proprio dell’oligarchia fiorentina, rivela il motivo per cui rimasero a lungo inediti e, contestualmente, perché conobbero la loro fortuna soprattutto in epoca risorgimentale, al punto che Ugo Foscolo, nel Discorso storico sul testo del Decamerone, avrebbe collocato la Storia di Segni in buona compagnia, subito dopo quelle di Niccolò Machiavelli e di Francesco Guicciardini, «più esatta dell’una e più veritiera dell’altra».
Morì a Firenze il 2 aprile 1558 e fu sepolto in S. Spirito.
Opere. Edizioni moderne: Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi - S. Albonico, Milano-Napoli 1994; Poetica d’Aristotile tradotta di greco in lingua vulgare fiorentina da B. S. gentiluomo et accademico fiorentino, a cura di S. Bionda, Roma 2015.
Fonti e Bibl.: Per la biografia: Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 1882: A. Segni, Memorie della sua famiglia; A. Cavalcanti, Notizie intorno alla Vita di B. S. raccolte da Andrea di Lorenzo Cavalcanti, Augsburg 1723; M. Lupo Gentile, Studi sulla storiografia fiorentina alla corte di Cosimo I de’ Medici, in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa. Lettere, storia e filosofia, 1906, vol. 19, pp. 11-34; R. Ridolfi, Novità sulle “Istorie” del S., in Belfagor, XV (1960), pp. 663-676; Id., B. S. e il suo volgarizzamento della «Retorica», ibid., XVII (1962), pp. 511-526; D.A. Lines, S., B., in Encyclopedia of Renaissance philosophy, a cura di M. Sgarbi, New York 2015, s.v. Della vita di Segni offrono preziosa testimonianza le sue Ricordanze, tuttora inedite (conservate in Firenze, Biblioteca Riccardiana, Mss., 1882).
Fra gli studi più recenti: I. Grassini, Il racconto ‘obiettivo’ di B. S., in E. Scarano - C. Cabani - I. Grassini, Sette assedî di Firenze, Pisa 1982, pp. 186-213; M. Rolandi, «Facultas civilis». Etica e Politica nel commento di B. S. all’“Ethica Nicomachea”, in Rivista di filosofia neo-scolastica, LXXXVIII (1996), pp. 553-594; U. Langer, Aristotle commentary and ethical behaviour: B. S. on friendship between unequals (Ethica d’Aristotile tradotta in lingua fiorentina et comentata, 1550), in Philosophy in the Sixteenth Centuries: conversation with Aristotle, a cura di C. Blackwell - S. Kusukawa, Aldershot 1999, pp. 107-125; S. Bionda, La “Poetica” di Aristotele volgarizzata: B. S. e le sue fonti, in Aevum, LXXV (2001), pp. 679-694; Id., Aristotele in Accademia: B. S. e il volgarizzamento della “Retorica”, in Medioevo e Rinascimento, n.s., XIII (2002), pp. 241-265; Id., La copia di tipografia del “Trattato dei Governi” di B. S.: breve incursione nel laboratorio del volgarizzatore di Aristotele, in Rinascimento, s. 2, XLII (2002), pp. 381-414; S. Genzano, La notion de «principat civil» dans l’oeuvre de B. S., in Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di J.-J. Marchand - J.-C. Zancarini, Firenze 2003, pp. 355-367; D. Blocker, Dire l’«art» à Florence sous Cosme I de Médicis: une “Poétique” d’Aristote au service du Prince, in Aisthe, 2008, 2, pp. 56-101; A. Capata, Sondaggi sulla ‘virtù’ postmachiavelliana: Vettori, Giovio, S., in Italianistica, XXXVIII (2009), 1, pp. 11-31; D.A. Lines, Rethinking Renaissance Aristotelianism: B. S.’s Ethica, the Florentine Academy, and the vernacular in sixteenth-century Italy, in Renaissance Quarterly, 2013, vol. 66, pp. 824-865; S. Bionda, Un ‘traduttor dei traduttori’? B. S. dalla “Retorica” alla “Poetica”, in ‘Aristotele fatto volgare’: aristotelian philosophy and the vernacular in the Renaissance, a cura di D.A. Lines - E. Refini, Pisa 2014, pp. 77-97; D.A. Lines, Ethics, politics and history in B. S. (1504-1558): Machiavellianism and Anti-Medicean Sentiment, in Ethik und Politik des Aristoteles in der Frühen Neuzeit, a cura di C. Strosetzki - W. Mensch - Ch. Pietsch, Hamburg 2016, pp. 45-68; S. Bionda, B. S. Poetica d’Aristotile tradotta di greco in lingua vulgare fiorentina, in Studi Giraldiani. Letteratura e teatro, III (2017), pp. 263-284.