GHERARDI, Bernardo
Nacque a Firenze il 29 dic. 1390, nel quartiere S. Croce, gonfalone Ruote, da Bartolomeo di Gherardo e da Simona di Vieri Scali. Il padre apparteneva a un'antica famiglia, originaria di Fiesole, ed ebbe un ruolo politico di un certo rilievo nell'ambito del regime albizzesco, dalla fine degli anni Novanta del Trecento ai primi decenni del Quattrocento, ricoprendo diverse cariche, fra cui quelle di priore nel 1394 e nel 1409; dal suo matrimonio, contratto nel 1387, nacquero, oltre al G., Luigi, Gherardo e Orlando.
Non si hanno notizie precise sulla giovinezza e la formazione del G., il quale entrò ben presto nella vita pubblica svolgendovi un ruolo preminente soprattutto nell'età cosimiana e divenendo uno dei principali esponenti del "reggimento" politico facente capo al partito mediceo.
Nell'aprile 1411 il G. si qualificò per i tre maggiori uffici, ottenendo in tal modo la possibilità di ricoprire anche le cariche interne ed esterne alla città. Il 7 genn. 1417, insieme con il fratello Gherardo, fu immatricolato nell'arte della lana, ricevendo il beneficio dal nonno paterno Gherardo; in questo stesso anno, il 1° ottobre divenne ufficiale di Torre. Dal 1° apr. 1419 ebbe la carica di ufficiale dei Difetti e dal 1° dicembre successivo quella di ufficiale delle Condotte; fu camerario di Camera dal 1° ott. 1420 e camerario dei Contratti dal 16 apr. 1421. Il 1° luglio 1422 ottenne per la prima volta il priorato, quindi dal 1° febbr. 1423 l'ufficio degli Otto di custodia e dal 4 novembre seguente quello di ufficiale alle Porte. Dal 1° nov. 1425 fu podestà di Pistoia per sei mesi, dal 30 sett. 1426 ufficiale del Sale e dal 1° luglio 1427 nuovamente priore.
Dalla prima denuncia catastale fiorentina del 1427 risulta che il G. abitava insieme con la moglie Lena, figlia di Pietro Bovarelli, sposata nel 1425, in una casa in via Ghibellina divisa per metà con i genitori e i fratelli Orlando e Gherardo. I beni dichiarati riguardano mezza bottega di calzaiolo in via Calzaiuoli, una bottega di "rafaiolo", un podere con casa signorile nel "popolo" della Pieve a Remole, un palazzo con due orti, detto Vignamaggio, in Val di Greve. Dalle successive portate catastali del G. risulta che dal suo matrimonio nacquero solo figlie femmine: Ginevra, morta in tenera età, Margherita, Lucrezia, Diamante, Francesca, Vaggia, Lena e Dianora.
Nel 1428 vinse lo scrutinio per il gonfalonierato di Giustizia, e il 9 novembre successivo venne nominato, insieme con Neri Capponi e Palla Strozzi, ufficiale dello Studio fino a tutto il settembre del 1429; dal 3 novembre dello stesso 1429 fece parte dei Dieci di Pisa e nel dicembre seguente partecipò ai dibattiti sui preparativi della guerra contro Lucca. Dall'8 giugno 1430 fu capitano di Arezzo, dal 2 marzo 1431 fece parte della magistratura dei Cinque del contado, dal 15 dicembre dello stesso anno dei Dieci di balia. In occasione dello scrutinio generale indetto dal regime oligarchico subito dopo l'esilio comminato a Cosimo de' Medici il 9 settembre 1433, il G. si qualificò nuovamente per i tre maggiori uffici. La vittoria della fazione medicea mediante la nuova Balia, ordinata il 28 sett. 1434 - della quale fece parte anche il G. - che richiamò il 29 settembre Cosimo e i suoi seguaci dall'esilio veneziano, determinò l'instaurarsi di un nuovo corso politico caratterizzato dall'accentramento del potere da parte del Medici e del suo partito e quindi da una trasformazione istituzionale dello Stato: all'interno di questi processi il G. rivestì un ruolo determinante, divenendo - nonostante la sua partecipazione al regime albizzesco e l'appartenenza a un quartiere, quello di S. Croce, tradizionalmente ostile ai Medici - un protagonista di primo piano del nuovo "reggimento", per il quale ricoprì dal 1434 al 1459, anno della sua morte, cariche di rilievo politico e strategico.
Nel 1436 il G. conseguì il gonfalonierato di Giustizia, e dal 14 sett. 1437 fu dei Dieci di balia. Proprio a partire da questo anno è attestato, inoltre, il suo impegno, insieme con un altro grande esponente politico, Neri di Gino Capponi, nei riguardi della città di Arezzo, attraverso una serie di interventi in favore di quella Comunità documentati fino al 1456. Nel 1438 fece parte della Balia indetta per il nuovo scrutinio nel quale si qualificò ancora per gli uffici maggiori; fu nuovamente dei Dieci di balia dal 1° dic. 1440, ottenne ancora l'ufficio di gonfaloniere di Giustizia dal 1° sett. 1442: in tale veste venne insignito, insieme con i componenti della Signoria in carica, da Renato d'Angiò, di passaggio a Firenze dopo essere stato deposto nel giugno precedente dal trono napoletano, del privilegio di poter inserire nell'arma di famiglia un giglio d'oro. Nel 1444 il G. prese parte alla Balia in virtù dell'essere stato segretario della Mercanzia nello scrutinio generale del 1443, e quindi vinse le elezioni tenute nel giugno dello stesso 1444. Il 18 luglio seguente entrò a far parte, insieme con Cosimo de' Medici, Giuliano Davanzati, Neri Capponi e Giovanni Pucci, di un corpo speciale di "operai", istituito con il compito di sovrintendere ai lavori per la ristrutturazione del palazzo della Signoria per i quali erano stati stanziati 6000 fiorini. Nel gennaio-marzo 1445 si qualificò per gli uffici intrinseci ed estrinseci, risultando tuttavia assente al momento dell'imborsazione. Il 6 dicembre dello stesso anno intervenne in un dibattito politico riguardante la questione se le borse dello scrutinio del 1444 dovessero essere lasciate aperte oppure chiuse: il G. si dichiarò favorevole a quest'ultima soluzione, manifestando anche il parere che per la Signoria non dovessero essere ripristinate le elezioni per tratta, ma fosse opportuno continuare con il sistema della nomina a mano.
Dal 1° genn. 1448 fu in carica come gonfaloniere di Giustizia e nello stesso anno partecipò allo scrutinio generale come accoppiatore. Il 30 genn. 1452 il G. venne eletto insieme con altri cittadini, fra i quali Piero di Cosimo de' Medici, Matteo Palmieri e Tommaso Soderini, per ricevere l'imperatore Federico III d'Asburgo in visita a Firenze. Membro della Balia del 1452 come accoppiatore, si qualificò per i tre maggiori nel 1453; ufficiale del Monte per designazione della Balia per un anno dal 1° marzo 1453, il 1° maggio seguente fu eletto anche gonfaloniere di Giustizia. In una consulta del 24 dicembre dello stesso 1453 si espresse, insieme con Neri Capponi, per la sospensione dello scrutinio indetto per gli uffici intrinseci finché fosse durata la guerra contro Venezia e Napoli e fino a quattro mesi dopo la conclusione della pace: le elezioni si tennero infatti nel 1454, dopo la pace di Lodi stipulata nell'aprile di quell'anno, e lo stesso G. vi si qualificò. A testimonianza dell'influenza politica del G., che continuò a detenere la carica di accoppiatore fino alla chiusura delle borse dello scrutinio nel 1455, è una lettera del 14 ag. 1454 di Francesco Caccini a Bartolomeo Cederni, nella quale si parlava dell'eventualità che il G. potesse in qualche modo aiutare Giovanni del Caccia a ottenere la carica di gonfaloniere di Giustizia.
Dal 1° marzo 1458 il G. fu degli Otto di custodia, e il 3 luglio seguente partecipò a un importante dibattito politico sulla grave crisi economica che travagliava la città dopo la fine della guerra, a cui si aggiungeva anche il rischio di un'epidemia di peste. Accoppiatore nello scrutinio indetto nell'agosto dello stesso 1458, a seguito della convocazione del Parlamento generale venne imborsato per i Consigli del Popolo e del Comune. Il 1° maggio 1459 il G. ottenne ancora la carica di gonfaloniere di Giustizia; il 5 giugno seguente, mentre era ancora in ufficio, rispose da Firenze a Cosimo de' Medici che gli aveva raccomandato il caso di un suo amico, rassicurandolo che avrebbe fatto quanto egli desiderava; in cambio gli chiedeva di entrare in possesso di un campo situato in località le Sieci. Sempre nel 1459, il 29 dicembre, come accoppiatore il G. fece parte di una commissione per riqualificare ai tre maggiori uffici dodici cittadini che avevano perso le elezioni nel 1458.
Al 1459, in occasione della visita a Firenze di Pio II, da poco eletto papa, risale la testimonianza di A. Poliziano secondo la quale: "Bernardo Gherardi, essendo Gonfaloniere di Giustizia, rispose a papa Pio, il quale voleva, per boria, essere portato dai Signori fiorentini come era stato portato da' sanesi: - Santo Padre, meglio è che vi portino questi vostri capitani, ché noi abbiamo i panni troppo lunghi -" (Detti piacevoli, n. 24, p. 47). Anche in un altro luogo dei Detti piacevoli (n. 65, p. 54) il G. è ricordato come uomo di potere nella Firenze medicea: "Bernardo Gherardi raccomandava uno per lo squittino e menavalo seco; e, come forte l'aveva raccomandato, tornava adrieto e diceva pian piano: - Guarda che tu non ne facessi nulla per mio detto! -; e, tornato al cliente, diceva, non partendosi dal vero: - Questa è quella che vale e tiene! - ".
Il G. morì a Firenze il 18 febbr. 1460 e venne sepolto con grandi onori in S. Croce, nel chiostro esposto a mezzogiorno. Il 10 ott. 1457 aveva fatto testamento, designando come eredi i figli del fratello Gherardo (Bartolomeo, Iacopo, Luigi e Francesco), l'altro fratello Orlando e la moglie Lena.
Secondo l'erudito settecentesco L.M. Mariani, seguito dal Gamurrini, il G., durante la sua prestigiosa carriera politica, avrebbe anche ricoperto le cariche di ambasciatore per la Signoria a Ferrara e a Venezia nel 1435; in seguito, nel 1445, durante il gonfalonierato di Giustizia di Cosimo de' Medici, nei mesi di settembre-ottobre, avrebbe fatto parte di una commissione di otto cittadini incaricata di riformare la Cancelleria fiorentina, alla cui guida, dopo la morte di Leonardo Bruni nel 1444 e l'esilio comminato a Filippo Peruzzi, era stato chiamato Carlo Marsuppini; il G. sarebbe stato, inoltre, ambasciatore presso il pontefice nel 1449, e nel 1458 eletto per rispondere agli ambasciatori del duca di Milano a Firenze: nella documentazione coeva - peraltro in alcuni casi lacunosa - non vi è traccia di tali incarichi. Al riguardo si segnala tuttavia una lettera del G., priva di datazioni topica e cronica, recante solo l'indicazione del giorno e dell'ora in cui venne scritta, "26 a ore 23", diretta a Cosimo, presumibilmente mentre svolgeva una missione fuori Firenze, in cui parla dell'eventualità di effettuare una condotta per Antonio Manfredi, delle truppe del duca di Milano, e si accenna anche ai movimenti di Luca Albizzi e Piero Guicciardini.
Il G. fece trascrivere e fu in possesso di due codici della Commedia: il primo, conservato a Firenze, presso la Bibl. nazionale (Palatino 324), contiene fino al verso 147 del canto XXIV dell'Inferno; il secondo, conservato a Roma, presso la Bibl. dell'Accademia dei Lincei e Corsiniana (ms. 608), contiene il testo completo del poema e venne trascritto nel 1430 da un "Nicolaus Theotonicus", cuoco del G. quando questi era capitano ad Arezzo.
In un manoscritto miscellaneo del secolo XVIII (Firenze, Bibl. nazionale, II.196) si trova un'orazione pronunciata dinanzi al pontefice Sisto IV il 15 febbr. 1474 attribuita a un Bernardo Gherardi non identificabile con il G., che a quella data era già morto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze: Catasto, 73, cc. 106r-108r (1427); 402, cc. 51r-52v (1430); 493, cc. 91v-93v (1433); 665, c. 151rv (1446); 702, cc. 346r-347r (1451); 809, cc. 434r-438r (1458); Consulte e pratiche, 48, c. 118v, 2 dic. 1429; 52, passim; 53, cc. 49r, 167r, 171r, 173r; 55, c. 33v; Tratte, 57, cc. 162r, 166r, 172v, 177v, 181v, 185v, 190r; 62, c. 167r; 80, c. 69r; 172, cc. 22v-32r; 173, c. 102r; 359, c. 45v; 361, c. 2r; 363, c. 59r; 368, c. 8r (1439); 371, c. 20r; 376, c. 40v; 382, c. 10v; 383, c. 5v; 385, c. 17r; 387, cc. 15r, 44v; 392, c. 24r; 902, cc. 394r, 441rv; 915, c. 10r; Arte della lana, 21, c. 111r; Studio fiorentino e pisano, 3, c. 40r; Balie, 25, c. 4r; 26, c. 32r; 27, c. 17v; 29, c. 31v; Conventi soppressi, 314, c. 608r; Mediceo avanti il principato, 11, 620; 17, 205; Ufficiali della Grascia, 190, c. 20v; Notarile antecosimiano, 692, cc. 337r-343r; Manoscritti, 251: Priorista Mariani, cc. 781v-783v; 353, cc. 250r-255v; 356: Carte dell'Ancisa, cc. 406r-408r; 597: Carte Pucci, I, 16; 624: Sepoltuario del Rosselli, cc. 320, 369; Ceramelli Papiani, 2289; Arch. di Stato di Arezzo, Provvisioni, 6, cc. 267v, 273v; 9, cc. 104v, 157v; 10, cc. 10r, 33v; Firenze, Bibl. nazionale, Magl. XXV.422: Spogli del Migliore, cc. 125r, 126v; Poligrafo Gargani, 932; Delizie degli eruditi toscani, XIV (1781), pp. 301 s., 304; XIX (1785), pp. 58, 79, 147; XX (1785), pp. 240, 250, 261, 279, 298, 309, 324, 360, 376; Statuti della Università e Studio fiorentino, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, pp. 209, 216; A. Poliziano, Detti piacevoli, a cura di T. Zanato, Roma 1983, pp. 47, 54, 125; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre, II, Firenze 1671, pp. 81-83; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, p. 222; A. Lensi, Palazzo Vecchio, Milano-Roma 1929, p. 54; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), Firenze 1971, pp. 30, 34, 68, 113, 156; M. Roddewig, Dante Alighieri. Die göttliche Komödie. Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia - Handschriften, Stuttgart 1984, n. 274, p. 117, n. 698, pp. 301 s.; Bartolomeo Cederni and his friends, a cura di G. Corti - F.W. Kent, Firenze 1991, pp. 5, 16, 39; R. Black, Cosimo de' Medici and Arezzo, in Cosimo il Vecchio de'Medici, 1389-1464, a cura di F. Ames-Lewis, Oxford 1992, p. 36; A. Brown, The Medici in Florence, Firenze-Perth 1992, p. 140; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, VII, p. 242.