SALVIATI, Bernardo
– Nacque a Firenze il 17 febbraio 1508 da Jacopo e da Lucrezia de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.
Fu il decimo figlio, il quinto maschio, di una coppia eccezionalmente prolifica – tredici figli in totale – che grazie alle circostanze propizie, in particolare la stretta parentela con i papi Leone X e Clemente VII, riuscì a combinare per la progenie una serie di matrimoni vantaggiosissimi. A differenza dei fratelli maggiori Giovanni e Lorenzo, che come il padre avevano ricevuto una formazione umanistica, Bernardo dovette accontentarsi insieme con i fratelli Battista e Alamanno di un’istruzione indirizzata alla pratica degli affari. Ed era quella la carriera a cui era destinato, non fosse stato per la morte inaspettata del fratello Pietro, priore di Roma dal 1516.
Il priorato di Roma, beneficio dell’Ordine dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, meglio noti all’epoca come cavalieri di Rodi, era un ufficio più che desiderabile. Ma alla morte del fratello Piero, che aveva avuto l’accortezza di rinunciare preventivamente al beneficio in suo favore, Salviati aveva solo quindici anni contro i diciassette richiesti per prendere l’abito dell’Ordine come cavaliere professo. Lo fece appena possibile, nel 1525 a Viterbo.
Per quanto sembrasse ormai destinato a un avvenire promettente, a diciassette anni aveva ancora bisogno del sostegno della famiglia. Soltanto un mese dopo l’ingresso nell’Ordine partì al seguito del fratello maggiore Giovanni, inviato in Spagna in missione diplomatica: i genitori gliel’avevano caldamente raccomandato, persuasi che l’esempio e il consiglio del fratello cardinale gli sarebbero stati d’aiuto per acquisire le conoscenze e il savoir-faire che per il momento gli facevano difetto. Per più di tre anni accompagnò il fratello nei suoi viaggi, dapprima in Spagna, poi in Francia dove gli era stata prolungata la missione. Di città in città e di corte in corte, seguendo il consiglio del padre, osservava gli usi e i costumi di quell’alta società che gli capitava sovente di frequentare. Ebbe così occasione di incontrare e di farsi notare da grandi personaggi della sua epoca, quali Carlo V in Spagna o Francesco I in Francia. Ma per quanto istruttivo fosse stato il periplo franco-ispanico, gli incarichi militari che in quanto cavaliere avrebbe presto dovuto ricoprire richiedevano tutt’altra formazione e tutt’altro addestramento.
Salviati dovette riceverli al ritorno dalla Spagna e dalla Francia, dopo un noviziato ridotto al minimo indispensabile. Non si spiegherebbero altrimenti gli incarichi di comando affidatigli tra il 1531 e il 1534, tanto dall’Ordine quanto dal cugino Clemente VII. Si distinse in particolare in alcuni scontri contro i turchi lungo le coste della Morea, tra gli altri quello del 1533 a Corone. Nel settembre dello stesso anno, in qualità di capitano delle galere pontificie, si occupò della traversata di Clemente VII e della sua corte, diretti a Marsiglia per assistere al matrimonio di Caterina de’ Medici, cugina del pontefice, con Enrico d’Orléans, il futuro re Enrico II.
Salviati si fece rapidamente un nome in seno all’Ordine, diventando un personaggio di una certa levatura tanto a Roma quanto fuori Roma. Ma la sua carriera militare volgeva al termine. Nel 1534, il nuovo papa Paolo III lo sollevò dall’incarico di castellano di Civitavecchia e di capitano generale delle galere pontificie. Gli restava comunque il priorato di Roma, ed è alle incombenze di tale ufficio che consacrò le proprie energie almeno fino al 1549. Sovente le autorità dell’Ordine si rivolgeranno a lui per risolvere problemi di natura finanziaria, disciplinare o diplomatica, in quest’ultimo caso inviandolo come rappresentante presso il papa o Carlo V.
Ma la partecipazione attiva alla fallimentare ribellione fomentata dal fratello Giovanni e dai cugini Filippo Strozzi e Niccolò Ridolfi contro il nipote Cosimo, che aveva appena preso il potere a Firenze, dovette dare più di un grattacapo al priore di Roma. Nel 1545 si trasferì a Padova per intraprendere studi di filosofia e probabilmente di teologia – a giudicare dai titoli della biblioteca che aveva raccolto. A quanto pare voleva tentare un cambio di carriera: da uomo d’armi che era, cercava di convertirsi in uomo di Chiesa. Il fatto che il fratello Giovanni gli cedette nel 1549 la diocesi di Saint-Papoul, in Francia, sembra confermarlo. Per Salviati si aprivano dunque nuove prospettive, prospettive che guardavano sempre più alla Francia e a colei che, alla morte del marito Enrico II nel 1558, avrebbe preso in mano le redini del regno: sua cugina, Caterina de’ Medici. Così, appena nominato alla sede di Saint-Papoul, Salviati si precipitò a Parigi non solo per regolare le questioni amministrative riguardanti la diocesi, ma anche e soprattutto per prendere contatto con la regina.
Rientrato in Italia verso la fine del 1552, soggiornò a Venezia per occuparsi di certe questioni finanziarie, sue e di altri membri della famiglia. Proprio a Venezia ricevette la notizia della morte del fratello maggiore, il cardinale Giovanni, deceduto nel 1553 a Ravenna. Secondo le disposizioni del defunto, si incaricò personalmente di organizzare i funerali a Ferrara, sede episcopale di Giovanni sin dal 1520, e poi di liquidare la successione. Morto il fratello, il timone della famiglia passava oramai a lui.
Per quanto assorbito dalle nuove responsabilità familiari, oltreché dalla gestione degli affari personali, non poté rimanere insensibile al progetto che alcuni personaggi a lui vicini, tra cui il re di Francia, coltivavano per lui: ossia fargli prendere il posto del fratello in seno al Collegio cardinalizio. Salviati sembrava esitare, si diceva indegno di tanto onore, ma forse era soprattutto preoccupato dalla decisa opposizione del nipote, il duca di Firenze, che non aveva dimenticato la sua implicazione nella ribellione del 1537. Nel 1557 Enrico II, indispettito dagli scarsi risultati sortiti a Roma dalle sue ripetute pressioni, richiamò a Parigi il suo protetto perché venisse a svolgere le mansioni di grande elemosiniere della regina, incarico di cui era stato investito già nel 1555. Rientrato in Francia, Salviati dovette aspettare il febbraio 1561 prima che la cugina riuscisse a vincere tutte le resistenze che gli chiudevano le porte del Sacro Collegio. A fine maggio fece finalmente ritorno a Roma e il 2 giugno fu ricevuto dal papa in concistoro pubblico. Si presentò, a quanto riferisce un cronista dell’epoca, ‘pomposamente’ accompagnato.
Gli restavano solo sette anni da vivere, ma grazie alla nuova posizione e malgrado le condizioni di salute che lasciavano sempre più a desiderare trovò sempre il mondo di rendersi utile a quanti si rivolsero a lui, fossero parenti o clienti quando non addirittura grandi personaggi, principi e prelati, ai quali prestava servizio per gratitudine, come alla cugina Caterina de’ Medici e il figlio di lei, Carlo IX, o per convenienza, come al nipote Cosimo, duca di Firenze.
Doveva d’altro canto mostrarsi all’altezza, per lo meno esteriormente, del rango al quale era stato elevato. A partire dal 1554 si era fatto costruire a Roma un palazzo degno del nome dei Salviati, in via della Lungara, su un vasto terreno che aveva ereditato dalla madre e dal fratello cardinale. La residenza era in gran parte abitabile al momento del suo arrivo a Roma nel maggio 1561. Salviati vi si trasferì insieme con il suo seguito, che comprendeva tra gli altri il nipote Antonio Maria, il futuro cardinale, e una sessantina di domestici preposti ai vari servizi della casa, grazie ai quali offrirà sempre un’ospitalità confacente a un principe della Chiesa. A palazzo Salviati soggiornarono i grandi personaggi dell’epoca, cardinali e ambasciatori, in particolare quello di Francia, ma anche a più riprese i confratelli cavalieri di Malta, dal momento che, per quanto cardinale, Salviati non aveva mai voluto rinunciare al priorato di Roma. Vi saranno ricevuti anche diversi membri della famiglia, talvolta per soggiorni piuttosto lunghi: tra questi il nipote Iacopo, di Firenze, che diverrà l’erede principale di Salviati.
Ricevette all’occorrenza anche la figlia naturale Lucrezia, nata verso il 1540, che era riuscito a dare in sposa nel novembre 1561, dunque dopo il ritorno a Roma, a Latino Orsini, figlio bastardo di Camillo Orsini, celebre uomo d’armi. Aveva anche un altro figlio illegittimo, Piero, nato intorno al 1545, che nello stesso anno delle nozze della figlia aveva spedito in Francia insieme con Giulio, figlio naturale del fratello maggiore Giovanni. La loro presenza in Italia gli risultava probabilmente imbarazzante, anche se erano stati entrambi legittimati, così come Lucrezia.
Malato già dal 1559, fu colpito tre anni dopo da un attacco apoplettico, e fu probabilmente una crisi analoga, ma molto più violenta, che lo uccise il 16 maggio 1568. Come il padre e la madre, fu sepolto nella cappella di famiglia che quest’ultima aveva predisposto nella basilica di S. Maria sopra Minerva.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Salviati, 244-297; G. Morello, Di una “Istruzione” del Gran Maestro Villiers de l’Isle Adam al Priore di Roma, B. S., in Annales de l’O.S.M. de Malte, XXXII (1974), 3-4, pp. 63-77; P. Hurtubise, Une famille-témoin: les Salviati, Città del Vaticano 1985, ad ind.; B. Galimard Flavigny, Histoire de l’Ordre de Malte, Paris 2006, pp. 216 s.; P. Hurtubise, Tous les chemins mènent à Rome, Ottawa 2009, ad indicem.