PASQUINI, Bernardo
Musicista, nato a Massa Valdinievole (attualmente Massa e Cozzile) il 7 dicembre 1637, morto a Roma il 21 novembre 1710. Iniziò fanciullo gli studî letterarî sotto la guida del pievano M. Rocciantini ad Uzzano presso Pescia, e li proseguì poi a Roma, dove si trasferì, appena dodicenne, nel 1650. Infatti, si sa ch'egli scrisse varie opere poetiche, tra le quali una commedia intitolata La Tessalonica, che fu stampata, e recitata in una villa del principe Colonna; per tali meriti il musicista fu ammesso nell'Accademia dell'Arcadia, assumendo il nome di Protico Azetiano. A Roma il P. fu educato nella musica da L. Vittori, insigne maestro provvisto anche di notevole cultura letteraria, allora cantore della cappella pontificia, e più tardi da M. A. Cesti. Gli studî furono assai profondi, essenzialmente fondati sulla meditazione dei grandi classici, primo fra tutto G. Pierluigi da Palestrina. Non condiscepolo, come erroneamente fu affermato, ma legato da vincoli di amicizia ad A. Corelli, il P. più volte ebbe occasione di collaborare con lui. La fama del P. in Roma s'accrebbe rapidamente; dapprima fu organista nella basilica liberiana di S. Maria Maggiore e in seguito, nel 1664, anche nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, ufficio nel quale rimase sino alla morte. Fra i viaggi artistici intrapresi in Italia e all'estero sono da ricordare particolarmente quello a Vienna, ove l'imperatore Leopoldo propose al musicista italiano di restare al suo servizio; quello compiuto insieme al card. Fabio Chigi a Parigi, ove suonò alla presenza di Luigi XIV; e infine quelli a Firenze e a Livorno. In quest'ultima città fece più lunga permanenza e intorno ad essa abbiamo notizie da una canzone bernesca di un abate Bani. È naturale quindi che, per l'universale riputazione goduta come organista e compositore alla scuola del P. venissero per perfezionarsi musicisti che a lor volta eccelsero nell'arte; tali J. K. Kerl, che già aveva studiato con G. Frescobaldi e con G. Carissimi, J. Ph. Krieger, G. Muffat, oltre ad allievi italiani, fra i quali il più illustre fu D. Scarlatti. Ammesso, anzi ricercato nell'alta società aristocratica romana, il P. fu per qualche tempo al servizio del principe G. B. Borghese, ma soprattutto ebbe strette relazioni artistiche con la regina Cristina di Svezia, per concerti e feste musicali varie, fra le quali, per lo sfarzo dispiegatovi, rimase celebre quell'accademia in onore dell'assunzione al trono di Giacomo II d'Inghilterra, a cui collaborarono anche A. Corelli, che diresse un'orchestra costituita da 150 strumenti ad arco, e A. Scarlatti.
Il P., nonostante l'oblio in cui sono cadute le sue opere, fu certamente uno degli artisti più significativi del Seicento, autore fecondo in ogni genere di musica strumentale e vocale.
L'opera vocale è costituita da cantate, arie e canzoni sparse in gran numero nelle biblioteche europee: non è difficile in esse riconoscere sovente dei modelli perfetti di lirica seicentesca da camera, con qualità espressive naturalmente disposte in un'armoniosa architettura formale, in cui ha particolare rilievo la trattazione della voce che è quasi sempre magistrale; specialmente là dove, e per buona ventura assai spesso, l'artista rifugge dagli eccessi dell'ornamentazione virtuosistica. Non minore facilità inventiva ebbe il P. nel campo melodrammatico: chè egli compose 14 opere che attendono ancora una valutazione del loro pregio artistico, anche se le prime indagini tendono ad escludere nel loro autore un vero interesse di creazione drammatica. Egualmente si può dire di 5 oratorî giunti sino a noi degli 8 che sappiamo essere stati da lui scritti; composizioni, queste, alquanto lontane dall'originario carattere narrativo dell'oratorio e che, accogliendo l'azione come elemento di rappresentazione scenica, meglio possono esser designate col nome di drammi sacri o spirituali, in ciò rispondenti del resto al gusto del tempo.
Assai più nota, almeno per fama, è l'opera strumentale del P., il quale era considerato come il primo organista del suo tempo; l'artista non soltanto come esecutore e interprete rapidamente s'impose, ma ben presto si affermò come creatore geniale. Salvo alcune composizioni pubblicate dal Roger e dal Walsh di Londra in raccolte varie, le opere strumentali del P. non furono stampate dai contemporanei; fu il P. stesso a radunarle per evitarne la dispersione; a tale lavoro, iniziato nel 1697 e compiuto nel 1708, si deve la redazione dei quattro volumi che raccolgono l'opera strumentale del P.; il primo di essi si trova nella Biblioteca di Stato di Berlino, gli altri tre al British Museum di Londra.
L'opera strumentale del P. non va esente da alcune influenze della grande arte di G. Frescobaldi; il genio ferrarese può essere infatti considerato come lo spirituale maestro del P., e ne fa anche iede, come prova di devotissimo, amoroso studio, la copia delle Fantasie del 1608, conservata nella Biblioteca di Berlino, che porta l'annotazione "Libro copiato di propria mano, e per uso dal sig. Bernardo Pasquini". Ma in quanto artista vero e di vivace ingegno il P. seppe assurgere ad espressioni originali; ciò è chiaramente visibile nella rielaborazione, anzi, meglio si direbbe, nella trasformazione degli schemi formali quali erano stati a lui trasmessi dall'eredità frescobaldiana. Fantasie, ricercari, capricci, canzoni, toccate, sono ancora le forme strumentali usate dal P., ma, investite da un soffio nuovo, sono da considerare come creazioni quasi sempre indipendenti da modelli anteriori, per la loro più sottile e mobile espressività. Le nuove qualità sono riconoscibili nella diversa e più leggera trattazione dell'elemento tematico non più rigorosamente fissato in una trama contrappuntistica, ma tutto aperto ai nuovi atteggiamenti determinati soprattutto dal nuovo senso dell'armonia, dalla grazia della melodia, dall'eleganza di raffinati contrasti ritmici. Per tal modo, sia nella sonata, forma così genericamente designata che comprende composizioni dalla più libera e multiforme struttura, sia nella suite, liberamente costituita da una successione di danze, sia nelle variazioni di danza, il P. consegue uno stile ormai decisamente clavicembalistico, sottilmente ornato di tutte le delicatezze espressive offerte dalle possibilità tecniche e timbriche dello strumento; questa, per così dire, liberazione dallo stile più severo e contrappuntistico dell'organo fu ben presto riconosciuta al P., pur nello studio tutt'altro che vasto della sua opera strumentale limitato ad alcuni pezzi celebri (Pastorale, Toccata con lo scherzo del Cucco), la conoscenza dei quali è ora doveroso integrare con quella approfondita dell'opera complessiva.
Bibl.: Barlettani-Attavanti, Biografia di B. P., in Notizie istoriche degli Arcadi morti, raccolte dal Crescimbeni, II, Roma 1720; A. Bonaventura, B. P., Roma 1923; F. Boghen, B. P., in Musica d'oggi, Milano, aprile e maggio 1922. Altre notizie in Shedlock, The Pianoforte Sonata, Londra 1895; Weitzmann-Seiffert, Geschichte der Klaviermusik, Lipsia 1899.