GIAMBULLARI, Bernardo
Nacque nel 1450 da Piero di Giovanni, di professione orafo, e da una Maritana, il cui cognome non è tramandato. Ebbe un fratello minore, Manfredi, di salute malferma, e almeno due sorelle. Nel 1498 era immatricolato nell'arte della lana come "rimendatore", ma ciò non significa che esercitasse il mestiere, dato che l'iscrizione a un'arte era una formalità per godere dei pieni diritti civili.
Suoi antenati, di parte ghibellina, avevano preso parte attiva alla vita politica della città nell'ultimo scorcio del XIII secolo, ma poi la famiglia era decaduta; il G. e i suoi possedevano un piccolo patrimonio in immobili, ma dopo la morte del padre dovettero trovarsi in ristrettezze, come provano le alienazioni di beni registrate nel Catasto fiorentino.
Il G. ricoprì uffici pubblici minori: nel 1516 fu notaio della dogana e nel 1524 fu squittinato per la maggiore nel gonfalone del Lion nero. Sposò una Lucrezia di Luigi degli Stefani, con la quale risulta ammogliato nel 1485; nel 1495 ebbe da lei l'unico figlio, Pierfrancesco, per il quale si adoperò con costanza presso i suoi protettori onde procurargli uffici. Cessò di vivere il 29 giugno 1529 e fu sepolto in San Pancrazio, la chiesa officiata dai vallombrosani.
Cenni autobiografici sono sparsi nei sonetti che il G. diede fuori in età matura sotto lo pseudonimo di Biagio del Capperone (il cappuccio contadinesco), anche se andranno vagliati alla luce della deformazione letteraria. Se ne desume che fu familiare di Lorenzo il Magnifico e dei suoi figli, ma non si conservano lettere o documenti che indichino un ruolo preciso. Se il suo inserimento tra i letterati della brigata laurenziana appare scontato, e confermato dal fatto che nelle stampe antiche le sue rime figurano sempre insieme con quelle di altri rimatori contemporanei, non è neppure chiaro quali fossero i suoi rapporti con questo ambiente. Il carattere giocoso e disimpegnato dei suoi scritti lo mette fuori dal giro delle personalità intellettualmente più elevate, e forse una posizione tradizionalista testimonia l'amicizia con i due fratelli Pulci, Luigi e Luca, che rappresentarono nel contesto della cultura laurenziana un indirizzo progressivamente emarginato dal prevalere della cultura neoplatonica e dall'egemonia ficiniana. Il G. prese le difese di Luigi in un sonetto (ed. Marchetti, XLIII) contro Matteo Franco, il protetto di Lorenzo, con il quale il Pulci tenzonava non solo per finzione letteraria (altri due sonetti - uno solo dei quali pubblicato dal Marchetti, XLII - sono da ritenere diretti allo stesso Franco), e compose una continuazione del Ciriffo Calvaneo, il poema lasciato incompiuto da Luca Pulci.
Per questi motivi e per le scarse notizie biografiche che possediamo sul G., sostanzialmente statiche e prive di sviluppo restano nel complesso la sua figura e la sua produzione, legata a modi e temi di repertorio, interpretati ora con minore ora con maggiore efficacia, ma senza mostrare un atteggiamento critico o tratti di forte personalità. Eterogenea nella generale unitarietà d'impostazione, l'opera del G. riguarda generi tipicamente popolari: leggende di santi, novelle, rime rusticali, laudi, rispetti, canzoni a ballo, farse. La situazione in cui versa non è esente da incertezze e dubbi di natura attributiva, dovuti alla circolazione di molti suoi componimenti adespoti e in stampe popolari oggi rare (spesso senza note tipografiche), nelle quali la paternità è oscillante o contraddittoria. Compose, probabilmente in età giovanile, una delle quattro versioni della Novella del grasso legnaiuolo circolanti nel secolo XV, in 160 ottave (derivante da una stesura in prosa seriore a quella originale di Filippo Brunelleschi), conservata dal ms. Laurenziano-Ashburnamiano 419 della Biblioteca nazionale di Firenze (probabilmente autografo), che contiene altresì, adespote, le sue rime.
Cospicuo il lotto delle opere sacre, per le quali il G. utilizza fonti latine, volgarizzando in ottave le vite dei santi: la Storia di san Giovanni Gualberto, fondatore dei vallombrosani, in 396 ottave, e la Storia di santa Maria di Loreto (di 28 stanze) sono tramandate da due rari incunaboli fiorentini sine notis. La Istoria di san Zanobi vescovo è invece trasmessa da numerose stampe, la più antica delle quali si fa risalire a circa il 1510. Una resia che uno demonio volle mettere in uno monasterio di monaci ha una stampa fiorentina intorno al 1500 e una a Venezia nel 1518. Incerta l'attribuzione della Leggenda divota del romito dei pulcini, con numerose stampe nel XVI e XVII secolo, ma solo una, conservata alla Biblioteca Colombina di Siviglia reca il nome del Giambullari.
Tra i componimenti giocosi figura il Sonaglio delle donne, in 80 ottave, dal tono didascalico-moraleggiante, tipico dei componimenti misogini tre-quattrocenteschi, che conta numerose edizioni a partire dalla fine del XV secolo. La continuazione del Ciriffo Calvaneo, a quanto viene detto nelle due ottave apposte in calce con la dedica a Lorenzo de' Medici duca di Urbino, fu richiesta da Lorenzo il Magnifico, che si dilettò del poema e dopo la morte dei due fratelli Pulci (Luca nel 1470, Luigi nel 1484) chiese al G. di terminarlo. Egli raccolse i cinque canti composti da Luca Pulci (o forse in parte da Luigi) in una prima parte, e ne aggiunse altre tre, aumentando considerevolmente le dimensioni del poema (la giunta è di quasi duemila ottave). L'editio princeps della nuova redazione uscì a Roma per G. Mazzocchi nel 1514. Il G. continuò a versificare la vicenda lasciata interrotta, utilizzando le medesime fonti dei suoi predecessori (le Storie nerbonesi di Andrea da Barberino e un romanzo in prosa andato perduto, del quale si conserva un apografo nel ms. Laurenziano plutei XLIV.30: il Libro del povero aveduto), senza mostrare capacità di rinnovare la materia o di conferirle un taglio organico oltre la trama dispersiva degli episodi. Di un altro poema, che doveva essere la continuazione della giunta al Ciriffo, il Leon de Gostantina, resta un cenno nel XLVIII dei Sonetti di Biagio del Capperone, e in effetti il Ciriffo si conclude con l'annuncio di un nuovo libro che promette un contenuto più epico - lo scontro tra Saraceni e Cristiani per il possesso della Francia -, dunque diverso dalla trama prevalentemente romanzesca del Ciriffo.
Copiosa la produzione lirica del G., contenuta nel citato ms. Laurenziano-Ashburnamiano 419 e in diverse miscellanee uscite a stampa tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo. Comprende rime spirituali, componimenti rusticali, alcuni capitoli in terza rima, le Stanze per una fanciulla si maritoe, un sirventese tetrastico, una ventina di sonetti amorosi e di corrispondenza, 44 ballate, 51 canti carnascialeschi, 28 rispetti d'amore. Anche qui il G. non si dimostra poeta dotato di grande originalità: le rime amorose presentano temi e stilemi caratteristici della rimeria d'amore contemporanea, declinati senza particolare inventiva. Nelle ballate e nei canti carnascialeschi, l'indole scherzosa e umoristica dell'autore si esplica con maggiore libertà e concretezza. I canti carnascialeschi furono editi nella miscellanea Canzone per andare in maschera facte da più persone (stampata più volte nell'ultimo quindicennio del sec. XV, s.n.t.; ma non tutte le edizioni riportano il nome del G.), mentre nessun componimento figura nella famosa raccolta del Lasca (A.F. Grazzini) Tutti i trionfi, carri, mascharate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del magnifico Lorenzo vecchio de Medici… infino a questo anno presente 1559 (Firenze, L. Torrentino, 1559), che rappresenta un po' la summa di questa produzione. Tra i capitoli ricorderemo il Capitolo sulla virtù delle frutta (ed. Marchetti XXXIV), andato a stampa insieme con altri componimenti non del G. nell'Operetta delle semente, di cui esistono varie edizioni tra XVI e XVII secolo.
Le rime spirituali del G. sono trasmesse in numero di diciannove dalle Laudi vecchie e nuove (stampate a Firenze su petizione di Piero Pacini da Pescia, s.d., ma inizio sec. XVI) che raccoglie la produzione laudistica fiorentina del periodo precedente. Dovrebbero appartenere all'età matura dell'autore; forse non furono immuni dall'influenza savonaroliana, ma spesso mostrano di essere adattamenti di canzoni profane.
La parte più importante della produzione poetica giambullariana è rappresentata dai componimenti rusticali, dai quali è assente ogni elemento satirico, e prevale il gusto per la descrizione giocosa dei caratteri contadineschi e l'uso disinvolto e divertito della parlata rustica, che il G. adopera con efficacia, sfruttandone le potenzialità teatrali. Di questo filone, assai vivo nella cultura laurenziana, il G. fu per molti versi il primo cultore di rilievo. In vernacolo contadinesco sono anche la Contenzione di mona Costanza e Biagio e i Sonetti di Biagio del Capperone (54, tutti caudati), diretti a Leone X, a Giuliano de' Medici, al cardinale datario Lorenzo Pucci. La data di composizione è compresa tra il marzo 1513 (dopo l'elezione di Leone X al soglio) e il 23 dic. 1515 - 19 febbr. 1516 (durante la sosta a Firenze del pontefice dopo il convegno a Bologna con Francesco I); la stampa, fiorentina sine notis, è vicina al secondo limite cronologico. Il G. si finge un vecchio contadino del Mugello che chiede con insistenza ai suoi protettori favori e doni, ora scherzosi, ora reali e consistenti, e il tono burlesco si mischia con accenni veritieri alle sue necessità (per esempio la sistemazione del figlio Pierfrancesco). A proposito della produzione rusticale del G., è stata avanzata l'attribuzione a lui della Nencia da Barberino, il poemetto altrimenti assegnato allo stesso Lorenzo de' Medici, basata in primo luogo sul fatto che una redazione in venti ottave è contenuta nel citato codice Laurenziano, e sulla presunta concordanza stilistica e spirituale di esse con i componimenti rusticali giambullariani. Ma la questione, sia testuale sia attributiva, è resa complessa dalla presenza di altri tre testimoni, oltre alla vulgata, che rendono impossibile la ricostruzione di un testo unico (si è ipotizzata una scrittura multipla o continuata, per progressiva addizione di rispetti autonomi, il che spiegherebbe i salti nella successione logica), e con ciò anche l'ascrizione esclusiva a un solo autore.
Opere: la raccolta più rappresentativa dell'opera del G. è costituita dalle Rime inedite o rare, a cura di I. Marchetti, Firenze 1955. L'edizione più recente del Ciriffo con la giunta è quella nel Parnaso italiano, VI, Venezia 1841, coll. 109-414; il Sonaglio delle donne ha un'edizione Leida, G. van der Bert (Livorno, G. Masi), 1823, con premessa di A. B. (Antonio Biscioni), il Tractato del diavolo co' monaci e la Contenzione di mona Costanza e di Biagio e tre canzoni sono stati pubblicati nella "Raccolta di curiosità letterarie" della Commissione dei testi di lingua di Bologna, rispettivamente nel 1866 e nel 1868; i Sonetti di Biagio del Capperone sono editi da C. Arlia (Città di Castello 1902); la Novella del grasso legnaiuolo (anche nell'edizione Marchetti) è edita a sé da A. Lanza (Firenze 1989, pp. 89-128). Alcune canzoni sono raccolte tra i componimenti adespoti nella silloge Canti carnascialeschi del Rinascimento, a cura di C. Singleton, Bari 1936; R. Bruscagli le assegna al G. in Trionfi e canti carnascialeschi toscani del Rinascimento (I, Roma 1986, pp. 237-288), portando il canone a 29. E. Orvieto, infine, attribuisce al G. un poemetto scherzoso e un contrasto tra s. Francesco e il diavolo, entrambi conservati dal ms. Ital. 16 della University of Pennsylvania.
Fonti e Bibl.: La bibliografia relativa alla Nencia da Barberino si trova nell'edizione a cura di R. Bessi, Roma 1982, pp. 13-33. M. Sander, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu'à 1530, Milano 1942, nn. 3111-3138; A. Chiari, Rime inedite e rare di B. G., in Rinascimento, VII (1956), pp. 343-354; E. Orvieto, S. Francesco e il diavolo: contrasto inedito cinquecentesco, in Forum Italicum, VII-VIII (1974), pp. 13-21; Id., Un poemetto inedito di B. G., in Bibl. d'Humanisme et Renaissance, XXXIX (1977), pp. 531-544; Indice generale degli incunaboli, 4294-4297, 4296A, 4297A.