GIUNTI (Giunta), Bernardo
Nacque a Firenze, da Filippo il Vecchio e da Lucrezia di Benedetto di Michele di Zanobi, il 12 nov. 1478. Già dal 1503 è sporadicamente attestato come assistente del padre, dando prova di abilità e di discreta preparazione filologica nella pubblicazione di alcune edizioni di classici.
Dal 1514 sue dedicatorie figurano in edizioni di Filippo il Vecchio. Nell'edizione della Fiammetta di G. Boccaccio del 1517 è sua un'epistola contenente uno sfogo contro i tipografi guastatori di testi. Dopo la morte del padre, insieme con i fratelli minori, Benedetto e Giovanni, continuò l'attività paterna di tipografo, mantenendo botteghe in affitto presso la Badia. Nel 1517 si immatricolò nell'arte dei medici e speziali. Stampò insieme con i fratelli fino al 1532 sotto la denominazione "Eredi di Filippo Giunti", ma a partire dal 1518 fino alla morte figurano edizioni sottoscritte solo con il suo nome e, dal 1537 al 1540, alcune a nome del solo Benedetto.
L'Omero del 1519 presenta l'assetto destinato a essere mantenuto dalle edizioni giuntine per tutto il secolo. Nel 1520 il G. si presentò ai lettori con la Historia di Appiano Alessandrino, attribuendosi la responsabilità della produzione trilingue dell'impresa e anche in seguito appose prefazioni a testi latini e greci. A questo scopo i Giunti, in una data non precisabile, avevano ingaggiato l'incisore bresciano Bartolomeo Zanetti, al quale commissionarono una nuova serie di caratteri greci; lo licenziarono, verso la metà del 1518, per aver apportato non miglioramenti ma difetti nella produzione. Per quanto riguarda i capilettera, il G. subì l'influsso di Gabriele Giolito de' Ferrari e si procurò iniziali figurate a imitazione di quelle usate dal tipografo veneziano: per una serie mitologica si può parlare di vera e propria contraffazione.
Il G. ampliò costantemente l'attività dell'azienda, che raggiunse punte elevate di produzione fino al 1522 e poi tra il 1525 e il 1529. Egli tendeva molto più del padre a una certa libertà nelle scelte editoriali, probabilmente anche per l'influenza di Antonio Francini da Montevarchi, l'umanista che maggiormente collaborò con l'officina (ventuno edizioni tra il 1515 e il 1530). Questa indipendenza del G., che si trovò ad attraversare un periodo ricco di profondi sconvolgimenti (la congiura del 1522, la peste dello stesso anno, il sacco di Roma), finì per essere tollerata dai Medici. Tra i testi contemporanei, il G. pubblicò nel 1518 opere di Erasmo da Rotterdam e l'anno dopo inserì l'Utopia di Tommaso Moro negli Opuscula di Luciano. Nel 1520 stampò uno dei primi scritti polemici contro Lutero, l'Apologia pro veritate catholicae et apostolicae fidei ac doctrinae adversus impia ac valde pestifera Martini Lutheri dogmata di Lancellotto Politi, e nel 1521 i Giunti stamparono un'altra opera del Politi e una di Cristoforo Marcello, arcivescovo di Corfù, sempre contro Lutero. In occasione della pestilenza del 1522, fu pubblicato Il consiglio contra la pestilentia di Marsilio Ficino, riproposto nel 1523-24.
La produzione in volgare, con la ragione "Eredi di Filippo Giunti", subì un incremento rispetto all'epoca di Filippo e si caratterizza per la divulgazione della maggiore tradizione letteraria fiorentina (Dante, Petrarca, Boccaccio), della poesia giocosa dei tempi di Lorenzo il Magnifico (A. Poliziano, L. Pulci, M. Franco), ma anche, il 16 ag. 1521, con la stampa del Libro della arte della guerra di Niccolò Machiavelli. Del resto già nel 1520, nel primo volume delle opere in prosa di Giovanni Pontano, in una lettera del Francini a Giovanni Neretti si espone tale linea editoriale, accennando alla divisione dei compiti tra le officine dei Giunti di Venezia e di Firenze: i primi si dedicavano prevalentemente ai testi scolastici e universitari, i secondi ai classici latini e greci. Sempre nel 1520, lo stesso Francini premise a un'edizione di Giulio Polluce una lettera a Thomas Linacre, medico di Enrico VIII, con l'elogio degli umanisti fiorentini al tempo della Repubblica. Dal 1522, per dieci anni, il G. curò una monumentale edizione di Tito Livio, prima di passare a Venezia per lavorare con Lucantonio Giunti.
Dal 1527 per la tipografia iniziò un periodo di decadenza, che culminò negli anni 1528-30, durante i quali vennero prevalentemente riproposte vecchie edizioni. Ciononostante, i Giunti riuscirono nel 1527 a pubblicare l'edizione in quarto del Decameron, una delle più celebri della stamperia, alla quale concorsero, tra gli altri, Pietro Vettori, Francesco Berni e Bernardo Segni. Sempre nel 1527 uscì per i tipi dei Giunti un'antologia poetica di autori toscani del XIV e XV secolo che comprendeva sonetti e canzoni di Dante, rime di Cino da Pistoia, di Guido Cavalcanti e di altri, basata su manoscritti originali, ora in gran parte perduti. L'opera, conosciuta come la "giuntina di rime antiche", è di grande importanza per lo studio dei poeti del dolce stil novo. In questi anni dell'ultima Repubblica fiorentina, l'officina sembra oscillare tra gusti contrastanti del pubblico: nel 1529 per la prima volta i Giunti stamparono opere di G. Savonarola, una delle quali è preceduta da una lettera di Girolamo Benivieni, fedelissimo seguace del frate ferrarese (del Benivieni i Giunti avevano stampato le opere nel 1519).
L'impresa dei Giunti, nata alla fine del Quattrocento, era riuscita a prosperare rapidamente, pur in anni di grave crisi economica e politica della città. Quando, nel 1527, la Repubblica tornò a imporsi, i Giunti parvero fiancheggiare il cambiamento. Tuttavia, caduta la Repubblica nel 1530 e tornati i Medici, la tipografia continuò a sopravvivere, non rinunciando neanche alla propria autonomia; in qualche modo, però, i Giunti dovettero pagare un prezzo, come denuncia l'evidente declino delle edizioni dei classici.
Nel 1531 il G. stampò i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Machiavelli, di cui rivendicò la correttezza, contro l'edizione stampata precedentemente da A. Blado, che ne aveva manipolato un capitolo. L'anno successivo stampò il Principe, che ebbe anche occasione di difendere contro i critici e i detrattori in una lettera a Giovanni Gaddi, e le Istorie fiorentine, con una significativa dedica al nuovo duca Alessandro de' Medici, molto simile a una dichiarazione di fedeltà al nuovo regime.
Nel 1532 il G. sposò Dorotea Modesti da Prato, da cui ebbe sette figli. In questi anni egli iniziò a trascurare alquanto l'officina, che fu affidata al fratello Benedetto.
Benedetto (1506-62; sposò Costanza Ticci) era stato per lo più fuori Firenze, a Roma e a Venezia, quale agente e rappresentante dell'azienda. A Roma aveva stabilito rapporti con Antonio Blado. Il suo nome appare in numerosi colophon di libri stampati all'inizio degli anni Quaranta da Girolamo e Baldassarre Cartolari, tipografi perugini operanti anche a Roma, nonché in opere greche finanziate da Marcello Cervini e stampate da Blado tra il 1542 e il 1550.
Nel 1532, forse in assenza del G., anche se la nota tipografica ha i nomi di entrambi i fratelli, i Giunti stamparono le Opere toscane di Luigi Alamanni, esule che aveva partecipato alla congiura antimedicea del 1522; l'edizione di Firenze uscì contemporaneamente a quella di Lione, che fu riconosciuta come originale. Nel 1533 il G. si recò a Venezia, dallo zio Lucantonio il Vecchio, e fu assente da Firenze per parecchi anni. Dal 1530 al 1546 la produzione dell'officina è modesta per quantità di volumi, con parecchi intervalli di silenzio totale (1534-36, 1537-39, 1541-43, 1544-46). Le crisi periodiche della tipografia vanno addebitate alla situazione bellica e ai rivolgimenti interni di Firenze. Si deve peraltro tenere presente che i Giunti affiancarono sempre alla loro attività di stampatori altre forme di investimento di capitali, secondo una mentalità capitalistica assai moderna. Nel 1543 il G. e il fratello Benedetto elessero due procuratori per riscuotere il denaro loro dovuto da alcuni debitori, in particolare da Francesco di Biagio Avanni, libraio in Siena, con il quale evidentemente avevano rapporti commerciali. A partire dal 1537, la produzione riprese con un andamento discontinuo, ma nelle edizioni figura il nome del solo Benedetto. Dal 1540 il G. riprese la direzione dell'azienda, sottoscrivendo con il suo nome le edizioni, anche se alcune continuarono a uscire con il nome di Benedetto, e accentuando ancora il primato delle opere in volgare. Dopo poche edizioni, nel 1540-43, la produzione subì una nuova sosta, per riprendere nel 1546, anno nel quale l'officina iniziò una vera e propria rinascita. Caratteristica della stamperia sotto la rinnovata guida del G. fu la pubblicazione di commedie, mentre la tradizione dei classici greci e latini rimase viva soprattutto con la presenza come editore del filologo Pietro Vettori. È degna di nota anche la pubblicazione di alcuni volgarizzamenti di classici: Virgilio nel 1556, Tacito nel 1563.
Dato il ridursi dell'attività dell'officina dei Giunti nel decennio Trenta-Quaranta, altri tentarono di riempire il vuoto da loro lasciato a Firenze; nel 1546 fu Anton Francesco Doni a tentare un'impresa tipografica. I Giunti si adoperarono a ostacolare la nascente officina del Doni, che durò peraltro solo un anno. Anche i Medici avvertirono la minore presenza dei Giunti, e nell'aprile 1547 nominarono uno stampatore ducale nella persona del fiammingo Lorenzo Torrentino (Laurens van der Beke), cui furono accordati favori mai goduti prima da alcun tipografo a Firenze, tra cui un privilegio di dodici anni per ogni opera da lui stampata, uno stipendio di 100 scudi d'oro all'anno e, più importante ancora, un'esenzione dalle rilevanti tasse richieste per spedire fuori dello Stato i volumi. L'avvento del Torrentino, che assunse parecchi lavoranti qualificati, estranei all'ambiente fiorentino, e che si dotò di un'attrezzatura tipografica di prim'ordine, arrivando dai due torchi iniziali a cinque, venne accolto con favore dagli intellettuali fiorentini, a cominciare da G. Vasari, con l'eccezione di Donato Giannotti, che in una lettera affermò di preferire ancora i Giunti. Anni dopo, in una lettera a Pietro Vettori del 1567, il Giannotti ribadì questa preferenza, esprimendo però un giudizio sulle tre generazioni di Giunti fiorentini, nel quale la figura del G. viene messa in risalto, rispetto agli altri due personaggi predominanti della famiglia: i due Filippo, padre e figlio del G., per i quali il Giannotti non si perita di usare l'epiteto di "asini".
Nel 1547 ebbe inizio la collaborazione con l'officina giuntina del filologo Pietro Vettori, che aveva già lavorato a Parigi con gli Estienne e a Lione con Sebastiano Grifio. Nello stesso anno il G. pubblicò un'eccellente edizione di Dioscoride, con la nuova traduzione del medico Marcantonio Montigiano da San Gimignano. Nel 1548 il G. firmò uno dei prodotti migliori dell'officina giuntina, l'edizione principe delle opere di Porfirio e di Michele Efesio, curata dal Vettori. Nel 1548 sempre il Vettori pubblicò per i tipi del G. i suoi Commentarii in tres libros Aristotelis de arte docendi. Con l'aiuto del Vettori e con un nuovo intensificarsi dell'attività i Giunti seppero lentamente riguadagnarsi il favore ducale. Nel 1548 iniziò a collaborare con l'officina Ludovico Domenichi, che in precedenza aveva lavorato a Venezia per i Giolito de' Ferrari (1543-46) e a Firenze per il Torrentino.
Il G. morì, presumibilmente a Firenze, tra il 1550 e il 1551 quando la sua officina era in piena ripresa, lasciando il figlio Filippo alle prese con una situazione patrimoniale difficile.
Le edizioni con il solo nome del G. attestate dagli Annali sono una sessantina, che salgono a 168, aggiungendo quelle con la dicitura "Eredi di Filippo Giunti" e quelle sottoscritte da Benedetto. Inoltre, accanto alla normale attività, la tipografia giuntina si distinse per una cospicua produzione di bandi e di pubblicazioni di carattere amministrativo, che spesso non superavano le due o le quattro pagine.
Fonti e Bibl.: Londra, British Library, Add. Mss. 10267, cc. 213-218 (sei lettere del G. a P. Vettori, 30 luglio 1535 - 10 maggio 1536); P. Kristeller, Early Florentine woodcuts, London 1897, nn. 227f, 283c, 289b, 374g-h, 392c; A.A. Renouard, Annali delle edizioni aldine. Con notizie sulla famiglia dei Giunta e repertorio delle loro edizioni fino al 1550, Appendice, Bologna 1953, pp. X-XII; E.J. Norton, Italian printing, 1501-1520, London 1958, p. 31; W.A. Pettas, An international Renaissance publishing family: the Giunti, in The Library Quarterly, XLIV (1974), p. 347; D. Decia, I Giunti tipografi editori di Firenze, 1497-1570, I, Annali, 1497-1570, Firenze 1978, pp. 217-273; L. Perini, Editoria e società, in Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento, Firenze 1980, pp. 274-279; Id., Firenze e la Toscana, in La stampa in Italia nel Cinquecento. Atti del Convegno, … 1989, a cura di M. Santoro, Roma 1992, pp. 435-444.